Humanagement track 1: Giuseppe De Simone. “Ciascuno cresce solo se sognato”.

Francesca Postiglione
weBeetle
Published in
17 min readMay 13, 2024

L’intervista a Giuseppe De Simone, Agile 42 Svezia, per Humanagement, il podcast di Habeetat, l’Innovation Hub di weBeetle.

C’è pure chi educa,

senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo,

aperto ad ogni sviluppo

ma cercando d’essere franco all’altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.

Questi sono i versi di una poesia di Danilo Dolci, sociologo, pedagogista, attivista per la pace e scrittore che hanno fatto capolino nei miei pensieri durante la chiacchierata con Giuseppe De Simone. Giuseppe è l’amministratore delegato di Agile 42 Svezia. Ingegnere di formazione, umanista di vocazione, è diventato leader, coach e formatore, facendosi guidare dalla passione del sostenere leader, team e organizzazioni a diventare più produttivi e resilienti. Come Scrum Trainer Certificato, Coach e Leadership Educator, crede nel potere della crescita delle persone come unico investimento veramente duraturo. Negli ultimi 14 anni ha aiutato aziende di vari settori a creare ambienti di lavoro più umani e competenti.

Giuseppe è stato uno dei formatori del percorso che ho seguito per diventare Scrum Master, ed è proprio dai fraintendimenti su questo ruolo che è iniziata la nostra chiacchierata.

Francesca: Benvenuto Giuseppe! Io sono molto contenta di averti qui e di cominciare questo podcast, questo viaggio insieme a te che sei stato mio formatore. è stata una formazione veramente entusiasmante e che ha creato appunto delle continuità nel mio percorso lavorativo e ha dato molto senso alle mie esperienze passate e mi ha fatto sentire come dire più meno sola più competente. Quindi parto dall’esperienza della mia formazione perché io ho preso, grazie al corso che ho seguito con te, la certificazione da master.

La mia prima domanda è proprio sul ruolo Scrum Master. Su questo ruolo si può leggere tanto, eppure si percepisce che è circondato da un alone di mistero. Sulla base della tua esperienza, quali sono i fraintendimenti principali che lo circondano?

Giuseppe: Per qualche motivo, forse per una serie di motivi, forse lo Scrum Master è il ruolo più frainteso probabilmente della storia dell’industria IT in particolare, ma forse l’industria in generale. Si può spiegare in tanti modi, ma se uno non lo sperimenta veramente difficilmente lo capisce. La normalità è il fraintendimento, non comprenderlo nella realtà. E uno di questi motivi può essere legato al fatto che Lo Scrum Master è un coach e nella vostra cultura occidentale soprattutto, mentre tutti quanti comprendono l’importanza di avere un coach nell’ambito dello sport, per esempio, sia degli sport individuali che in quelli di team. E nessuno si sognerebbe di mettere in discussione che anche l’atleta più bravo debba avere un coach. Anzi, diciamo più sei bravo, più hai bisogno di avere dei coach di primissimo livello — abbiamo ultimamente l’esperienza di Jannik Sinner e di come abbia veramente cambiato marcia cambiando i suoi i suoi coach-. Nell’ambito aziendale, industriale, questa cosa sembra completamente fuori dal mondo, completamente controintuitiva. E uno dei motivi per cui la metafora che noi usiamo per descrivere le aziende, le nostre aziende, non è la metafora dello sport- che probabilmente sarebbe più appropriata, perché alla fine soprattutto quando si tratta di diciamo sviluppare nuovi prodotti o fare un lavoro creativo, probabilmente collaborare, fare cose insieme, mettere insieme competenze diverse è qualcosa che assomiglia più a uno sport piuttosto che a quella fabbrica, quella meccanica, dove c’è qualcosa che si mette in input a un processo, che tra l’altro è ben descritto e ben definito, e che poi ci si aspetta che dia un output atteso. Ma questo è vero quando le cose che dobbiamo fare sono tutte sempre uguali e ripetitive e sempre le stesse. È vero quando il lavoro da fare è quello di caricare dei mattoni su un camion, ma quando si tratta di fare un lavoro creativo, questa metafora non regge. Perché altrimenti se fosse valida, se un team non lavora bene, magari la possiamo portare da un meccanico ad aggiustare come facciamo con la nostra macchina, ma non funziona così. E mentre, viceversa, tutto il linguaggio che noi usiamo in azienda, quando parliamo di risorse umane, di guidare una strategia, pilotare una strategia, si parla di Steering Committee, questo linguaggio in qualche modo rispecchia questa metafora. In una fabbrica non c’è spazio per un coach.

