La Cineteca di Bologna
Di laboratori che restaurano e conservano film ce ne sono solo due in Europa. Uno è a Bologna: la Cineteca. Questo è il viaggio di WhatItalyIs alla scoperta di come si restaura e si fa rivivere una pellicola storica. Una storia di amore, passione ed eccellenza italiana.
Due elementi ricordano una sala cinematografica nella Cineteca di Bologna: il buio assoluto che ammanta ogni laboratorio (eccetto quello in cui vengono ispezionate le nuove “vecchie” pellicole) e le pellicole, ovviamente.
Sono oggetti che qui vengono trattati con una cura particolare, maniacale e amorevole dovuta a cose che hanno decine e decine di anni.
La più vecchia pellicola del mondo fu brevettata nel 1888 da Hannibal Goodwin. George Eastman gli rubò l’idea e la mise in produzione.
Le pellicole cinematografiche possono essere vecchie, vecchissime cose. Possono essere state proiettate talmente tante volte da essere lacerate in più punti. Per non parlare della perdita di qualità che hanno sofferto con il passare del tempo e copia dopo copia. Ogni copia di una pellicola è sempre un po’ meno simile al suo originale: lo scarto di differenza è la qualità che si perde ogni volta che la si copia.
Quando una pellicola entra nel ciclo di restauro della Cineteca viene prima analizzata, poi riparata, reintegrata nelle parti mancanti e quindi digitalizzata. Da questo momento in poi il suo recupero diventa una questione di codici binari e di pazienza, certosina, lentissima, pazienza.
Acquisita la digitalizzazione, si è messa in sicurezza una copia finalmente immutabile dell’originale: ogni copia che si stamperà d’ora in poi sarà esattamente identica all’’originale poiché il digitale non soffre perdite di qualità.
Filologia di una pellicola
La scansione di una pellicola raccoglie ogni informazione contenuta, compresa la polvere e i graffi. I segni del tempo e del degrado. L’opera dei restauratori è quella di riportare indietro nel tempo il materiale che hanno fra le mani: è come se dovessero pulire, grattare, rimuovere la patina depositata dagli anni e dall’uso fino all’istante in cui quella pellicola venne stampata. Per farlo devono sapere come quella pellicola è stata prodotta: con che macchine da presa, su quale supporto, in che condizioni, come è stata conservata, con quali acidi è stata sviluppata. Questo insieme di informazioni permette loro di riprendere a ritroso il sentiero che li condurrà all’origine di quel nastro traslucido, al momento zero, al primo fotogramma.
Per questo l’opera del restauratore è quasi filologica: deve conoscere infatti le tecniche di ripresa più diffuse al tempo in cui fu prodotta la pellicola su cui lavora, gli strumenti con cui fu ottenuta, persino qual era il gusto estetico prevalente al tempo: che tipo di viraggio e contrasto andava di moda, che dettagli si voleva rendere palesi, che sottigliezze il regista adottava.
Lavorano su di un corpo ancora vivo e instaurano con questo un rapporto che spesso si protrae per settimane (il restauro — o digital restoration — di una pellicola mediamente richiede 1200 ore di lavoro, divise in due turni: dalle 9 alle 17 e dalle 17 all’una di notte).
Ogni fotogramma è analizzato, ripulito, bilanciato, confrontato con l’originale, paragonato ad altri simili del tempo, calibrato. E così per migliaia e migliaia di fotogrammi, utilizzando software dedicati e soprattutto una pazienza che ad un occhio esterno sembra pura alienazione.
I laboratori sono bui: ci sono lunghi tavoli contro le pareti e su questi monitor che illuminano i volti dei restauratori. C’è silenzio e pace. Qualcuno si alza a prepararsi un caffè o a staccare un po’. Gli altri sono concentrati sui volti di attori che riprendono vita sugli schermi. Si instaura un dialogo silenzioso fra il presente e il passato: il passato rivive in forma digitale e i restauratori sembrano parlare con questi personaggi.
In un’epoca in cui il presente e la contemporaneità sembrano estesi all’infinito, in cui ogni cosa è consumata immediatamente e presto dimenticata, il loro lavoro ha un che di eroico: recuperare ciò che il tempo rischia di cancellare. Riconquistare un preciso punto situato decenni indietro per conservarlo e consegnarlo al futuro. Per donargli una sorta di eterno presente.
Conservare libri, copioni, manifesti di film, centinaia di migliaia di foto di Bologna e della sua storia nella biblioteca della Cineteca ha un preciso scopo: fermare l’immagine della memoria per ricordare ciò che siamo stati e che siamo.