Social Media Manager addio? Basta l’ADV

A parità di budget è più efficace produrre dieci film di qualità media o un unico film con un buon cast, effetti speciali eccellenti e una fotografia impeccabile? Cosa insegna il caso Lush.

Roberta Sanzani
Webranking

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Update 03/05/2019: dopo Lush, anche Unicredit sceglie di abbandonare i social a partire dal 1 giugno.

L o so, ciclicamente quasi ogni materia del digital marketing è stata oggetto di epitaffi più o meno smentiti. Immagino già i web marketer alzare gli occhi al cielo pensando all'ennesimo titolo da click baiting.

In effetti, articoli sulla morte del social media marketing sono già in circolazione da un po’, ma sono convinta che tutta la materia sia stata oggetto di un tragico fraintendimento di fondo.

Collezionare vanity metric è inutile

In ambito marketing, utilizzare le piattaforme social al solo scopo di collezionare vanity metric è inutile: sarebbe come continuare a dar da mangiare a qualcuno senza preoccuparsi che sia affamato o meno, ma solo perché sappiamo che bisogna farlo.
Spiego meglio. Le piattaforme social servono sostanzialmente per due obiettivi principali:
1. far conoscere il brand (o un suo prodotto);
2. portare alla conversione.

A dire il vero, possono essere utilizzate anche come strumento di customer care, ma questo è tutto un altro discorso.

Se utilizzate come strumento di comunicazione per quale motivo le social media platform dovrebbero avere KPI diversi dagli altri mezzi? Perché dai social media, e dal social media manager, ci aspettiamo like e interazioni, anziché awareness incrementale o performance?

L’ossessione della riprova sociale

D a quando Facebook ha aperto alle aziende, ha prosperato l’ossessione della riprova sociale (declinata in numero di fan e di like sui post), che ha portato alla deriva per cui ogni brand deve trasformarsi in una sorta di editore di contenuti 24/7. Almeno fino a quando Zuckerberg ha pensato di ridurre al minimo la visibilità dei post organici delle pagine, fra l’indignazione di alcuni, con casi estremi di abbandono della piattaforma — non da ultimo l’annuncio di pochi giorni fa di Lush (se hai perso la notizia la trovi qui) — e il panico di altri, che vedono il proprio lavoro subire cambiamenti e ripensamenti.

Back to basic

Lasciando da parte un discorso di business per cui è legittimo che un’azienda voglia monetizzare un servizio fornito ad altre aziende, è giunto finalmente il momento di ripensare a contenuti, creatività e a canali inserendo il social media nella cassetta degli attrezzi di chi si occupa di marketing.

L’abbattimento della reach organica è stata un’occasione propizia per ripensare ai social in un’ottica più globale, riposizionandoli in quello che è l’advertising channel mix: grazie al numero di utenti di cui dispongono e alle possibilità di targetizzazione di interessi e behavior digitali degli stessi, i social sono un efficace strumento di branding e di performance, andando a coprire sia la parte alta che quella bassa del funnel di acquisto.

Abbandonare le piattaforme può essere una scelta, ma facendolo si rinuncia ad opportunità di targetizzazione e di reach difficili da sostituire.

Basti pensare al riscontro mediatico che hanno poche ore di down di Facebook, Instagram e Whatsapp, come il caso di pochi giorni fa, per fugare eventuali dubbi residui sull’impatto di questi strumenti nelle vite delle persone.

In questo senso, isolare il canale social in un universo parallelo, slegato dalle logiche tradizionali di marketing con obiettivi di awareness e performance, non ha alcun senso, così come avere un budget social che non comunica con gli altri budget aziendali.

L’evoluzione naturale da effettuare è il passaggio da un approccio quantitativo — in cui il focus è produrre contenuti in maniera massiva — a un approccio qualitativo, in cui viene premiato il canale come strumento di delivery con possibilità avanzate di targeting e con la produzione di contenuti specifici per quel pubblico. D'altronde, come ha scritto Seth Godin, citato da Giampaolo Colletti sul Sole24Ore, le aziende più illuminate riuniscono tribù e non vendono a una folla indistinta.

E questo cambiamento di visione non è nemmeno così dispendioso in termini economici come potrebbe sembrare: quanto costa produrre e pubblicare contenuti n volte al giorno, tutti i giorni, e moderare i relativi commenti? La stessa cifra che mi servirebbe per pagare una risorsa che abbia tempo per leggere, informarsi e pensare a contenuti che creino engagement, potrei investirla nella scelta di pochi contenuti che veicolino un messaggio preciso. Potrei concentrare i miei sforzi nel trasformare un messaggio specifico in una metrica di misurazione del gradimento che mi indirizza anche sul contenuto più adatto alla mia audience.

La concentrazione di risorse su un singolo messaggio dovrebbe avere un effetto win-win generale: miglior contenuto e gradimento per chi lo riceve.

Pensiamoci un attimo: a parità di budget, è più efficace produrre dieci film di qualità media o un unico film con un buon cast, effetti speciali eccellenti e una fotografia impeccabile? Io la risposta me la sono già data…

L’obiezione che resta sul tavolo immagino sia quella della reach che prima potevo raggiungere gratuitamente e che ora mi trovo a pagare. Ma proviamo a vedere anche questo aspetto da un altro punto di vista: quali risultati porta la frammentazione di contenuti buttati nella rete sociale in modalità spray & pray?

Ha davvero senso spendere budget nella creazione di contenuti destinati ad utenti che per caratteristiche behavioural (comportamenti o anche bisogni) non saranno mai miei clienti?

Creare messaggi che scatenano un like può essere più o meno sfidante, ma devo focalizzarmi sugli effetti che posso ottenere in termini di conversioni, brand lift o purchase intent o, più in generale, sul business.

La delivery di pochi messaggi a pubblici mirati riporta il focus sulla veicolazione di un messaggio di brand, nel caso di campagne awareness e di prodotto, nel caso di campagne performance. La misurazione di KPI che vanno a impattare sul business permette di valorizzare lo strumento e sfruttare davvero il canale nella sua accezione principale, ovvero quella di mezzo ormai irrinunciabile dell’advertising channel mix.

Quindi social media manager addio?

Alla vecchia maniera sicuramente sì, ma questo apre ad altre prospettive interessanti: prendere coscienza delle possibilità che hanno gli strumenti di digital advertising per offrire soluzioni su misura, legate a logiche che impattano in maniera diretta sul business. Perché tutti non è tra le opzioni o almeno, non tra quelle vincenti.

Questo articolo è stato scritto da Roberta Sanzani, Head of Digital Advertising, per il blog di Webranking.

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Roberta Sanzani
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Digital Enthusiastic, Geek Inside. Head of Digital Advertising @Webranking