#SPEAKABEET about UX

Speakabeet: la rubrica in cui parliamo dei massimi sistemi del mondo digitale, del flusso delle maree di caffè e della rotazione giornaliera della sedia del Programmatore sul proprio asse. #Coding #Design #DigitalLife

Anna Grazia Longobardi
weBeetle
4 min readNov 5, 2019

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Quanti designer e non, almeno una volta nella vita, hanno sentito parlare di “esperienza utente”? Quanti ancora si chiedono cosa sia questa onnipresente user experience?

“A chi non è mai capitato di spingere una porta invece di tirarla o di rinunciare a lavarsi le mani perché non riesce ad azionare il rubinetto?”

— Donald A. Norman

DEFINIZIONE

ISO, the International Organization for Standardization, nello standard ISO 9241–210:2019 “Ergonomics of human-system interaction — Part 210: Human-centred design for interactive systems” definisce l’esperienza utente, ovvero la user experience o UX, come “user’s perceptions and responses that result from the use and/or anticipated use of a system, product or service” ovvero come “le percezioni e le reazioni di un utente che derivano dall’uso o dall’aspettativa d’uso di un prodotto, sistema o servizio”, aggiungendo che “users’ perceptions and responses include the users’ emotions, beliefs, preferences, perceptions, comfort, behaviours, and accomplishments that occur before, during and after use”, ovvero specificando che le percezioni e le reazioni di un utente includono le emozioni, le aspettative, le preferenze, le percezioni, la comodità, i comportamenti e i risultati che si verificano prima, durante e dopo l’uso. Il concetto di esperienza utente è quindi soggettivo, in quanto l’utente è unico e uguale solo a sè stesso.

La psicologia cognitiva ha dato un forte contributo a questo tema portando avanti sperimentazioni che avevano l’obiettivo di descrive, e generalizzare, atteggiamenti e reazioni comuni negli esseri umani in modo da individuare specifici parametri in base ai quali “ciò di cui si fa esperienza” poteva definirsi usabile.

Norman e i principi dell’interazione

Il primo ad utilizzare il termine user experience è stato Donald A. Norman, all’epoca dirigente presso Apple Computer e studioso di design e processi cognitivi, nello specifico di usabilità. Nel suo The design of everyday things (1988) trova la soluzione all’enigma dell’usabilità nello human centered design (HCD), ovvero nel sistema secondo cui al centro di una corretta progettazione di un prodotto, servizio o sistema, ci sono i bisogni dell’utente. Per raggiungere l’obiettivo, colui che progetta e/o realizza things (designer, ingegnere, architetto, ecc) deve seguire 5 concetti psicologici fondamentali:

  • Affordance: letteralmente significa “invito” e rappresenta la relazione che c’è tra l’uso che suggerisce l’oggetto e l’agente che ne comprende quindi un possibile uso. (Es. Una sedia suggerisce di potersi sedere e per un adulto che è anche possibile sollevarla per spostarla: queste sono 2 affordance; per un bambino piccolo, una sedia suggerisce solo l’atto di sedersi e non di spostarla: ciò determina una solo affordance);
  • Significante: per spiegare questo principio utilizzo una citazione diretta di Norman “Le affordance determinano quali azioni sono possibili, i significanti comunicano dove l’azione va eseguita. (…) per me il termine indica ogni segnale visivo o sonoro, ogni indicatore percepibile che comunichi qual è il comportamento appropriato”¹;
  • Vincolo: questo principio è riconducibile a vincoli fisici, culturali, semantici, logici che limitano o impediscono di seguire una norma condivisa e che quindi inducono a considerare altre vie per la progettazione;
  • Mapping: questo principio prende in prestito un concetto matematico della relazione tra elementi di due insiemi ovvero, nel nostro caso, il mapping naturale che c’è tra un comando e l’azione che ne segue (ad esempio nelle stanze possiamo trovare più interruttori che corrispondono rispettivamente a più luci e un buon mapping potrebbe essere quello di disporre in maniera analoga interruttori e luci);
  • Feedback: è il principio che comunica i risultati di un’azione e lo fa in maniera immediata che sia visiva, uditiva o altro. Il feedback però non deve essere scarso nè invasivo, o almeno in caso di più feedback essi devono avere una scala di priorità, una gerarchia per cui vengono evidenziati quelli più importanti.

Il tutto è incorniciato dal modello concettuale, ovvero dalla semplice spiegazione di come funziona una cosa, che di solito è data a partire dalla cosa stessa e dall’esperienza di essa.

CONCLUSIONE

La UX quindi è l’architettura di interazioni che comunica all’utente le possibili azioni eseguibili, che segnala in modo diretto il flusso delle significanti, che tiene conto di vincoli fisici, culturali, semantici e logici, che esplicita un mapping naturale di comandi a cui corrispondono azioni che generano un feedback immediato, chiaro e non invasivo e che infine esplicita il modello concettuale con la semplice esperienza della cosa in sè: questa è usabilità.

Fonti

¹ The design of everyday things, Donald A. Norman, 1988, p. 32

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