Nello sport c’è o nella cultura orientale, nelle arti marziali c’è questa figura, di chi insegna, trasferisce le competenze, nella nostra idea di lavoro questo non c’è per cui è misinterpretato. Non si capisce che cos’è questa cosa e quindi si corre l’errore di andare a compararla con altri ruoli che si comprendono di più. Come può essere il project manager o un coordinatore. Per esempio, se prendiamo Scrum, comprendere la figura del Product Owner è più facile, più o meno comparabile al project manager, ci sono gli sviluppatori, i tester. Lo Scrum Master non ha una mappatura e lo si mappa con qualcosa di sbagliato perché la metafora che noi usiamo è sbagliata. Questa è un po’ la mia esperienza per cui forse, se si vuol far capire cosa è lo Scrum Master bisogna contribuire a cambiare la metafora con cui noi descriviamo la nostra attività lavorativa, in quel caso sarà più facile farlo capire.

Francesca: Infatti non ti nascondo che spiegare quello che faccio in azienda ho difficoltà, perchè mi rendo conto che c’è una lacuna. Non ho difficoltà a spiegarlo ma a farlo capire. È un po’ diverso. Io credo che quando c’è una lacuna comunicativa poi le persone la riempiono con qualcosa di familiare. E quindi, a proposito di quello che hai detto rispetto alla metafora meccanica, di fatto io vedo che c’è una tendenza più all’utilizzo interpretativo della metafora dell’ingranaggio quando si descrivono le persone che lavorano insieme: sei un ingranaggio in questo sistema meccanico un po' più grande. Però più vado avanti, più mi formo, più lavoro di fatto e cresco in quest’ambito e più mi rendo conto che forse -però mi devi correggere se sbaglio- la metafora più consona è quella del giardiniere.

Giuseppe: Sono perfettamente d’accordo e tra l’altro è la metafora che uso pure io molto spesso. Io uso sempre delle metafore che parlano di organismi viventi. Quella dello sport, ma quella del giardinaggio la uso molto, per esempio, quando parlo di auto organizzazione dei team, dell’importanza di dare autonomia ai gruppi di lavoro perché con l’autonomia si raggiunge flessibilità e si aumentano le potenzialità, le capacità. Con poca autonomia si hanno meno opportunità. L’autorganizzazione dei sistemi è una cosa spontanea in natura. Se pensi alla Foresta Amazzonica, oppure ad un bosco; nessuno dice alle piante come si devono organizzare. L’autorganizzazione con un obiettivo comune, che poi è rappresenta la natura del lavoro che facciamo, non avviene in maniera spontanea, c’è bisogno di guidarla. Che ha creato i giardini della Reggia di Caserta era una mano saggia che si è occupata della creazione dei vincoli come possono essere la definizione delle aiuole la scelta delle piante opportune, una adeguata potatura, innaffiatura e concimazione consente di far sì che si sviluppi quello che noi vogliamo. Quindi, lo Scrum Master si può anche tranquillamente paragonare a un giardiniere.

Francesca: Infatti quando mi chiedono cosa faccio dico “io preparo il terreno per la fioritura”. Che poi le fioriture sono diverse, i tempi sono diversi, le stagioni sono diverse però uno deve preparare il terreno, questo humus, per la fioritura delle competenze.

Giuseppe: Gettare semi i cui frutti non raccoglierà mai o non vedrà mai personalmente - questo fa parte anche della difficoltà dello Scrum Master-, perché magari cambiamo aziende, cambiamo lavoro. Lo Scrum Master deve avere la solidità di accettare questa cosa, che diventa una skill importante.

Francesca: Vorrei fare un passaggio sulle competenze: ho letto nella tua descrizione su LinkedIn “democratizzare le competenze di leadership per tutti i membri del team un principio fondamentale nei contesti agili. Come pensi che questo giardiniere, questa persona che si occupa di giardinaggio lo Scrum Master, possa contribuire a creare un ambiente dove ogni componente del team si senta incoraggiato, ma vorrei dire anche necessario. In che modo questa persona aiuta a sviluppare la leadership di ognuno e le competenze sottese?

