Psicol(ori)gia: come la percezione dei colori cambia la nostra esperienza

Studio semi-serio di come i colori cambiano la nostra esperienza utente, dalla scelta di un detersivo in un supermercato al film in tv.

Anna Grazia Longobardi
weBeetle
9 min readAug 31, 2020

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Spingi il carrello lungo la prima corsia. Prendi il solito. Alla corsia parallela fai lo stesso. Arrivi alla terza corsia e quello che vuoi non c’è: “Prodotto esaurito”. Ma a te serve, quindi vagli le alternative: un pacco blu e giallo, vedi il contenuto, uno sguardo al prezzo e passi in rassegna il pacco bianco. Sembrano simili, in fondo. Quindi:

“Quale scelgo?”

La razionalità del colore: gli studi fisici di Newton, Goethe e Itten

Il colore nasce dalla luce. La luce appare bianca all’occhio, per cui il bianco non è un colore di per sè ma è la somma delle lunghezze d’onda di tutti i colori. Il colore di un corpo fisico, che non emette luce propria, nasce dal fatto che quel corpo assorbe tutte le lunghezze d’onda dello spettro visibile e ne riflette una o più frequenze della luce bianca che danno vita al colore.

La percezione del colore dall’occhio umano avviene in tre fasi:

  • Fase 1: lo stimolo luminoso esterno arriva all’occhio e raggiunge i coni, specializzati nella visione diurna, e i bastoncelli, specializzati nella visione notturna, della retina;
  • Fase 2: gli stimoli ricevuti vengono elaborati a livello retinico in segnali elettrici e inviati al cervello;
  • Fase 3: i segnali vengono proiettati nelle aree del cervello e interpretati come colore.

Lo studio della luce e del colore ha origini antiche quanto la curiosità umana, in campo fisico, filosofico e psicologico. Isaac Newton studiò la dispersione ottica di un raggio di luce bianca e sintetizzò le sue ricerche nel Opticks (trattato in 3 volumi, 1704): nei 3 volumi vengono descritti i fenomeni della riflessione e della rifrazione e afferma che a ciascun colore corrisponde un diverso indice di rifrazione e che la luce bianca del sole può essere scomposta, mediante prismi. I suoi studi però avevano delle lacune: ad esempio, Newton sosteneva una teoria corpuscolare secondo cui i fenomeni luminosi dipendevano da una sostanza diffusa nello spazio chiamata etere.

Ruota cromatica di Goethe (1809)

Nel 1790 Johann Wolfgang von Goethe si interessò al colore, come pittore, e poi alla teoria fisica del colore e difatti nel 1810 pubblicò La teoria dei colori (Zur Farbenlehre), trattato diviso in 6 parti. Seppur continuando a studiare sulla base delle teorie greche e della scomposizione della luce newtoniana, Goethe abbandonò e confutò la teoria corpuscolare e atomica e utilizzò il prisma introducendo anche il concetto di buio (nero) accanto alla luce (bianco) come fonti contrarie che danno origine al colore (teoria della polarità). Le prime 3 parti del trattato riguardano la sfera scientifica dei colori e trattano i colori fisiologici, dei colori fisici, e di quelli chimici. Col concetto di polarità e le teorie greche sui contrari, introduce il concetto di colori complementari, secondo cui osservando un colore, come il verde, l’occhio tenderà a produrne il suo opposto, ovvero il rosso. Secondo questo studio anticipa anche il contrasto di qualità di Itten, secondo cui la qualità, appunto, della percezione di un colore cambia in base al suo contesto o al suo sfondo. Sulla base della teoria dei contrari, Goethe costruisce la sua ruota cromatica.

Farbkreis di Johannes Itten (1961)

Oltre un secolo dopo, durante il quale non sono mancate dispute filosofiche e scientifiche, Johannes Itten, insegnante di teoria del colore alla scuola del Bauhaus di Weimar, raccolse in un’unica opera, Arte del colore (Kunst der Farbe, 1961), la sua vita di studi dedicata al colore e indirizzata ad allievi e appassionati. Assorbì e sviscerò tutte le teorie filosofiche sul colore, fece propri gli studi scientifici di Newton sulla luce, sperimentò insieme ai suoi allievi esercitazioni pratiche e visive fino a definire la propria teoria strutturale dei colori, tutt’oggi valida, e il conseguente rapporto tra loro. Va a definire quindi il disco cromatico a dodici parti, molto vicino a quello già individuato da Goethe: il disco, come si può notare, ha un cuore centrale, ovvero il triangolo equilatero dei colori primari (giallo, blu, rosso). Combinando ciascun lato del triangolo, ovvero mescolanto i colori primari a due a due si ottengono 3 colori secondati: il verde (blu + giallo), arancione (giallo + rosso) e viola (blu + rosso). Ottenendo così un esagono di colori primari e secondari. Inscrivendo l’esagono in un anello, otterremo i colori terziari risultanti dalla combinazione di un primario e di un secondario. Partendo dal destro del triangolo (del giallo primario) si avranno:

  • giallo + arancio = giallo-arancio;
  • rosso + arancio = rosso-arancio;
  • rosso + viola = rosso-viola;
  • blu + viola = blu-viola;
  • blu + verde = blu-verde;
  • giallo + verde = giallo-verde.

