#SPEAKABEET about Coding Girls

Speakabeet: la rubrica in cui parliamo dei massimi sistemi del mondo digitale, del flusso delle maree di caffè e della rotazione giornaliera della sedia del Programmatore sul proprio asse. #Coding #Design #DigitalLife

Francesca Postiglione
weBeetle
3 min readDec 10, 2021

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“La gente dice che ho ricevuto una spinta emotiva. All’epoca mia figlia aveva tre anni e venne al laboratorio con me un fine settimana. Le avevo già detto che ero una scienziata prima e non credo che si fosse resa conto che ero davvero una scienziata. Così, quando venne in laboratorio e mi vide con indosso gli scarponi, la tuta di Tyvek, i guanti e gli occhiali protettivi, tutta l’attrezzatura mi guardò e disse: -Sei davvero una scienziata, mamma!- e poi disse: -Voglio fare la scienziata come te-. E quello fu il terribile, come dire, una sorta di “ora scoppio a piangere” momento scatenante che io abbia mai avuto. In effetti mi misi a piangere in quel momento e avendo tre anni non capiva perché piangessi, e quindi le dissi che erano lacrime di gioia. Stavo pensando che qualcuno l’avrebbe trattata come spazzatura tra 20 anni, come ero stata trattata io. L’unica cosa che potevo fare per aiutarla era cercare di rendere l’iniziativa un ambiente accogliente per le donne ed era una cosa che non avevo fatto.-

Jane Willenbring è una geomorfologa americana, professoressa alla Stanford University ed è una delle tre protagoniste del documentario “Picture a Scientist” di Ian Cheney e Sharon Shattuck. In questa narrazione si celebra l’impegno delle ricercatrici nella promozione di un ambiente più inclusivo e accogliente per le donne nei contesti accademici. Un impegno quotidiano per promuovere una scienza inclusiva e aperta.

La discriminazione sessista può essere molto sottile, nel documentario si utilizza la metafora dell’iceberg per raccontarne le forme più o meno manifeste. Quello che c’è sopra il livello del mare, il visibile, si concretizza in: molestie sessuali, coercizione, aggressione. Sotto c’è l’invisibile o almeno, quello che sfugge agli sguardi miopi; primo nella lista “subtle exclusion”, esclusione sottile, impercettibile.

Fonte: Picture a Scientist by Sharon Shattuck and Ian Cheney Uprising Production (2020)

Il tema della disparità di genere nell’accesso alle discipline scientifiche non è nuovo ma, sfortunatamente, siamo ancora costrett* a parlarne. Non è precisamente questo l’argomento di cui voglio parlare, ne rappresenta però il punto di partenza. Quello che mi interessa è quello che viene dopo.

La cosa che da sempre mi ha affascinato nell’essere umano è la sua capacità di reagire alle ingiustizie. Sono le forme di reazione alle discriminazioni che destano il mio interesse, soprattutto quelle belle, quelle che rappresentano le premesse di qualcosa di potente che verrà costruito. Jane Willenbring nel documentario parla di spinta emotiva e credo che anche questa rappresenti una delle scintille che hanno dato vita a Coding Girls, un programma formativo indirizzato a studentesse della scuola secondaria di primo e secondo grado, che dal 2014 contribuisce a ridurre la disparità di genere nello studio delle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Tra gli obiettivi del programma, promosso dalla Fondazione Mondo Digitale e dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia, ce n’è uno estremamente evocativo, che recita così: “Aiutare le giovani studentesse ad avere fiducia nella scienza”. Avere fiducia contribuisce a promuovere una scienza aperta, equa e inclusiva. Costruire alleanze per combattere pregiudizi e abbattere stereotipi legati al genere. Da progetto, Coding Girls è diventato negli anni un modello formativo accreditato e sostenuto da soggetti pubblici e privati.

È diventato un movimento che, come racconta Mirta Michilli, direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale, considera la scuola “il presidio efficace contro ogni forma di disuguaglianza”. Non si tratta semplicemente di insegnare la programmazione alle ragazze, ma di coltivare la fiducia in sé stesse, nelle proprie capacità, nella condivisione, nel gruppo che fa la differenza. E non è un caso che i percorsi formativi si basino su metodologie esperienziali e trasformative, sull’apprendimento tra pari e sul learning by doing. Si coltivano così menti capaci di esercitare continuamente riletture dei processi e delle esperienze. Si coltivano così sguardi e pensieri mobili fino a farli fiorire.

Questo #SPEAKABEET è stato scritto ascoltando “For the Trees” dei Matmos:

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Francesca Postiglione
weBeetle

Facilitator & Corporate Trainer @weBeetle, psycholinguist, unaware nerd, picture book lover, mamma di Anita e Alma.