Ci siamo dovuti cibare di ninfee
Storie da chi vive in Sud Sudan, in un momento in cui la fame è ai livelli più alti mai raggiunti dall’indipendenza.
Daleter Mabor ha sette anni e ha visto quell’aereo, dal vero, così tante volte che ne ha fatto con il fango una sua versione giocattolo. Lo fa volteggiare cercando di seguire gli stessi movimenti, come se l’aereo stesse volando basso per sganciare il suo carico.
Qui, a Ganyiel, chiamano gli aerei gwad, che significa ‘ampie ali’. “E’ bianco. Porta il sorgo, l’olio, i piselli gialli e il sorgo rosso”, racconta Peter.
Per quanti cercano rifugio nell’ex Unity State, dove la carestia è stata dichiarata qualche mese fa, gli aerei noleggiati dal World Food Programme e I loro carichi possono fare la differenza tra la vita e la morte.
Intere famiglie sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa della devastante guerra civile che sta sconvolgendo il paese, una guerra che uccide mogli e mariti, madri e padri, e i loro figli. Ogni giorno.
Nyankon fa parte di una di queste famiglie. Quando è scoppiato il conflitto in Sud Sudan, nel dicembre 2013, Nyakon viveva con il marito e i loro tre figli nella città di Bentiu.
La donna fuggì con i bambini nella boscaglia, camminarono per 115 chilometri finché non raggiunsero la città di Leer. Suo marito cercò invece rifugio presso la base ONU dei Peacekeepers, ora chiamata Protezione dei Civili (Protection of Civilians, POC).
Nyankon diventò una sfollata, a Leer. Ma la guerra arrivò violenta anche lì. Di nuovo, la donna e i bambini fuggirono in cerca di salvezza.
A piedi, si diressero a sud, verso gli isolotti che punteggiano le enormi paludi del paese.
“Abbiamo messo I bambini più piccoli su dei teli in plastica e li trascinavamo così, nella palude”, spiega Nyankon.
“Alcune volte l’acqua, a noi adulti, ci arrivava alla vita, altre volte al petto. Era pieno di fango, ma siamo andati avanti. Abbiamo mangiato le ninfee e qualunque altra cosa che riuscivamo a trovare.”
Raggiunta la contea di Panyjiar, Nyankon e gli altri sfollati appresero che il WFP stava distribuendo cibo a Ganyiel.
“Abbiamo camminato finché non siamo arrivati a Ganyiel. Una persona ci ha gentilmente accolti ed aiutati nelle pratiche di registrazione per ricevere il cibo. Da allora, viviamo qui, a Ganyiel.”
Dal marzo 2014, a causa delle condizioni delle strade e dei fiumi, impraticabili per lo stato in cui versano o per motivi di sicurezza, il WFP effettua lanci di cibo in questa zona.
Nyakouth ha nove figli ed abita a Ganyiel. Ha accolto le persone arrivate qui da altre parti dello Unity State in cerca di rifugio dai combattimenti. Nyakouth ne ha però abbastanza, dei tre anni di conflitto nel paese.
“Siamo stanchi di questa guerra”, dice la donna, dall’esterno della sua capanna a Ganyiel. “Continuiamo a lamentarci ma sembra che nessuno ci ascolti. Tutte le nostre speranze e la nostra fiducia sono ora riposte in Dio. Speriamo che Dio risponda alle nostre preghiere per la pace. Siamo stanchi. I nostri figli muoiono tutti i giorni, per questa guerra. Siamo stanchi degli infiniti dialoghi di pace quando la pace non c’è, nel paese.”
La popolazione in rapida crescita sta avendo gravi conseguenze sul rifornimento di cibo. Senza il regolare sostegno del WFP e dei suoi partner German Agro Action e International Rescue Committee, molte persone in questa area sarebbero di fronte alla catastrofe.
“Quando non c’erano le distribuzioni di cibo, dovevamo andare al fiume e raccogliere le ninfee, che cucinavamo e mangiavamo”, racconta Nyakouth. “Facciamo affidamento sul cibo che riceviamo dal World Food Programme”.
Nyandorom e Nyakon vivevano con il marito, un soldato di base a Bentiu, quando scoppiarono i combattimenti, nel dicembre 2013.
L’esercito si divise in fazioni e l’uomo entrò a far parte delle forze di opposizione.
Tutte e due le donne fuggirono nella città di Leer dove rimasero fino al verificarsi di aspri scontri nel 2015. Nella confusione che ne seguì, sembra che un vicino sia fuggito in cerca di salvezza con i quattro figli di Nyakon.
Da allora, la donna non ha più rivisto i suoi bambini. Entrambe le donne fuggirono verso gli isolotti nelle paludi a sud di Leer. Vissero lì per mesi, cibandosi di radici che crescevano nei fiumi e di pesci. Il marito, che era in servizio con le forze di opposizione in un’altra zona dello Unity State, venne a sapere degli scontri e del fatto che molte persone avevano abbandonato la zona. Decise, quindi, di mettersi in cerca delle sue mogli e si diresse verso le paludi.
Le trovò, e tutti insieme si misero in marcia verso Ganyiel. Qualche tempo dopo, alla fine del 2016, l’uomo fu ferito nel corso di scontri sporadici in un’altra parte dell’Unity State. Venne ricoverato e poi esentato. E’ morto ad aprile 2017, in conseguenza delle ferite riportate.
“Questa guerra ha ucciso nostro marito”, dice Nyandorom. “E’ una guerra che non capiamo. Siamo stanchi. L’unica cosa che vogliamo è che questo conflitto abbia fine. Non c’è una persona che non abbia perso qualcuno in famiglia e quelli che combattono non sanno dirti il motivo di questa guerra. Abbiamo perso contatto con i nostri figli; altri non sanno dove siano i propri fratelli o le proprie sorelle. Vogliamo solo la pace, solo allora potremo andare in cerca dei nostri cari.”
Nyandorom è occupata a preparare i piselli gialli e il sorgo per il pasto, Nyakon invece è assorta nei suoi pensieri, il mento poggiato sulla mano sinistra, seduta davanti la sua capanna a Ganyiel. Non ha quasi proferito parola. I bambini giocano intorno alle capanne, mentre alti in cielo volano gli aerei del WFP.
Storia tradotta dall’originale da World Food Programme.