La forma delle emozioni

UX Design Emozionale — Come l’emozione può cambiare l’esperienza di utenti e designer

Anna Grazia Longobardi
weBeetle
6 min readJul 18, 2019

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Il concetto di human centered è diventato la febbre dell’oro a cavallo tra 2018 e 2019: in ambito enterprise le aziende ricercano con smania il contatto diretto con gli utenti ultimi, investendo in una ricerca stratificata e settorializzata di come comunicare al proprio target e modificare il proprio prodotto o servizio sulle esigenze di quel target. Ci si cala nei panni dei propri user, si vede con i loro occhi, si fa esperienza con la loro testa.

L’esperienza di un utente è la pepita del 2019.

Da questo punto in poi prende forma l’esoscheletro del nostro Gold Digger: lo User Experience Designer.

Usercentrismo, 2019, di Anna Grazia Longobardi

Oggi lo possiamo nominare ad alta voce senza che sembri una qualche “misteriosa presenza intergalattica super segreta scoperta della NASA”, ma il ruolo dello User Experience Designer è entrato nelle nostre vite da relativamente poco tempo: il concetto di UX ha fatto coming out a metà degli anni 90 con il lavoro di ricerca sul rapporto uomo-macchina di Donald A. Norman nell’ambito della psicologia cognitiva. Norman sostiene e rivendica la centralità dell’uomo (human-centered system) in un mondo che interagisce con esso, ribaltando la concezione darwiniana che è l’uomo ad adattarsi all’ambiente. Il mondo moderno quindi deve aderire all’uomo come un cappotto cucito su misura: perfetto, ergonomico e invisibile.

Se i cappotti hanno tutti le stesse peculiarità e funzionalità, cosa rende così speciale questo o quel cappotto?

Il design dell’usabilità gioca un ruolo decisivo e decisionale, può determinare la buona o la cattiva fruibilità dell’esperienza: un cappotto troppo lungo sarebbe difficile da indossare per una persona di media altezza, uno troppo corto diventerebbe una giacca perdendo difatti la sua funzionalità.

“In assenza di emozioni, la nostra capacità di prendere decisioni risulterebbe compromessa. “

— Donald A. Norman

La logica dell’emozione

Come può l’UXD quindi contribuire al movimento usercentrico?

Ricerche passate riconducono il design dell’usabilità a discipline analitiche — scienze cognitive, psicologia, informatica. Le ricerche moderne ci permettono invece di aggiungere alla logica scientifica un valore determinante per l’usabilità: l’emozione.

Nel 2004 Norman dà un contributo significativo nel suo Emotional Design, asserendo che “oggi, noi studiosi di scienze cognitive comprendiamo come l’emozione sia una componente necessaria della vita, poiché influenza il nostro modo di sentire, di comportarci e di pensare. In realtà, l’emozione ci rende più intelligenti. Questa è la lezione delle mie attuali ricerche. In assenza di emozioni, la nostra capacità di prendere decisioni risulterebbe compromessa. L’emozione ci trasmette continuamente dei giudizi, offrendoci informazioni immediate sul mondo: qui potrebbe esserci un pericolo, lì un possibile benessere; questo è bello, quello è brutto. Una delle modalità con cui operano le emozioni è tramite i mediatori chimici, che toccano alcuni specifici centri del cervello e che modificano la percezione, la capacità di prendere decisioni e il comportamento. (…) Così come le emozioni sono essenziali per il comportamento umano, risultano ugualmente decisive per le macchine intelligenti.” ¹

L’UXD, in fase prima di analisi e poi di designing (e quindi di progettazione), ha la missione di trasmettere neuralmente un’emozione positiva tramite l’architettura delle interazioni: un’emozione di soddisfazione dei bisogni, di intuitività delle possibilità, di compiutezza delle azioni, di coerenza dell’esperienza. Il suo quindi è un ruolo trasversale, anch’esso centrico da un lato e necessariamente propedeutico dall’altro.

“La ragione mi diceva che il colore non era importante, ma la mia reazione emotiva sosteneva il contrario.“

— Donald A. Norman

Forma e sostanza dell’esperienza

L’UXD applica le sue conoscenze sulla progettazione di prodotti o servizi di diversa natura, ma è comunemente associato all’interazione uomo-computer e di conseguenza ad esperienze di tipo digitale: un software, un sito web, un’app mobile, uno strumento di AI (Artificial Intelligence), un progetto in AR (Augmented Reality), un videogioco sono tutti ambienti in cui è probabile trovare la mano di un UXD.

