La fame come arma di guerra
Articolo di dicembre 2016. Chiudiamo l’anno con un articolo della Direttrice Esecutiva del WFP, Ertarin Cousin, sul ruolo degli operatori umanitari nelle zone di conflitto e sulla protezione e l’assistenza a cui i civili hanno diritto oltre che bisogno.
Qui l’articolo in originale, in inglese.
L’assedio di Aleppo è terminato. Ma, per favore, non distogliamo ora lo sguardo.
L’evacuazione dei civili dall’ultima zona sotto il controllo dei ribelli non porterà la fine delle sofferenze dei bambini, delle donne e degli uomini rimasti dietro i fronti del conflitto in attesa di cibo, medicinali e generi di prima necessità.
Non distogliamo il nostro sguardo perché ci sono ancora centinaia di migliaia di civili in circa 16 comunità assediate in Siria che non possono essere raggiunti e ai quali è negata assistenza umanitaria. Vittime di un conflitto durato troppo a lungo, che disperatamente chiedono aiuto. Madri che riescono a sfamare i propri figli solo con del thè preparato con foglie secche raccolte in campi ormai aridi. Bimbi venuti al mondo gravemente malnutriti. Molti, troppi che muoiono tra gli stenti dolorosi della fame.
Immaginate di avere la capacità di aiutare queste persone innocenti e non poterlo fare, bloccati dalle forze combattenti di tutti i fronti, che disprezzano il diritto internazionale umanitario, mancano di ogni umana compassione e usano il blocco del cibo e di ogni altro aiuto come arma di guerra. Un nostro collega ha recentemente e appropriatamente definito tutta questa sofferenza un “assoluto tracollo di ogni umanità”.
Il World Food Programme (WFP) delle Nazioni Unite, attivo in Siria insieme ad altre agenzie delle Nazioni Unite e Organizzazioni Non Governative, è pronto a distribuire quanto serve. Grazie alla generosità della comunità internazionale, abbiamo cibo, camion e aerei. Ma, invece di andare incontro ai bisogni delle persone, siamo costretti a negoziare per ore e ore ogni singolo passo, e molto spesso invano. L’accesso ci viene negato. Gli operatori umanitari, pronti e disponibili, sono tuttavia incapacitati a salvare vite umane.
Purtroppo, questa tragica situazione non si registra solo in Siria. Donne e bambini, oggi, soffrono la fame nelle zone di conflitto in varie parti del mondo: Yemen, Nigeria, Sud Sudan, Iraq e in tanti altri posti. Prigionieri della mancanza di umanità di combattenti troppo pronti a negare agli operatori umanitari l’accesso necessario a soddisfare i bisogni degli innocenti.
Tutti ricordiamo le crisi che, nel passato, hanno gettato un’ombra di vergogna sul mondo: l’assedio di Sarajevo, il genocidio in Ruanda e le atrocità delle due Guerre Mondiali, solo per citarne alcune. Questi eventi avevano spinto tutti noi a dire “mai piú”. Eppure, eccoci qui, ancora una volta.
Il 10 dicembre 2016, il Presidente colombiano Juan Manuel Santos, ricevendo il premio Nobel per la Pace, ha detto che il suo paese, nei 52 anni di guerra civile, ha imparato che “arrivare alla vittoria finale attraverso la violenza, quando esistono alternative non violente, non è altro che la sconfitta dello spirito umano”.
Due giorni dopo, durante il giuramento di insediamento, il Segretario Generale designato delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha detto: “Alla fine, si tratta di valori…Vogliamo che il mondo che i nostri figli erediteranno sia definito dai valori sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite: pace, giustizia, rispetto, diritti umani, tolleranza, solidarietà. Tutte le principali religioni abbracciano questi principi e noi ci sforziamo di metterli in pratica ogni giorno nelle nostre vite.”
Papa Francesco, rivolgendosi allo staff del WFP, qualche mese fa, ha sollevato questa potente preoccupazione: “Vengono alimentate le guerre e non le persone… In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma. Ne siamo pienamente coscienti e, tuttavia, lasciamo che le nostre coscienze si anestetizzino”.
Mentre il mondo celebra le varie feste religiose e rende omaggio a questi giorni di pace e amore, dobbiamo riportare in vita i valori umanitari: umanità, imparzialità, neutralità e indipendenza. Tutti noi — leader religiosi, stati membri delle Nazioni Unite, settore privato, società civile, stampa e cittadini — tutti noi dobbiamo fare appello ai nostri “migliori angeli” per riaffermare l’idea, da noi tutti condivisa, che non si possa negare il sostentamento ai non combattenti come arma di guerra.
Questi principi non devono essere solo delle belle parole. L’abbandono dei fondamentali valori etici umanitari è il rifiuto della nostra stessa umanità. Dobbiamo riconoscere e ritornare al principio cardine secondo cui la fame come arma di guerra, sia intenzionale che a seguito di un fallimento dell’azione, non solo va contro ogni principio morale di base ma è un crimine di guerra. Non solo dobbiamo condannare questi atti, ma giustizia deve essere fatta nei confronti degli autori.
“Non giustificate tutto dicendo che le vittime civili sono un danno collaterale”, così ha detto Peter Maurer, Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa al Summit Umanitario Mondiale che si è tenuto quest’anno ad Istanbul.
Dateci la libertà di agire e i nostri coraggiosi uomini e donne porteranno aiuto. Troppo spesso la mancanza di questa libertà ha causato la perdita di operatori umanitari. In Siria, ad esempio, nei primi nove mesi del 2016, almeno 66 operatori umanitari sono stati uccisi e 144 feriti. Garantire rispetto e protezione a chi si adopera cercando di assistere bambini e altri civili vulnerabili deve rimanere un imperativo. In ogni conflitto, tutte le parti devono assicurare l’accesso umanitario.
Tutti noi dobbiamo trasformare la nostra indignazione collettiva in azione collettiva. Uniamoci nel chiedere con forza umanità, nel richiedere che i conflitti armati vengano riportati entro le regole della guerra. Possono esserci circostanze in cui i governi trovano ragioni per dichiarare guerra, ma è nel nostro potere di porre fine all’insensata ed evitabile sofferenza di civili innocenti.
Ertharin Cousin
Ertharin Cousin è stata la Direttrice Esecutiva del World Food Programme fino a marzo 2017
Storia pubblicata su it.wfp.org