EDUCAZIONE CIVICA DIGITALE: una formazione che dovremmo fare tutti

Nereo Sciutto
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Oggi, 31 ottobre, la Presidente della Camera Laura Boldrini presenta un progetto di educazione alle fake news rivolto a medie e superiori: perché ce n’è bisogno?

La mia è una opinione controcorrente, lo so. Ma ho visto Internet dall’inizio, ho navigato il primo sito web e da sempre mi appassiona la Rete come fenomeno sociale e non solo nel suo ruolo di medium di comunicazione (che è quello che dà da mangiare alla mia agenzia).

Se ci vogliamo occupare dei giovanissimi, dobbiamo accorgerci che per primi stanno sviluppando una serie di anticorpi interessantissimi di cui noi grandi non siamo dotati perché certe malattie non c’erano quando siamo cresciuti.

Il problema oggi non sono i ragazzi, ma gli adulti che non hanno tutti gli strumenti per gestire elementi importanti come i social network con i quali non sono cresciuti e per i quali non sono stati educati. A un certo punto della loro vita di adulti, si sono trovati nel mezzo di una rivoluzione con in mano strumenti in grado di veicolare liberamente e senza filtri a una rete sociale il loro pensiero o— molto più spesso — tantissimi contenuti altrui. Sono figli di questa situazioni fenomeni come gli hater da tastiera, la mancanza di fact checking anche di base, la leggerezza con cui si condividono aspetti delicati della propria vita e dei propri famigliari e così via.

Una premessa: Educazione vs Controllo

I Governi stanno affrontando Internet pensando che la dimensione geografica sia rilevante. Gli stessi Stati Uniti ebbero una prima dolorosa esperienza vent’anni fa a partire dal Communications Decency Act del 1996 che, in sintesi, decretava il divieto di condividere contenuti pornografici sul suolo americano. Il giorno dell’entrata in vigore di quest’atto che era stato immaginato come risolutivo, le aziende incriminate spostarono i loro siti in Canada continuando a offrire lo stesso servizio negli States, esattamente come prima e con un impatto inferiore dal punto di vista fiscale. È così che gli USA hanno capito che non potevano vincere questa guerra: nessun fenomeno globale — che non ha un luogo fisico, per la stessa natura della Rete che funziona grazie alla distribuzione di nodi — si può fermare/gestire/controllare localmente. Che è poi il motivo fondante per il quale è nata Internet proprio con investimenti del Pentagono: Milnet (il primo nome di Internet) aveva come scopo quello di non far bloccare le operatività in guerra in caso di bombardamento di un centro di comando. Lo faceva distribuendo le informazioni e i centri, collegandoli in Rete e rendendo l’insieme più sicuro, distribuito e sparso di quanto fosse in precedenza.
Bombardi una città o il Pentagono e il resto della Rete può compensare perché ha la struttura per comunicare e archiviare le informazioni replicate nei suoi nodi. Questo ha portato a una perdita totale del controllo geografico dato dai confini e, di conseguenza, dai singoli Paesi.

Questa considerazione è importante perché quando un legislatore mette mano a una legge su Internet ha sempre la presunzione di poter ottenere un effetto. Mentre la Rete, per sua stessa natura, rende vana qualsiasi iniziativa solitaria.

Prima i bambini, ma presto gli adulti

C’è un generale problema di education che però andrebbe fatta prima sui decisori, sui CEO delle aziende, sui politici (anche per le loro storie individuali). Questo perché il sistema è andato troppo avanti e in molti punti il legislatore da una parte e le aziende dall’altra, hanno perso anni. Le loro decisioni di oggi rischiano di nascere già inadeguate o fuori dal tempo e quindi perderanno efficacia.

Dopo (o forse prima di) esserci preoccupati dei bambini e ragazzi — come succede quando bisogna affrontare un’emergenza — preoccupiamoci anche dei loro genitori e degli stessi professori che sono adulti a loro volta ma che sono anche elettori e probabili portatori (sani?) di fake news. Gli untori del nuovo corso, sono in primis gli adulti. Fosse solo per il fatto che la Campana di Gauss dello user di Facebook non è certo puntata sui 15/25enni bensì da lì in poi, fino e oltre ai 50.

Ne ho parlato su Grazia n.45 pagg 55 e 56

Quello che consiglio è quindi di occuparsi e preoccuparsi dei nostri giovani ma per farlo dobbiamo formarci prima noi adulti — con l’umiltà di chi sa di non sapere (abbastanza) — perché i professori che domani andranno in classe a spiegare ai nostri ragazzi come distinguere le fake news devono riuscire a farlo e avere non solo gli strumenti (gli anticorpi di cui parlavo prima) ma anche la forma mentis per non inquinare i giovani con i loro preconcetti su cosa sia giusto e cosa no.

I genitori vengono forse ancora prima perché non puoi demandare alla scuola una educazione di base che oggi deve comprendere anche un uso sano della Rete.

Mi aspetto che i giovani e i giovanissimi di oggi abbiamo già sviluppato più anticorpi degli adulti e riescano meglio di chiunque altro a criticare quello che vedono… o — molto più probabilmente — a fuggire dai social network dove quello che trovano non è per loro interessante. La rete sociale dei giovanissimi è molto di più fra di loro, con un taglio netto verso le discussioni da dietrologia fanta-politica tipica degli over 30. E in qualche modo ci stanno dando una lezione. E la stanno dando ai social network di oggi che vedranno minata la loro esistenza quando queste nuovissime generazioni cresceranno senza conoscerne neanche l’esistenza. Snobbandoli. Ma questa è un’altra storia.

Questo post è un approfondimento di quanto ho raccontato sul tema intervistato sul settimanale Grazia ora in edicola.

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