Giuseppe: In un’epoca come la nostra, dove le cose cambiano da un giorno all’altro, gli eventi che accadono -che una volta un autore molto noto definisce i “cigni neri” e che stanno diventando sempre più neri, magari grigi- è impensabile che un’azienda moderna possa immaginare che tutto possa essere controllato da un numero ristretto di persone, che sono quelli che pensano, i cosiddetti manager che controllano i comportamenti di tutti. Quindi è necessario che questa capacità di guidare in contesti diversi-perché poi a seconda dei contesti magari oggi sono leader, domani sono follower perché cambia il contesto, è necessario che vengano distribuite a tutti in un team. Come può farlo un azienda? Secondo me la prima cosa, venendo appunto le nostre realtà aziendali da una tipo di mentalità di ingranaggio, dove io sono una parte dell’ ingranaggio, tu mi dici quello che devo fare, io lo faccio . Innanzitutto bisogna saper incontrare le persone dove stanno, non immaginare che questa sia una cosa che si può raggiungere da un giorno all’altro. Richiede una capacità di comprendere le persone che si hanno di fronte, comprendere a che tipo di a modo di lavorare sono abituate o che tipo di leadership si aspettano- perché sono abituate a quella leadership- Innanzitutto lo Scrum Master deve avere la capacità di incontrarle dove sono. Spesso vedo Scrum Master, o anche manager che magari fino al giorno dopo prima erano project manager e che dicevano alle persone “tu fai questo, tu fai quello” da un giorno all’altro cominciano a a fare i coach, a fare le domande, insomma le persone possono smarrirsi. Questo è un primo un primo aspetto.
Per raggiungere questo livello di autonomia individuale e di gruppo, che consente poi a tutti di esprimere una maggiore autonomia e le capacità di leadership, nella mia esperienza di ci sono tre skill fondamentali:

Comprendere come gestire i propri conflitti, di navigare attraverso i conflitti come dico spesso, anche se non è un termine che ho inventato io, mi piace più “navigare” che “risolvere” perché poi non tutti i conflitti si possono risolvere, non tutti i conflitti si devono risolvere. Dare questa capacità di navigare tra i conflitti, perché quando una persona deve esprimersi come leader i conflitti sono inevitabili. Trasferire un pensiero oppure guidare il gruppo verso un certo tipo di approccio inevitabilmente può ingenerare conflitti.

Un secondo aspetto è la capacità di prendere decisioni come gruppo, questa è una capacità anche individuale, contribuire a guidare le persone verso dei processi decisionali che prevedono anche la capacità di influenzare certe decisioni.

Il terzo aspetto è la capacità di dare e ricevere dei feedback costruttivi, perché è un aspetto fondamentale della leadership.

Queste sono tre skill, che sono più skill di team se pensiamo anche allo Scrum master che ha di fronte il team Scrum. A cappello di tutto, ciò forse la competenza maggiore che uno Scrum Master deve sviluppare per poter essere capace anche di adattare il proprio stile di comunicazione e di leadership è sicuramente l'intelligenza emotiva che anche una competenza che spesso in aziende che usano la metafora dell'ingranaggio viene derubricata come soft skill. Un aspetto di cui semmai se ne parla: “ vabbè, io mi occupo di business, queste sono solo soft skills, cose di cui qualcun altro si deve occupare”. In realtà queste sono power skills, sono quelle che danno il potere di essere efficace nel proprio lavoro.

Questi sono alcuni ingredienti che mi vengono in mente per poter anche mostrare come questa leadership si possa acquisire. Lo Scrum Master deve fare da modello, il role modeling di questa cosa è molto importante.

Francesca: Passando poi alle competenze dello Scrum Master, io mi ricordo che quando ho seguito il corso hai fatto un bellissimo passaggio sulla valorizzazione delle multi potenzialità delle persone e queste tante potenzialità sono fondamentali nell’esercizio di questo ruolo e sul fatto anche che ogni esperienza fatta in passato serve e può essere utile e riutilizzabile. Ricordo perfettamente il tuo passaggio sull’umanesimo che mi ha colpito tantissimo, sul valore delle discipline altre. Però questa cosa che hai detto cozza tantissimo con un trend che io chiamo di fast education che è uno specchio del tempo attuale in cui si enfatizza l’iperspecializzazione per diventare qualcosa. Io personalmente non ci credo a l’iper specializzazione, sono più per una conoscenza diffusa. Tu pensi che questo concetto, quello della multi potenzialità, possa essere ancora valido in un contesto, in un tempo, in cui si valorizza l’iper specializzazione?