Ottenendo così un anello diviso in 12 colori equidistanti, in cui gli opposti sono complementari.

Partendo da questa struttura cromatica, Itten afferma che i nostri sensi valutano sempre e solo tramite confronti: una linea ci pare lunga messa a confronto con una corta, o viceversa. Allo stesso modo, la percezione dei colori avviene per confronti e quindi per contrasti. Riprende infatti le teoria di Goethe, definendo 7 contrasti di colore:

  • contrasto di colori puri: un contrasto energico creato con colori al massimo della loro saturazione (es. con i primari giallo, rosso, blu);
  • contrasti di chiaro e scuro: un contrasto tonale che parte dal punto massimo di luce e finisce nel punto massimo di buio (es. la scala di grigi da bianco a nero);
  • contrasto di freddo e caldo: un contrasto tra colori percepiti appunto freddi (dal giallo-verde al viola, con movimento antiorario sul disco di Itten) e caldi (dal giallo al rosso-viola, con movimento orario sul disco di Itten);
  • contrasto dei complementari: un contrasto tra colori che mischiati tra loro formano un grigio neutro (es. giallo-viola, arancio-blu, rosso-verde);
  • contrasto di simultaneità: un contrasto che si genera dalla necessità dell’occhio, che osserva un determinato colore, di guardare il suo esatto complementare e per cui lo rappresenta da sè;
  • contrasto di qualità: un contrasto tra colori intensi (saturi) e colori smorti (desaturi);
  • contrasto di quantità: un contrasto che nasce appunto dalla quantità più o meno presente di un colore o di un altro (es. un’immagine può essere fatta del 1/3 da rosso e 2/3 da verde, per fai appunto risaltare uno o l’altro colore).

Il confronto tra colori, la loro tonalità e la loro intensità genera all’occhio umano la percezione della spazialità.

Itten afferma fortemente, da studioso del colore, che l’obiettività e l’oggettività delle leggi del colore servono a liberarsi dalle limitazioni del gusto e della soggettività. Ma da pittore afferma che:

“Riconosco però che i più profondi ed essenziali segreti del cromatismo restano impenetrabili agli occhi e si possono cogliere solo col cuore.”

— Johannes Itten (Arte del colore, 1961, p. 7)

L’irrazionalità del colore: l’ ”istinto” di Itten, il simbolismo di Goethe e l’emozione di Don Norman

Itten, con il suo Arte del colore, quindi ha voluto creare una guida che riesca a veicolare o aiutare l’utilizzo del colore. Le leggi del colore non devono essere quindi una schiavitù, ma anzi devono aiutare a liberare dalle limitazioni soggettive. Riconosce però l’inarrestabile forza del genio che va oltre la conoscenza, la logica e la fisica: l’ispirazione e l’istinto soggettivo restano quindi il vero motore creativo. Si possono conoscere tutte le leggi cromatiche, i principi scientifici e la psicologia della forma, ma solo il genio istintivo attualizza la creazione.

“Che le cosiddette leggi del colore abbiano un valore solo parziale e relativo è d’altronde dimostrato dalla complessità e irrazionalità degli effetti del colore.”

Johannes Itten ( Arte del colore, 1961, p. 8)

Per Itten, la luce rivela l’anima del mondo a colori, la sua vitalità, la sua vita. I colori come vita, i colori come emozione: l’arcobaleno in cielo emoziona ogni volta gli uomini come fosse la prima, pur essendo un fenomeno naturale conosciuto e visto più e più volte.

“L’essenza primordiale del colore è un’armonia onirica, è musica divenuta luce.

— Johannes Itten

Per cui, afferma Itten, che l’elemento essenziale per la creazione artistica non è lo strumento espressivo ma l’umanità dell’uomo e che, a prescindere dal futuro dell’arte e delle sue forme, il colore avrà sempre la più grande forza espressiva.

La forza espressiva del colore.

