Inclusive Design: la centralità della diversità umana come naturale metodo di progettazione

L’essere umano come unico utente centrale e sfaccettato nella sua diversità personale, sociale e culturale

Francesca Postiglione
weBeetle
7 min readJan 17, 2022

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Photo by Tim Mossholder on Unsplash

di Francesca Postiglione e Anna Grazia Longobardi

“Non esistono pause o eccezioni. Il concetto di inclusione riguarda tutti e non solo determinate persone e, soprattutto, non si attua solo in determinati spazi. Ogni persona, in quanto cittadino attivo, deve essere consapevole che può risultare ostacolo o facilitatore dell’inclusione e della piena partecipazione di una persona in un contesto sociale, senza delegare ad altri la salvaguardia e l’attuazione di tale diritto. Ogni luogo deve darle piena cittadinanza. L’inclusione certamente si basa sulle parole, sui principi e si rinforza con le evidenze scientifiche, ma viene definita dalle nostre azioni”

— Emili, 2020

L’inclusione è sì un “principio regolativo” ma anche un insieme di pratiche concrete, che consentono prima di tutto l’identificazione delle barriere potenziali all’apprendimento e nella loro riduzione attraverso percorsi, soluzioni flessibili e utilizzabili dalla maggior parte dellǝ utenti.

Includere significa riconoscere le differenze, nominarle, e comprendere che non hanno valore sottrattivo ma che la distanza da quello che statisticamente viene definita “distribuzione normale”- e quindi percepito come conforme alla consuetudine e alla generalità- rappresenta un’opportunità.

Includere significa pensare a come raggiungere tuttǝ, significa abituarsi ad una progettazione plurale e accogliente. Modificare l’approccio, il proprio sguardo, crea nuovi modi di interagire con l’ambiente e nuove opportunità creative. Per questo motivo il primo passo per avere un approccio inclusivo nella generazione di un progetto, qualunque sia la sua natura, passa per quattro concetti chiave (Ianes, 2020):

  • Comprendere;
  • Cercare;
  • Riconoscere;
  • Valorizzare.

Comprenderle significa spogliarsi dai dogmi e dalle classificazioni, cercarle significa far emergere le differenze in modo che tuttǝ possano vederle, riconoscerle equivale a dar loro una casa e una quotidianità, valorizzarle crea le condizioni per utilizzarle, per renderle risorse concrete.

Questi quattro concetti esplicitano in maniera netta come il concetto di utente medio non possa assolutamente rappresentare la voce con cui dialogare. Il processo di coprogettazione cambia e quello che era un dialogo tra designer e “utente modello”, -prendendo a prestito una semplificazione del concetto di “modello” secondo Umberto Eco- cioè un destinatario immaginario a cui il progetto è indirizzato, cambia forma per diventare una animata conversazione tra moltitudini. Ne consegue che anche chi progetta debba moltiplicare il suo sguardo, assumerne tanti. Straripare avrebbe detto Álvaro de Campos, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa.

Dall’ergonomia cognitiva all’Inclusive Design (Norman ci aveva visto bene)

https://www.treccani.it/vocabolario/ergonomia/ + https://www.treccani.it/vocabolario/ergo-1 + https://www.treccani.it/vocabolario/nomia

èrgo-1 [dal gr. ἔργον «opera, lavoro»]. — Primo elemento di parole composte formate modernamente (come ergometria, ergotecnica), che significa «lavoro».

-nomìa [dal gr. -νομία, der. di νέμω «amministrare, reggere»]. — Secondo elemento di parole composte, derivate dal greco (come autonomia, astronomia, economia, ecc.) o formate modernamente (come agronomia, biblioteconomia, tassonomia o tassinomia, ecc.), nelle quali ha il sign. di «governo», «modo di amministrare», «modo di distribuire ordinatamente» e sim.

Il modo di progettare, nel tempo, è cambiato parallelamente alle esigenze degli/delle utenti. L’essere umano ha iniziato a progettare macchine che potessero soddisfare i propri bisogni e che quindi fossero ergonomiche. Ergonomia, letteralmente “modo di amministrare il lavoro”, è la disciplina che si occupa, in ambito scientifico, psicologico, sociale e medico dei problemi relativi all’interazione uomo-macchina-ambiente.