Giuseppe: Io penso di sì, condivido la mia esperienza personale: innanzitutto io mi definisco un generalista orgoglioso, perché questa capacità di poter trattare varie cose, di comprendere vari aspetti, sia tecnici che non tecnici, in realtà mi ha aiutato nella mia carriera. Allo stesso tempo con le persone che incontro, le persone a cui faccio mentoring, coaching ma anche clienti aziendali, io trovo che l’iper specializzazione sia un problema, di fatti diventa un impedimento a quegli aspetti di cui parlavamo, come la collaborazione, l’autonomia, etc. Diventa un impedimento sotto molti punti di vista. Se io ho solo una specializzazione, la cosa che tendo a fare è focalizzarmi su quell’area di specializzazione piuttosto che collaborare con gli altri. Questo è un impedimento rispetto ad avere dei goal comuni soprattutto, soprattutto se io ho un sistema di performance management in azienda, di rewarding che come spesso accade in qualche modo incentiva a fare meglio quello che so fare e cioè continuare specializzarmi piuttosto che collaborare o capire quello che gli altri stanno facendo. Ma allo stesso modo diventa un impedimento perché, se come io credo e come la mia esperienza mi ha insegnato, avere delle unità piccole di lavoro cross funzionali che sono autonome nello sviluppare valore per un cliente, più c’è un’ iperspecializzazione più questa cosa è difficile. Perché se io ho bisogno di trenta competenze diverse per fare un lavoro, ma voglio avere un team di 6/7 persone, un team piccolo, perché sappiamo dalla ricerca che i team più performanti sono di 4/6 persone, questa cosa si può realizzare solo se ogni persona ha molte skill. Non necessariamente un generalista, ma se io so fare una sola cosa, ho bisogno di 30 persone per fare quel lavoro, il che porta altri tipi di problemi in termini di comunicazione, di collaborazione, di relazioni umane, etc. Quindi diciamo questo è un aspetto, un tipo di impedimento. Tornando invece a quelle che diciamo vengono derubricate come soft skill che invece in realtà sono power skill, quello è un discorso ancora più complesso. Perché probabilmente l’Illuminismo ha creato grossi problemi alla cultura occidentale, per cui posto che il mito della ragione, dell’intelletto abbiano apportato anche tante cose positive però dall’altra parte ha spinto poi all’eccesso, ha creato anche questo discorso iperspecializzazione, dell’importanza solo delle discipline tecniche - e lo dico da ingegnere anche se tutti mi dicono che sono un ingegnere atipico- e ha derubricato invece altre qualità che sono importanti. Io vedo per esempio che le persone che hanno fatto studi umanistici in azienda, o persone che hanno lavorato in associazioni, che hanno avuto esperienze di associazionismo, hanno sviluppato la capacità di collaborazione ma anche la fantasia che spesso ti dà anche la capacità di sognare che una certa cosa è possibile di sognare. Il fatto, ad esempio, di poter aver fiducia di questa persona perché diciamo la mia pancia me lo dice — tra l’altro proprio Nicola De Pisapia spiegando la fiducia parlava di aspetto cognitivo ed emotivo (ndr. Nicola De Pisapia, Neuroscienziato, sulla fiducia nel podcast “Conoscere noi”). La fiducia ha un aspetto cognitivo, del tipo “Io credo, ho fiducia in te perché so dai dati, dall’evidenza empirica, che tu sei fare il lavoro” però c’è anche l’aspetto emotivo.

Francesca: C’è anche la pancia.

Giuseppe: La pancia che è fondamentale. Vedo appunto che chi ha questa formazione più ad ampio spettro, che non ha ricevuto solo dalla scuola ma anche da altre esperienze, per esempio quella del volontariato, ha sviluppato questi altri aspetti: la fantasia, la capacità di collaborare, la capacità anche di prendere il buono che c’è dagli altri e aggiungerci sopra delle cose sue -mentre la scuola in genere insegna che non bisogna copiare-. Queste persone hanno forse una marcia in più. Io ho anche lavorato nella scuola, nell’università, per provare a insegnare Scrum, i metodi agili nella scuola elementare, all’università perché credo che possa contribuire a sviluppare questo tipo di skill. Perciò parlavo di umanesimo perché, in contrapposizione all’Illuminismo. Se pensiamo a personaggi come Leonardo Da Vinci, anche se è un po’ un estremo come esempio. Lui era architetto, ingegnere, scultore, pittore, filosofo, scrittore

Francesca: Un entusiasta della conoscenza.

