Foto Claudine Strummer

Che suonano, gli OTU?

Isaia Invernizzi
WeAreOTU
Published in
4 min readAug 8, 2018

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Che suonano, gli Otu? Cinematic hip hop, breakbeat, post rap, il tutto con orizzonti ambient, vestigia cinematografiche e armonie oscure. Questa è la definizione degli esperti. Ma la verità è che l’unico modo per capirli e, dunque, apprezzarli, è andare a sentirli. Sia Francesco che Isaia arrivano da esperienze musicali precedenti e diverse, ma insieme hanno creato qualcosa di nuovo che è sfociato in Clan, il loro primo album, uscito il 23 febbraio 2018 e prodotto da Dischi Bervisti e Hashtag e che li ha portati a suonare un po’ in tutta Italia, da Ragusa a Roma passando per Reggio Calabria e Paratico (Brescia). Ora tornano a casa e Francesco ha risposto a qualche domanda prima di salire sul palco.

Entrambi siete volti noti nella scena musicale bergamasca. Come vi siete conosciuti e cosa vi ha spinti a fare un progetto insieme? Cosa c’è di diverso in questo rispetto agli altri progetti?
«Ho conosciuto Isaia a qualche suo concerto e poi durante una serata in cui abbiamo suonato insieme con le rispettive band. Un paio di anni dopo gli ho chiesto se voleva mettere qualche linea di chitarra su alcuni pezzi a cui stavo lavorando da qualche anno e da lì, prova dopo prova, sono nati gli Otu. È un progetto in cui metto tutto me stesso, dalla creazione dei brani fino alla versione live definitiva. Abbiamo intrapreso un percorso di ricerca che sta diventando sempre più metodico: più suoniamo e più cresce la nostra curiosità».

Efesto Bologna

Il vostro disco è uscito da poco, come lo descrivereste? Per ora come è stata l’accoglienza del pubblico e com’è andata la prima parte del tour?
«Il nostro disco è stato descritto in mille modi ed è talmente vario che anche per noi è difficile appiccicare un’etichetta. Ci sono due elementi fondamentali propri dell’hip hop: il groove e i sample, cioè i campionamenti, che abbiamo utilizzato in mille modi, sia come melodia sia come una vera e propria voce. Le linee di chitarra di Isaia hanno dato una vena parecchio oscura al lavoro, in senso buono. Per le voci abbiamo pescato da alcuni capolavori del cinema, come Shining, ma anche da video trovati dopo ore a girovagare su YouTube. La prima parte del tour è andata molto bene. Da marzo abbiamo fatto 25 concerti, ma al di là dell’aspetto quantitativo, che comunque non è da trascurare, siamo soddisfatti perché siamo riusciti a viaggiare molto. Pochi giorni dopo l’uscita di Clan siamo partiti per un tour in lungo e in largo per l’Italia, da Palermo a Brescia passando per la Calabria, Napoli, Roma, Perugia e altre città. Abbiamo conosciuto tantissime persone che, come noi, investono tempo e passione per diffondere musica originale (nel nostro caso anche non proprio convenzionale). È sorprendente e confortante vedere un movimento così attivo. Ora ci aspetta la seconda parte del tour e speriamo di fare ancora tanti chilometri. Stiamo lavorando per riuscirci».

A vostro avviso, qual è lo stato attuale della scena bergamasca? Cosa si potrebbe fare meglio?
«C’è poco da fare: tutta Italia ci invidia perché ci sono posti in cui suonare e tantissime band che si sbattono e riescono ad emergere. Solo per fare qualche nome, pensiamo alle Capre a Sonagli, ai Vanarin, ai Moostroo e tanti altri. Siamo sempre stati malati di concerti, quindi quando non suoniamo siamo in giro ad ascoltare e spesso ci ritroviamo a suonare insieme a band che ammiriamo. Per noi è un onore e, anzi, proprio grazie a queste amicizie-collaborazioni ci sarà una novità nelle prossime settimane che però vi sveleremo più avanti».

Intervista tratta da Bergamo Post

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