Il restyling delle SERP mobile di Google è il colpo di grazia alla SEO?

Spoiler: no.

Fabio Gelmini
Webranking
6 min readJul 9, 2019

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È mercoledì 22 maggio 2019 quando apro la mia casella di posta e trovo una newsletter di Google che mi avvisa che c’è A new look for Google Search. Sono curioso, apro la mail e scopro che da quel giorno Big G ha aggiornato l’aspetto dei risultati a pagamento nelle SERP mobile sostituendo l’ormai famosa etichetta verde con un molto più sobrio Ad in neretto accanto all’URL di pagina (anche questo nero e spostato sopra il title).

La nuova etichetta degli annunci a pagamento su Google.

Chiudo la mail e continuo il mio lavoro pensando agli effetti di questa piccola modifica ma non mi dilungo più di tanto nel flusso dei pensieri.

Passano alcuni giorni, apro la Google Search Console di un cliente e mi trovo di fronte a un inaspettato trend:

Calo del CTR organico su e-commerce del settore sportswear (fonte: GSC).

E proprio a partire dal 22 maggio 2019 il CTR dei risultati organici è iniziato a diminuire clamorosamente, a fronte di impression e posizione media stabili.

Coincidenze? Io non credo…

Analizziamo i dati

Qualcosa mi suggeriva che quella mail letta velocemente potesse darmi la soluzione; il recente restyling degli annunci a pagamento poteva avere a che fare con questo improvviso peggioramento del CTR organico…

Per escludere eventuali problemi legati al singolo sito analizzato, decido di controllarne anche altri di settori differenti:

Calo del CTR organico su e-commerce del settore luxury (fonte: GSC).
Calo del CTR organico su e-commerce del settore fashion (fonte: GSC).

E cosa noto? Anche in questi casi emerge una chiara flessione del CTR organico (dunque dei clic) a partire dalla seconda metà di maggio 2019.

Diamoci delle risposte

Il sentore era corretto: la nuova veste degli annunci a pagamento pare aver impattato negativamente sulle performance organiche di diversi siti.
Con buona probabilità la forte somiglianza dei nuovi annunci paid rispetto ai classici risultati organici rende molto più difficile distinguerli, portando gli utenti a cliccare maggiormente su un risultato a pagamento.

In giallo un risultato a pagamento nel nuovo formato; in viola un risultato organico.

Se a questo aggiungiamo il fatto che i risultati a pagamento vengono presentati prima dei risultati gratuiti, ecco spiegato il peggioramento del CTR dei risultati organici, meno visibili rispetto a quelli sponsorizzati.

Le leve per far fronte a questa situazione sono poche dal momento che non possiamo modificare l’aspetto delle pagine dei risultati di ricerca.

Quindi che fare?

È possibile testare delle varianti di title tag e meta description attraverso A/B test, in modo da trovare eventuali formati che possano migliorare la visibilità dei risultati organici e migliorare il CTR.

Un’altra accortezza da avere riguarda la favicon, anch’essa introdotta recentemente da Google sui risultati organici.

La favicon viene mostrata accanto all’URL della pagina nelle SERP Google.

La favicon non solo favorisce la riconoscibilità del brand attraverso il suo logo ufficiale, ma aiuta l’utente a distinguere sia i risultati del brand dai risultati terzi (Converse.com da Zalando.it nell’esempio sopra), sia i risultati organici da quelli a pagamento (Converse.com da Asos.com, sempre nell’esempio sopra).

Minore CTR organico = maggiore CTR paid?

Se tanto mi dà tanto, una diminuzione del CTR organico dovrebbe tradursi in un miglioramento del CTR paid sulle campagne a pagamento del mio sito, no?

Beh, non necessariamente.

Se da una parte i clic persi dai risultati organici potrebbero essere guadagnati da quelli delle nostre campagne search, dall’altra dobbiamo tenere in considerazione un paio di fattori che possono confutare questa ipotesi.