Giuseppe: Non dico che dobbiamo diventare tutti Leonardo da Vinci, ma per me rappresenta più lui un esempio rispetto ad altri più moderni, che possono in qualche modo essere come fonte di ispirazione per chi deve fare un percorso di arricchimento professionale. Quindi quello che ho incoraggiato anche sempre anche mio figlio a fare, insomma a leggere a partecipare al volontariato e quant’altro.

Francesca: Adesso è arrivato il momento in cui vogliamo farci fatti tuoi. Quali esperienze e conoscenze altre sono state fondamentali per il tuo percorso di crescita per professionale?

Giuseppe: Puoi immaginare, siccome ho ripetuto la parola associazione, volontariato tante tante volte diciamo che, al di là della mia formazione come dire scolastica e universitaria. Appunto io sono un ingegnere elettronico che però quando doveva scegliere la facoltà universitaria, era indeciso tra filosofia e ingegneria quindi, insomma mi portavo da sempre questa passione per la filosofia, per la letteratura, etc. Però ho fatto per 30 anni lo scout, per più di 20 anni il capo scout, quindi quella è una formazione, un aspetto che mi ha formato notevolmente e che, come dire, sicuramente da cui ho tratto molto, o anche dell’impulso a diventare un coach e quindi a lasciare un po’ quella che è stata la mia formazione tecnica all’università, che mi ha spinto ad approfondire aspetti come la formazione, l’educazione, il coaching, la psicologia che poi mi hanno aiutato nel lavoro che sto facendo. Ho sempre avuto interesse per come si potesse, come diceva il fondatore degli scout, tirare fuori il 5% di buono che c’è da ognuno e provare a farlo diventare il 10, il 20, il 30 e che poi mi ispira tuttora nel lavoro che faccio. Quindi diciamo appunto quell’esperienza di volontariato è stata fondamentale perché quello che appunto spesso manca negli ambienti lavorativi, ad esempio dire “ vabbè ma non c’è scritto nella descrizione del mio ruolo perché io devo essere questo”, “non fa parte del mio lavoro” la trovo una cosa abbastanza triste. L’educazione alla gratuità, anche oltre quello che lo stipendio che mi viene dato, quello che poi ha avuto successo per me, insomma mi ha aiutato nella mia carriera. Perché quando tu dai una cosa gratuita, perché pensi che è la cosa giusta da fare, in qualche modo quella cosa ritornerà poi anche per vie, come dire, imponderabili, inaspettate . Magari anche anni dopo. Quello che mi ha aiutato è stato non calcolare sulla carta se una cosa mi conveniva o no farla in quel preciso momento. È un’esperienza che mi ha formato notevolmente.

Francesca: Parlando invece del tuo lavoro oggi. Tu formi le persone, supporti le organizzazioni, lavori in generale con la complessità e sono certa — lo so perché poi parzialmente, in minima parte, lo faccio anche io- che non sia un lavoro facile, come sono certa che porti con sé anche una percentuale di frustrazione. La domanda che ti faccio è: Qual è il tuo principio guida, cioè quello che ti dà la forza per superare la frustrazione, gli ostacoli che inevitabilmente si presentano sulla tua strada?

Giuseppe: Sicuramente sono sempre le persone che mi danno la spinta. Anche quando faccio un intervento in un’azienda e magari le cose non vanno come dovrebbero andare, io dico “vabbè nella peggiore delle ipotesi io sto dando valore alle persone con cui lavoro e le sto facendo diventare migliori”. Sperabilmente cerco di farle diventare migliori. Insomma migliorando il loro lavoro, penando di meno nel proprio lavoro, diventando più produttive, avendo un ambiente di lavoro più umano li sto migliorando
quello è un investimento che vale comunque la pena di fare. Io condivido anche la missione della Scrum Alliance che è quella di migliorare i luoghi di lavoro, renderli anche più umani e mi dico in fondo anche se questa azienda non cambierà o chiuderà — certe volte certe aziende fanno bene a chiudere perché, come dire, non c’è un’altra alternativa - però magari queste persone troveranno un altro lavoro e comunque potranno migliorare i nuovi ambienti di lavoro in cui si troveranno. Ha a che fare quindi con le persone, sono quelle che mi danno la spinta e in genere cerco anche di trattare le persone come persone, avendo fiducia in loro e non come appunto ingranaggi. Spesso anche le persone che sembra siano quelle scettiche, magari sono quelle che da cui puoi anche imparare qualche cosa, perché magari proprio perché sono scettiche dicono delle cose e, in genere, ho trovato che se rimango curioso, quelle cose che dicono hanno comunque un valore che non riescono a concettualizzare bene. Quindi, se riesco a scavare, riesco a trovare sempre un punto. Quindi direi che per tutti questi aspetti poi se mi concentro con le persone è quello che mi dà ancora la possibilità di andare avanti anche in situazioni sfidanti. Poi col tempo, certe volte, ho anche il lusso di potermi scegliere i clienti e quindi se proprio vedo che le cose non vanno, diciamo posso dire di no. Non sempre ho questo lusso ma quando capita lo faccio, questo sicuramente mi aiuta a diminuire le frustrazioni che però comunque ci sono.