Si è parlato per la prima volta di ergonomia, concetto genitore del più moderno human-centered design, grazie a Hywel Murrell, psicologo della marina militare britannica che nel 1949 studiò l’interazione delle persone con l’ambiente di lavoro. Murrell venne a mancare nel 1984, esattamente nel periodo in cui si cominciò a parlare di Human Centered Design (HCD) quando Mike Cooley, ingegnere irlandese, ribaltò il rapporto uomo-macchina ponendo l’uomo prima della macchina. La macchina diventa così elemento di supporto che favorisce le capacità dello stesso.

La qualità soggettive divengono, appunto, centrali.

“Il design centrato sull’uomo è un approccio allo sviluppo di sistemi interattivi che mira a rendere i sistemi utilizzabili e utili concentrandosi sugli utenti, sui loro bisogni e requisiti e applicando fattori umani/ergonomia e conoscenze e tecniche di usabilità. Questo approccio migliora l’efficacia e l’efficienza, migliora il benessere umano, la soddisfazione degli utenti, l’accessibilità e la sostenibilità; e contrasta i possibili effetti negativi dell’uso sulla salute umana, la sicurezza e le prestazioni.”

ISO 9241–210:2019 (E)

Don Norman, nel 1988, in La caffettiera del masochista indicò delle caratteristiche¹ secondo cui il design di una macchina o di un oggetto di uso comune potesse definirsi usabile e antropocentrica:

  • Il design mi ha “parlato” invitandomi in qualche modo a seguire un flusso (Affordance);
  • Mi ha suggerito delle azioni tramite elementi grafici (Significante);
  • Le mie azioni hanno generato un risultato immediatamente responsivo e positivo (Feedback).

L’affordance non è altro che un insieme di “segnali” o inviti che quell’oggetto o quella macchina ci manda circa le possibilità del suo utilizzo. Al contrario, vi sono i vincoli, ovvero tutte quei segnali che comunicano i limiti del suo utilizzo.

I vincoli, sono fisici, culturali, semantici e logici:

  • Vincoli fisici: sono limiti fisici propri dell’oggetto o dell’esperienza che suggeriscono un numero circoscritto di azioni. Se utilizzato propriamente, questo tipo di vincolo rende l’esperienza intuitiva e guidata;
  • Vincoli culturali: sono limiti sociali relativi al contesto culturale in cui ci si trova e che possono cambiare nel tempo. Non esiste una convenzione su come trattare questo tipo di vincolo, ma dagli studi di Norman emerge che esistono dei frame cognitivi, strutture di regole che governano il nostro comportamento in situazioni o culture nuove;
  • Vincoli semantici: sono limiti del significato di ciò di cui si fa esperienza. E in quanto semantici, si basano sulla conoscenza del mondo. Come i vincoli culturali, i vincoli semantici cambiano col tempo e anche molto più rapidamente. Basta pensare alle tecnologie, al design o all’arte che danno un nuovo significato alle cose e al contesto in base al momento in cui viviamo;
  • Vincoli logici: sono limiti che derivano da una deduzione naturale dell’esperienza, magari dopo aver ricevuto già suggerimenti da quelli fisici, culturali e semantici. Ad esempio: quando si costruisce un puzzle e rimane l’ultima casella da riempire per completare l’immagine, per logica poniamo l’ultimo pezzo rimasto nell’ultima casella vuota.

Gli inviti (affordance) come i vincoli servono, in fase di progettazione, a semplificare l’esperienza finale dellǝ utenti.

E se dal 1984 la soggettività è stata messa al centro dell’esperienza, tutte le possibili combinazioni di inviti e vincoli e le loro caratteristiche mutabili nel tempo rendono la soggettività difficile da sintetizzare in un unico e statico insieme comune. Oggi i concetti di utente medio e target decadono perchè decade la soggettività come unicità.