Se lo User Experience Designer si occupa dell’architettura dell’interazione, lo User Interface Designer, o UID, si occupa dell’aspetto formale dell’interazione: il primo è quasi invisibile, come per l’uomo l’apparato scheletrico o muscolare, il secondo è esposto e visibile, come la pelle e gli annessi cutanei (unghia, capelli, peli). La UX quindi determina la funzionalità sulla quale aderisce la “veste” dell’UI. Due ruoli quindi diametralmente opposti ma indissolubili che viaggiano verso una missione comune: mettere a proprio agio l’utente.

La User Interface può talvolta essere determinante per l’espressione dell’emozione nell’user: un’app intuitiva e pulita, un videogioco graficamente gradevole, un sito web d’informazione ordinato sono tutte esperienze che generano la satisfaction nell’user.

Come l’UI Design rende formalmente esplicita l’architettura dell’UX Design?

L’UI Designer ha la capacità di strutturare il flusso dell’esperienza utente dal punto di vista di comunicazione visiva, grazie alla conoscenza non solo tecnica ma anche in ambito cognitivo: la psicologia dei colori, la teoria della Gestalt, i fattori antropometrici fanno parte della forma mentis del buon UID.

Ad esempio, è naturalmente intrinseco nei colori suscitare un’emozione. In Emotional Design, Norman condivide la sua esperienza digitale con i colori, raccontando che “nei primi anni di vita del personal computer nessuno parlava di schermo a colori. Erano per lo più in bianco e nero. (…) All’inizio degli anni 80, quando gli schermi a colori vennero introdotti per la prima volta nel mondo dei personal computer, non mi fu facile comprenderne il fascino. A quei tempi il colore veniva usato principalmente per evidenziare il testo o per aggiungere qualche decorazione superflua sullo schermo. Da un punto di vista cognitivo, il colore non aggiungeva alcun valore che non fosse possibile ottenere con le sfumature di grigio. Ma le aziende erano decise ad acquistare monitor a colori con costi addizionali, pur in assenza di giustificazioni scientifiche. Ovviamente il colore veniva a colmare un bisogno, ma di un tipo che non era possibile misurare. Presi in prestito un monitor a colori per capire da dove venisse tutto quell’interesse. Mi convinsi presto dell’esattezza della mia opinione iniziale: il colore non aggiungeva alcun valore sostanziale al lavoro quotidiano. Eppure mi rifiutai di farne a meno. La ragione mi diceva che il colore non era importante, ma la mia reazione emotiva sosteneva il contrario.” ²

Negli anni si sono naturalmente formate delle convenzioni nelle esperienze digitali circa il binomio colore-emozione: se l’utente trova un button o un messaggio rosso in un sito web è istintivamente allertato da un possibile errore o azione distruttiva; se invece trova un’icona verde alla fine di un processo di installazione di un software capirà già di aver effettuato correttamente la procedura senza dover leggere alcun avviso testuale.

L’UID riesce quindi a guidare l’utente nell’architettura dell’UXD tramite tecniche visive, colori, spazi, contrasti e gerarchie.

Si può quindi già capire che nell’operato dell’UXD e dell’UID è intrinseco il concetto di human-centered system: due figure che osservano l’atteggiamento dell’uomo verso il mondo, come due ittiologi con i delfini. La loro ricerca differisce solo in un nodo centrale: il contesto. Il contesto del mondo è in continua evoluzione tecnologica e questo rende la conoscenza dell’usabilità una scienza dinamica, in continua metamorfosi e accrescimento. Per questo motivo, e continuo apprendimento.

Da qui il motivo del paragone con un Gold Digger: l’UX Designer e l’UI Designer sono in una condizione di costante osservazione, di ricerca di nuovi contesti in cui apprendere, di studio di nuovi sistemi per scoprire la fonte dell’esperienza utente perfetta.

Traccia musicale consigliata

David Bowie, Golden Years (1983)

Fonti

¹ Emotional Design, Donald A. Norman, 2004, p. 8

² Emotional Design, Donald A. Norman, 2004, p. 7

Bibliografia consigliata

Norman Donald A., Emotional Design, Basic Books (1 edition), 2004

Norman Donald A., The Design of Everyday Things, Basic Books (1 edition), 1988

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