Riflettendo su questo concetto di Itten e sviscerando il concetto di “espressione”, risulta che il colore ha una potente forza emotiva nonchè comunicativa: può comunicare inquietudine, spensieratezza, calma. Il colore, se si pensa al pensiero impressionista, è il primo elemento visivo di una “impressione” visiva, susseguita da forme e contenuti. Motivo per cui, ad esempio, molte persone hanno difficoltà nel guardare un film in bianco e nero (fatto eccezione ovviamente del gusto e dei fini artistici di un progetto): le tv a colori si sono diffuse con una certa distanza di tempo da Stato a Stato (in Italia solo negli anni 70), seppur essendo una tecnica già utilizzata nei primi decenni del novecento. Perchè oggi abbiamo difficoltà a mantenere l’attenzione su un’immagine monocromatica o in scala di grigi su uno schermo?

Don Norman, il papà dell’usabilità, racconta un aneddoto nel suo Emotional Design (Basic Books, 2004): “All’inizio degli anni 80, quando gli schermi a colori vennero introdotti per la prima volta nel mondo dei personal computer, non mi fu facile comprenderne il fascino. A quei tempi il colore veniva usato principalmente per evidenziare il testo o per aggiungere qualche decorazione superflua sullo schermo. Da un punto di vista cognitivo, il colore non aggiungeva nessun valore che non fosse possibile ottenere con le sfumature di grigio. (…) Ovviamente il colore veniva a colmare un qualche bisogno, ma di un tipo che non era possibile misurare. Presi in prestito un monitor a colori per capire da dove venisse tutto quell’interesse. Mi convinsi presto dell’esattezza della mia opinione inziale: il colore non aggiungeva alcun valore sostanziale al lavoro quotidiano. Eppure mi rifiutai di farne a meno. La ragione mi diceva che il colore non era importante, ma la mia reazione emotiva sosteneva il contrario.

Come agisce l’emotività dei colori sui nostri sensi?

Nelle altre 3 parti de La teoria dei colori, Goethe abbandona il lato prettamente scientifico e parla dell’esperienza del colori dal punto di vista simbolico, estetico ed etico. Definisce il mondo fisico non come elemento inerte, statico e passivo, la cui unica funzione è quella di essere “percepito” dai sensi attivi degli esseri viventi. Il mondo vibrante di colori esprime, oltre che la propria natura logica e oggettiva, anche il suo valore simbolico e morale: secondo la teoria della polarità, i colori appartenenti ad un “polo” (positivo) o a un altro (negativo) esprimono un differente stato emotivo.

I colori positivi (giallo, il giallo-rosso, arancio, il rosso-giallo) danno luogo a stati d’animo attivi, vivaci, tendenti all’azione, mentre i colori negativi (azzurro, l’azzurro-rosso, il rosso-azzurro) predispongono a uno stato di inquietudine e nostalgia. Per cui ogni colore predispone i sensi e l’occhio ad un’emozione e un’azione specifica.

“Quando l’occhio percepisce il colore viene subito posto in attività, ed è conforme alla sua natura la produzione, tanto inconsapevole quanto necessaria, di un altro colore che con quello dato racchiude la totalità del cerchio dei colori. Ogni colore singolo stimola nell’occhio, mediante una sensazione specifica, l’aspirazione all’universalità. “

— Johann Wolfgang von Goethe (La teoria dei colori, p. 805)

Il colore è quindi motore naturale dell’azione e reazione umana: comunica e invia un messaggio che mette in attività il ricevente. L’attenzione dell’utente è quindi attivata dall’armonia dei colori, dall’emozione provata con un colore e dalla necessità fisiologica dell’occhio di elaborare il messaggio bioelettrico. In questo si esplica la forza espressiva del colore, di cui parlava Itten.

In altre parole, l’uomo non può fare a meno di reagire ai colori, come non può fare a meno di reagire al fuoco o a un tuono. Lo stesso Don Norman ha sperimentato sulla sua pelle una reazione differente verso un‘esperienza in bianco e nero e una in technicolor.

I sensi sono predisposti all’attivismo cromatico, per natura. E per natura e per istinto, l’uomo reagirà: reagirà a un quadro di Picasso, a un banner per strada, a una vetrina di un negozio, alla copertina di un libro in libreria, alla fotografia di un film, a un casual game per cellulare, a un tramonto.

Tralasciando in questa sede i vincoli normaniani (culturali, fisici, sociali), l’utente reagirà ai colori perchè quest’ultimi comunicheranno attraverso la loro natura, i loro contrasti e i loro significati simbolici. Comunicheranno un messaggio e un’emozione che decideranno la reazione dell’utente. Che cambieranno la nostra esperienza.

“Quindi quale prodotto prendo?”

D’istinto prendo il pacco blu e giallo.

Fonti

Emotional Design, Don Norman, 2004

Arte del colore, Johannes Itten, 1961

La teoria dei colori, Johann Wolfgang von Goethe, 1810

Optiks, Isaac Newton, 1704

Letture consigliate

Un elaborato approfondito e interessante sulla teoria dei colori, diviso in 5 parti e scritto da Giuliano Antonello.

Brano consigliato per la letture

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