Primo

Non siamo soli nel nostro mercato. I nostri competitor sono sempre attivi e si danno da fare quanto noi per portare a casa risultati. I clic persi dai risultati organici, dunque, potrebbero essere intercettati da risultati a pagamento dei competitor, i quali biddano sulle stesse keyword sulle quali biddiamo noi. Amazon è un esempio palese di questa dinamica: tendenzialmente troveremo un annuncio sponsorizzato Amazon su quasi tutte le SERP di ricerche transazionali e non solo. E in questo caso sarà Amazon a portarsi a casa una percentuale dei clic mancati all’organico.

Secondo

Google non offre solo ed esclusivamente annunci a pagamento di tipo Search, ma in cima alle SERP (specialmente per ricerche transazionali) compaiono risultati a pagamento di tipo Shopping. Ciò avviene specialmente per ricerche di prodotto, dove l’aggregatore di Google Shopping mostra i prodotti in vendita sui nostri siti o su quelli dei competitor. Altro fattore che fa scivolare i nostri risultati organici ancora più in basso, soprattutto per quanto riguarda le SERP mobile.

È quindi necessario analizzare la situazione tenendo in considerazione tutti questi fattori allo scopo di verificare se una dispersione dei clic sui risultati organici sia stata tamponata da campagne a pagamento verso il nostro sito oppure verso il sito di un competitor.

La visibility come indicatore di qualità

Una cosa è chiara: non per forza un peggioramento del CTR organico è imputabile a problemi sul nostro sito o a una cattiva strategia SEO. Ma come possiamo valutare obiettivamente le performance del nostro sito quando i dati di traffico sono calati rispetto all’anno precedente?

In altre parole, come facciamo ad escludere dalle nostre performance organiche l’incidenza di questo aggiornamento dei risultati a pagamento di Google?

Un primo indicatore potrebbe essere la posizione media dei nostri risultati, dato che ci viene offerto direttamente dalla Google Search Console.

Però, sì: c’è un però. La posizione media è — appunto — un dato medio, ovvero un’informazione molto approssimativa delle performance di una pagina web. Inoltre non tiene in considerazione un fattore molto importante, cioè il peso della keyword per la quale la pagina si posiziona. Raggiungere la posizione #1 per una keyword come “calzature comode” è ben diverso che posizionarsi primi per “scarpe da uomo”. La prima query conta in media 170 ricerche al mese, mentre la seconda ne conta ben 2.900!

Ecco allora che ci viene in aiuto la SEO visibility, un indice di performance organica basato sul ranking della pagina, sul volume di ricerca medio della keyword intercettata e sul CTR stimato per la posizione occupata.

A differenza del traffico, la SEO visibility è un indicatore stabile per due motivi:

  • esclude qualsiasi intervento della stagionalità
  • monitora solo ed esclusivamente l’andamento organico di un sito

Se la nostra SEO visibility sarà in crescita nel tempo (o quantomeno stabile), potremo affermare di avere raggiunto buoni risultati dal punto di vista organico, indipendentemente dalla presenza di fattori esterni (come i cambiamenti sui risultati a pagamento).

Mi vuoi veramente dire — di nuovo, anche tu — che la SEO è morta?

In Webranking vogliamo sbilanciarci affermando che l’attuale trend negativo sul CTR dei risultati organici sarà destinato a invertire la rotta entro i prossimi mesi, per il semplice motivo che gli utenti saranno sempre più abili nel distinguere gli annunci a pagamento dai risultati organici.

A tal proposito, una recente analisi di SparkToro (capitanata nientedimeno che da Rand Fishkin) ha evidenziato il comportamento degli utenti in seguito a una ricerca effettuata su Google nel primo trimestre 2019. Questo è lo spaccato:

4 utenti su 10 cliccano su risultati organici in seguito a una ricerca effettuata su Google (fonte: Jumpshot e SparkToro).

Se da una parte si impongono le cosiddette Zero-Click Searches (cioè ricerche che non si traducono in clic su alcun risultato di ricerca), dall'altra emerge chiaramente come i clic sui risultati organici siano ancora oggi molto più frequenti (41,45%) rispetto a quelli sugli annunci a pagamento (3,58%).

In fondo, lo sappiamo tutti: la SEO non morirà mai!

Questo articolo è stato scritto da Fabio Gelmini, SEO Specialist, per il blog di Webranking.

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