La difficoltà della felicità

Vita Nova
Waves - Onde
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3 min readNov 19, 2018

Lavoro e mondo moderno

Il mood del momento è che fine e futuro prossimo dell’essere umano sia quello di integrare, completare, implementare il lavoro delle macchine o i linguaggi della rete. “Secolo decimo-nono iniziato, morte agricoltura e allevamento”*.

I programmi scolastici modellano i sistemi cognitivi in età sempre più precoce, con una predilezione per tutto ciò che è tecnica…

I programmi scolastici si adeguano al progetto. Modellano i sistemi cognitivi in età sempre più precoce, con una predilezione per tutto ciò che è tecnica. Svuotata però di ogni scintilla creativa divina, la techne diventa mentalismo.

Che può, appunto, integrare, implementare e completare il lavoro delle macchine, i linguaggi della rete, e tanto basti.

Al mentalismo non serve l’intelligenza. Anzi, meno ce n’è, meglio è.

L’intelletto si fa imitazione dell’intelletto, il Bene è la parola impronunciabile. La nostra è la prima civiltà umana ad avervi abdicato -dopo i timidi, iniziali tentativi di Nazismo e Comunismo, il processo è arrivato a compimento-. Natura, amore, vocazione sono eliminate dall’educazione che ai giovani tocca subire.

Rimaniamo umani, recitano i motti di chi crea questo sistema inumano di produzione e di società. Rimanere umani lontani dalla natura, dimenticando l’essenza e il fine dell’essere umano, è dura.

La proiezione narcisistica del “rimaniamo umani”

Ecco allora che diventa una specie di slogan aggregatore. Una proiezione narcisistica, un po’ come l’amore di certe persone per i propri barboncini. Proiettano esteriormente un’immagine edulcorata di sé, auto-rappresentandosi tramite l’oggetto-animato-cane: “oh come sono buono, guarda come amo questo cane!”.

Nella cultura moderna l’uomo produce e consuma allo stesso tempo. Nel neoliberismo non esiste il lavoro, l’uomo è la pila

Cosa fa, nella cultura moderna, un uomo, durante la sua giornata? A cosa dedica il suo tempo? Non alla famiglia. Non alla comunità. Non alla meditazione. Non all’interiorità. Nemmeno al proprio corpo, usandolo in modo sano, perché slegato della magnificenza della natura. Produce e consuma. Produce in tutto ciò che fa, e consuma in tutto ciò che fa, dunque produce e allo stesso tempo consuma, come una cosa unica.

Non è ciò che fa, ma ciò che è.

Nel neoliberismo non esiste il lavoro. L’uomo è la pila.

Superato il concetto tradizionale di lavoro, come utilità, servizio, onore. Superato ogni valore spirituale del lavoro, nel neoliberismo è difficile agire quotidianamente un lavoro che faccia restare umani.

L’artigiano che lavora il legno per dare da mangiare ai suoi figli, è più onorevole di un manager che olea il sistema, ma una tale consapevolezza è molto difficile da raggiungere. Richiederebbe un cambiamento tale di stile di vita, da non essere per i più, nemmeno concepibile.

Metterebbe gli individui nella condizione di doversi staccare dalle eggregore economiche e abbandonarsi alla vita.

Nella lingua giapponese esiste la parola Ikigai.

Una cosa che, applicata al lavoro, si avvicina al concetto di autentica realizzazione nel materiale. Non un concetto spirituale, ma un riflesso delle leggi spirituali sul mondo materiale. Il lavoro inteso come ciò per cui le persone sono fatte.

Qualcosa che cambia in base alla persona, alla sua natura, alle sue inclinazioni naturali. Ma quelle vere, non quelle imposte da chi produce e smercia merce. E che faccia sentire la persona a posto con la propria coscienza.

Qualcosa per cui abbia le capacità naturali, senza sforzo. Qualcosa per cui senta inclinazione. Qualcosa per cui si senta davvero utile.

Ikigai è l’uomo inserito nella sua comunità.

Ikigai è il senso della vita.

Nel sistema neoliberista, al di là dei paradisi artificiali promessi, si deve trottare per rappresentare e diffondere il sistema, dopo averlo più o meno consapevolmente introiettato.

Da qui, la diffusa difficoltà della felicità.

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Pensosa dell'andar. Arte, libri e osservazioni sparse.