La soggettività diventa sinonimo di molteplicità, di eterogeneità, di diversità.

Progettare per l’essere umano significa progettare per una moltitudine di voci socialmente e culturalmente diverse. Significa renderla accessibile e inclusiva a tutte quelle voci.

Principi dell’Inclusive Design

“Design for All is design for human diversity, social inclusion and equality. This holistic and innovative approach constitutes a creative and ethical challenge for all planners, designers, entrepreneurs, administrators and political leaders.
Design for All aims to enable all people to have equal opportunities to participate in every aspect of society. To achieve this, the built environment, everyday objects, services, culture and information — in short, everything that is designed and made by people to be used by people — must be accessible, convenient for everyone in society to use and responsive to evolving human diversity.
The practice of Design for All makes conscious use of the analysis of human needs and aspirations and requires the involvement of end users at every stage in the design process.”

- From The EIDD Stockholm Declaration©, 2004

La Progettazione per tutti o Design for All è una metodologia che ha l’obiettivo di rendere la progettazione di spazi, oggetti o servizi inclusivi e accessibili ad ogni categoria di persone. Dal 1993 l’EIDD (European Institute for Design and Disability) promuove i principi di inclusione e nel 9 maggio 2004 durante l’assemblea annuale approva la Dichiarazione di Stoccolma e i seguenti principi:

  1. Il Design Inclusivo mette le persone al centro del processo di progettazione;
  2. Il Design Inclusivo riconosce la diversità e la differenza;
  3. Il Design Inclusivo offre una scelta quando una soluzione progettuale non può soddisfare tutt* gli/le utenti;
  4. Il Design Inclusivo offre flessibilità nell’uso;
  5. Il Design Inclusivo fornisce ambienti adatti e utilizzabili da tutt*.

Seguire questi 5 principi di progettazione consente quindi la realizzazione di un prodotto che sia:

  1. Inclusivo in modo che tutti possano fare esperienza in modo sicuro, semplice e con dignità;
  2. Reattivo in modo che tenga conto di quello di cui le persone dicono di aver bisogno e di volere;
  3. Flessibile in modo da adattarci alla eterogeneità delle persone e ai loro diversi approcci;
  4. Comodo in modo che tutti possano usarli senza troppi sforzi o difficoltà;
  5. Ospitale, senza barriere invalidanti che potrebbero escludere alcune persone;
  6. Accogliente, senza barriere invalidanti che potrebbero escludere alcune persone;
  7. Realistico, che offra più di una soluzione che potrebbe bilanciare i bisogni di tutt* e riconoscere che una soluzione potrebbe non funzionare per tutt*.

“Good design enables, bad design disables”

La progettazione che s’ispira all’Inclusive Design e ai suoi principi nasce proprio dall’osservazione e dalla ricerca sugli individui e sulle loro necessità. Esigenze diversificate che fanno saltare tutti i parametri standard. Il pensiero plurale alla base di una progettazione inclusiva diventa così un vero atto politico: per riconoscere, per nominare, per valorizzare tutte le differenze che l’umanità presenta.

Mettere le persone al centro a partire dai primi momenti del processo, educarsi ad uno sguardo empatico, comprende limiti, comportamenti e le traiettorie delle grandi capacità di adattamento degli esseri umani ha un valore sociale inestimabile.

Il design, che come disciplina ha uno sviluppo tentacolare, può essere considerato così come movimento per i diritti umani e avere un impatto forte e sistemico su tematiche rilevanti a livello globale come quella dell’inclusione.

Questo articolo è stato scritto a quattro mani con la musica in sottofondo. Francesca ha ascoltato “hold that thought” dei Brian Jonestown Massacre:

Anna Grazia ha ascoltato “Your Power” di Billie Eilish:

Fonti

¹ The design of everyday things (La caffettiera del masochista), Donald A. Norman, 1988, p. 32

Bibliografia

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Francesca Postiglione
weBeetle

Facilitator & Corporate Trainer @weBeetle, psycholinguist, unaware nerd, picture book lover, mamma di Anita e Alma.