Il personaggio e i suoi conflitti: The Verdict

Come Mamet ci tiene incollati al personaggio

Alessandro Beghini
Waste of Ink
4 min readMar 13, 2018

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Gestire una narrazione che ha alla propria base una vicenda legale non è semplice, bisogna essere bravi a rendere la storia interessante per lo spettatore rimanendo comunque fedeli ad un genere che concede poco spazio alla spettacolarità delle immagini. Spesso si finisce per vedere due ore di chiacchiere di avvocati in carriera e giudici bacchettoni, che finiscono per annoiare il pubblico. Cosa ancor più grave, spesso si finisce per essere completamente disinteressanti a ciò che succede al nostro protagonista.

Perché? Perché per quanto i dibattimenti in aula possano essere interessanti e veritieri allo spettatore serve qualcosa di più. Questo è un concetto che spesso fatica a passare nella testa degli sceneggiatori, anche se la storia tratta un tema socialmente scottante, non significa di conseguenza che tutta la storia sia interessante. Per coinvolgere il pubblico serve altro e per spiegarvi cosa userò un classico di questo genere: The Verdict, scritto da David Mamet.

Sidney Lumet e Paul Newman sul set di The Verdict

Frank Galvin, eroe di questa storia portata al cinema nel 1982 per la regia di Sidney Lumet, non attira la nostra attenzione solo perché interpretato da un Paul Newman in grande forma, c’è altro dietro il nostro interesse per la sua vicenda. C’è una grande scrittura di Mamet ed un uso perfetto di una delle armi più importanti nell’artiglieria di una scrittore: il conflitto.

L’errore che viene spesso commesso in film come questo è che l’unico conflitto a muovere la storia è quello sociale, spesso combattuto contro un antagonista poco definito e fumoso.

Mamet non commette questo errore per nostra fortuna, ma disegna un personaggio complesso le cui necessità e bisogni generano conflitti che arricchiscono la storia e catturano la nostra attenzione.

Paul Newman e Charlotte Rampling

Galvin è innanzi tutto un alcolizzato, un avvocato che dopo aver visto come i grandi studi gestiscono il lavoro è completamente vittima di se stesso e della depressione che lo affligge e lo spinge verso il basso. Questo è il primo e più pressante conflitto del personaggio, quello interno. Una battaglia combattuta dal protagonista contro se stesso, contro le proprie paure e i propri difetti. Un tipo di conflitto che le persone si trovano ad affrontare ogni giorno e che Mamet ci mostra con immagini chiare fin dalla prima scena quando Frank consegna biglietti il suo biglietto da visita ad alcune donne da poco vedove.

Se la prima immagine dice molto di un personaggio, allora in questa occasione Mamet non può che dirci, anzi urlarci, che quest’uomo sta raschiando il fondo.

Il conflitto interno però non è l’unico presente nel film, lo scrittore di Chicago aggiunge al personaggio anche due conflitti esterni. Il primo nei confronti della società che circonda e affronta il nostro protagonista.

Chiamato a battersi per scoprire la verità su un terribile caso di negligenza sanitaria, Frank deve affrontare uno dei più prestigiosi ospedali di Boston, per giunta amministrato dalla Chiesa. Una lotta impari per un piccolo avvocato che si vede sparire i testimoni sotto gli occhi senza poter fare niente, non trovando un alleato valido neanche nella Giustizia e in chi la rappresenta.

Il secondo conflitto esterno è quello che Frank ha con diversi antagonisti della storia, l’avvocato Concannon, il giudice (prima che questo riveda la sua posizione), Laura, sono rappresentazioni reali della società che deve combattere. Non si tratta di una forza intangibile, ma di persone in carne ed ossa con volti riconoscibili.

Così, concentrandosi sull’avvocato e non sulla diatriba in aula, Mamet interessa e coinvolge il pubblico, spingendoci a empatizzare con un eroe pieno di difetti e limiti.

Paul Newman nel ruolo di Frank Galvin

Il conflitto è nel cinema e nella narrazione ciò che muove la storia, la benzina in grado di mettere in moto i nostri personaggi così da creare nuove situazioni inaspettate e coinvolgenti. Non esiste una storia, possa essere commedia o dramma, che non parta da questo e non esiste esiste conflitto in grado di non catturare l’attenzione del pubblico, se raccontato in maniera onesta.

Il perché credo sia semplice da capire, credo si possa semplicemente dire che ancor prima che la narrazione, la nostra stessa vita è mossa e animata dal conflitto.

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