‘Non voglio che il mondo dimentichi’
Come le fotografie aiutano a far luce sul dramma dei rifugiati Rohingya
Saikat Mojumder è nato a Dhaka, in Bangladesh, e da dieci anni si dedica alla fotografia. Saikat è stato uno dei primi fotografi a documentare l’emergenza dei Rohingya, subito dopo l’enorme afflusso di rifugiati che hanno attraversato il confine con il Myanmar nell’agosto del 2017 per cercare rifugio in Bangladesh. Da allora, Saikat è tornato sul luogo diverse volte per documentare la crisi per il World Food Programme.
Io e Saikat abbiamo lavorato a stretto contatto negli ultimi tre mesi. Trascorriamo la maggior parte del tempo nei campi, percorrendo la vasta distesa di terra che ora è diventata la dimora di centinaia di migliaia di famiglie, documentando in che modo il WFP stia facendo la differenza nelle loro vite.
A volte non servono parole per descrivere le fotografie di Saikat: lo sguardo perso nel vuoto di una madre che ha perso il marito e la propria casa parla da solo.
Di ritorno dal campo di Kutupalong, un percorso che facciamo ogni giorno passando accanto a file sterminate di rifugi di fortuna, parliamo del suo lavoro e del perché sia così importante.
Perché ti piace lavorare come fotografo?
In quanto fotografo, posso vivere molte esperienze. Posso muovermi liberamente e documentare la vita delle persone. Quando mi chiedono perché è importante fare una foto, rispondo che catturare ciò che vedo e riuscire a raccontare una storia può fare un'enorme differenza.
Cosa ti ha spinto a venire a Cox’s Bazar a documentare la crisi dei Rohingya attraverso la tua fotografia?
Quando l'esodo di massa dal Myanmar è cominciato, ad agosto 2017, mi sono domandato se dovessi andare o meno. Poi, un giorno, mentre ero a casa, a Dhaka, guardando il notiziario serale, ho deciso: sarei partito il giorno seguente. Chiacchierando con mio padre, quella sera stessa, lui mi disse: "Sai Saikat, quello che sta succedendo ora a queste persone al confine, è la ripetizione di quello che successe alla nostra gente nel 1971, quando fuggì in India a causa della guerra di Liberazione.” Mio padre mi ha incoraggiato ad andare, gli ricordava ciò che lui stesso dovette affrontare a quel tempo. Mio padre afferma che gli abitanti del Bangladesh possono identificarsi con il dolore che stanno vivendo i rifugiati, e noi dobbiamo sostenerli. E quindi sono partito. Inizialmente, sono venuto qui da solo, senza incarichi. Questo orrore stava avvenendo nel mio paese, e io avevo solo bisogno di essere dove tutto ciò stava accadendo.
Quale immagine ha avuto l’impatto maggiore su di te?
Quando sono arrivato per la prima volta a Shah Porir Dwip, al confine con il Myanmar, la marea era bassa e c’erano migliaia e migliaia di persone che passavano il confine. C’erano così tanti bambini, le persone trasportavano i propri effetti personali e anche i loro familiari. La gente del posto li stava aspettando, e distribuiva loro cibo e acqua.
Il pianto simultaneo di centinaia di bambini - era questo l’unico suono che riuscivo a sentire. Ho visto una madre con il suo bambino. Il piccolo stava piangendo e lei sembrava in procinto di perdere la pazienza e ha iniziato a colpirlo. Anche lei stava piangendo, aveva l’aria disperata, impotente.
Mi ha toccato l’anima. Io ho un figlio, Shreyan, che ha 2 anni, e mentre assistevo a queste scene, non riuscivo a smettere di pensare a lui.
Mi ci volle un’ora per riprendermi e ricominciare a scattare foto. I giorni si trasformarono in settimane, e ogni mattina tornavo nella zona di confine continuando a fare foto.
In che modo ritieni che le tue foto abbiano fatto la differenza per il lavoro del WFP?
Inizialmente ero il solo fotografo sul campo, quindi è stato attraverso le mie immagini che il WFP ha potuto far conoscere questa storia a livello mondiale. È difficile credere alla portata di questo orrore se non hai la possibilità di vederlo. La fotografia è molto personale e può essere aperta a diverse interpretazioni, ma è un linguaggio globale e sento di poter contribuire rendere le persone consapevoli di ciò che sta accadendo.
Sono tornato molte volte nei campi e spesso mi domando come stiano alcune delle persone che ho incontrato e fotografato. I bambini sono ancora affamati? Le loro madri sono in grado di procurarsi del cibo? A volte mi sento frustrato, vorrei fare di più e mi chiedo, e se le mie foto non fossero abbastanza?
Forse potrebbero non essere sufficienti, ma hanno sicuramente un ruolo importante nel fare in modo che le persone di tutto il mondo conoscano, in un momento, con un solo click, il dramma dei Rohingya, e sappiano che hanno bisogno di cibo, medicine e supporto internazionale per sopravvivere. Non voglio che il mondo si dimentichi di queste persone. E’ questo ciò che cerco di fare con il mio lavoro.
Puoi donare cibo salvavita ai bambini affamati e alle loro famiglie. DONA ORA.
Storia originale di Shelley Thakral