Francesca: E una canzone guida ce l’hai?

Giuseppe: Questa è una domanda difficile! Vabbè diciamo Pino Daniele è uno dei miei artisti preferiti, una delle mie canzoni preferite è “Basta na jurnata ‘e sole” quando dice “Basta na jurnata ‘e sole e quaccheduno ca te vene a piglia’ ” quello è un ritornello che qualche volta nei momenti di difficoltà mi risuona in testa.

Francesca: Qualcuno che ti viene a prendere, quindi si lega un po’ con il tuo principio guida che sono le persone.

Giuseppe: Esattamente, qualcuno che mi viene a prendere e magari mi porta in giro a prendere un caffè! Questo mi fa sicuramente mettere di buon umore. Diciamo che le giornate di sole in inverno in Svezia non sono tante ma arriveranno presto.

Francesca: Un’ultima domanda prima di salutarti ed è legata a una cosa che avevi detto prima. Hai detto ho diversi obiettivi e adesso io rubo una una domanda che ha fatto Mario Calabresi -che io seguo tantissimo, sono proprio una sua fan sfegatata — ha fatto questa domanda a Paola Cortellesi. L’ha intervistata dopo l’uscita del suo film “C’è ancora domani”. Lui le ha chiesto “Qual è il tuo sogno?” e lei ha detto questa cosa molto interessante: “Lo sai che io non ho mai pensato ai sogni ma ho pensato ai progetti” e lui ha detto questa cosa bellissima: “per dare gambe ai sogni bisogna chiamarli progetti”. Quindi io ti chiedo qual è il tuo progetto?

Giuseppe: Più che progetto ho una missione che in fin dei conti è quella di rendere gli ambienti di lavoro con cui mi trovo a che fare più umani, perché appunto dobbiamo smetterla con questa idea dell’ingranaggio, della macchina, etc. e questo appunto comprende tutte le cose che ci siamo detti: democratizzare la leadership, trattare le persone come persone perché, ad esempio, nei processi di assunzione si investono tanti soldi per assumere le persone migliori e poi le si mette a fare cose stupide oppure a semplicemente a seguire dei processi, delle direttive senza sfruttare le capacità delle persone. Alla fine è la mia missione, come e quando realizzarla? Non mi pongo un progetto particolare. Nella vita, ma anche lo scautismo mi ha insegnato che appunto tu fai un piano e poi succede tutt’altro. Perché ci sono le intemperie e quindi riuscire a fare, a mettere in atto questa cosa nel qui e ora, dove mi trovo, nel contesto in cui mi trovo, con te in questo momento, nelle conferenze in cui parlo, con i miei clienti, cercando di mettere in pratica questa questa cosa. Che poi se vogliamo è la mia attualizzazione di quello che poi è la missione degli scout in tutto il mondo, quella di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’hanno trovato e per me significa fare questa cosa qua, fare questa cosa nell’ambito dell’umanizzazione degli ambienti di lavoro.

Francesca: Penso che sia un’ottima chiusura questa! Giuseppe, che dire, ti ringrazio penso che sia andata benissimo la prima!

Giuseppe: Ringrazio te! Sono curioso di vedere come appunto si svilupperà questa cosa. Ti ringrazio comunque di avermi invitato, lo apprezzo molto.

Qui potete ascoltare l’intervista a Giuseppe De Simone

Questa intervista è stata resa in forma scritta ascoltando -come non poteva essere così!- “Basta ‘na jurnata ‘e sole” di Pino Daniele

--

--

Francesca Postiglione
weBeetle

Facilitator & Corporate Trainer @weBeetle, psycholinguist, unaware nerd, picture book lover, mamma di Anita e Alma.