Fantascienza

Roberto Bisceglie
Wunderkammer
Published in
7 min readJul 21, 2023

Dalle origini all’età dell’oro

Nell’episodio di oggi vorrei parlarvi delle origini di un genere letterario che mi accompagna da quasi tre decenni, da una sera di estate del 1997 in cui in una libreria remainders scovai un’antologia di Philip K. Dick. E ovviamente parleremo di fantascienza.

Un genere che, pur essendo il mio preferito tra quelli di letteratura fantastica, è poco frequentato dai lettori italiani. Anche se ormai i suoi tropi si sono estesi a tutti gli ambiti dell’intrattenimento e in maniera a volte sottile, a volte manifesta.

Il termine “science fiction”

Prima di iniziare però vorrei ricordarvi che il termine inglese “science fiction” fu coniato per la prima volta dal critico letterario americano Hugo Gernsback nel 1926. Quindi ci stiamo avvicinando al suo centenario!

In quel periodo, Gernsback pubblicava la rivista Amazing Stories, che presentava storie di viaggi spaziali, robot, alieni e altre tematiche scientifiche immaginarie. Gernsback cercava un termine che potesse definire il nuovo genere letterario che stava emergendo, e scelse “scientifiction”, che in seguito sarebbe stato modificato in “science fiction”.

Diceva Gernsback:

Per “narrativa scientifica” intendo il tipo di storie di Jules Verne, H. G. Wells e Edgar Allan Poe: un’affascinante romanzo mescolato a fatti scientifici e visioni profetiche… Questi racconti straordinari non solo sono una lettura tremendamente interessante, ma sono sempre istruttivi. Forniscono conoscenza… in una forma molto gradevole… Le nuove avventure che ci vengono prospettate dalla scienza di oggi non sono affatto impossibili da realizzare domani… Molte grandi storie di scienza destinate ad avere un interesse storico devono ancora essere scritte… I posteri le indicheranno come quelle che hanno aperto una nuova strada, non solo nella letteratura e nella narrativa, ma anche nel progresso.

E in questo, possiamo dirlo, Gernsback fu profetico.

In Italia, il termine “fantascienza” fu coniato diversi anni dopo, nel 1952, da Giorgio Monicelli, il fondatore della rivista Urania, la più vecchia collana fantascientifica da edicola tuttora pubblicata. Un portmanteau che è il calco quasi letterale della parola inglese, ma che di fatto ne tradisce lo spirito: non più “narrativa scientifica”, ma “scienza fantastica”. Un’accezione che è molto aderente alla nostra cultura, così poco avvezza alla conoscenza scientifica e affascinata invece dall’avventura e dal fascino dell’assurdo.

La radici del genere

La fantascienza ha le sue origini in antiche storie di viaggi fantastici e meravigliosi, basti pensare al genere del viaggio immaginario che risale all’antichità classica, passando per i romanzi utopistici di età post-rinascimentale e barocca, nonché ovviamente a incursioni letterarie come quelle di Ariosto, che canta di come Astolfo recuperi il senno di Orlando sulla Luna.

Ma il genere moderno ha le sue origini nel XIX secolo. Il primo romanzo di fantascienza riconosciuto quasi all’unanimità è “Frankenstein” di Mary Shelley, pubblicato nel 1818. Il romanzo, sicuramente ascrivibile nella corrente del romanticismo inglese, o meglio ancora del romanzo gotico, esplora il tema della creazione di vita artificiale e le sue conseguenze. È quindi un primo esempio di racconto “speculativo”: da una premessa scientificamente plausibile (sempre in riferimento all’epoca di scrittura, ovviamente) se ne esplorano le possibili conseguenze attraverso un intreccio che non avrebbe la stessa solidità senza di esso. È il principio del what if, cosa succederebbe se…

Dobbiamo aspettare la metà dell’Ottocento con il suo accelerato sviluppo verso la seconda rivoluzione industriale per incontrare i primi romanzi di fantascienza propriamente detta. Come ricordava Gernsback, uno dei pionieri fondamentali del genere fu Jules Verne, autore francese di “Viaggio al centro della Terra” (1864) e “Ventimila leghe sotto i mari” (1870) e di altri cosidetti Viaggi Straordinari. I suoi romanzi di avventura erano caratterizzati da strumenti scientifici avanzati e viaggi incredibili in luoghi straordinari. Certamente il Nautilus di Capitano Nemo è una meraviglia tecnologica che proietta in avanti e anticipa le tecnologie, ma vorrei ricordare anche Dalla Terra alla Luna, dove un equipaggio di avventurosi sale su un’enorme pallottola che viene sparata verso il nostro satellite naturale, mantenendo una plausibilità in linea con le conoscenze dell’epoca.

Ma è stato indubbiamente H.G. Wells che ha portato la fantascienza ad assumere la sua fisionomia più moderna. Nel 1895 pubblicò “La macchina del tempo”, una storia di un uomo che viaggia nel remoto futuro dell’anno 802.701. La specie umana ha subito una drammatica evoluzione dividendosi in due rami distinti, i pacifici ma apatici abitanti della superficie, gli Eloi e i mostruosi abitatori del sottosuolo, i Morlock. Wells è sicuramente interessato anche all’aspetto sociologico della speculazione, dove inaspettatamente i Morlock sono i discendenti dell’alta società e gli Eloi da loro depredati i discendenti delle classi più basse, ciononostante la sua attenzione per l’accuratezza scientifica, è prominente, come dimostra anche con il successivo “La guerra dei mondi”, un racconto di una invasione aliena sulla Terra. Wells ha continuato a scrivere una serie di romanzi fantascientifici influenzando una intera generazione di autori.

Verne e Wells sono i maggiori esponenti dello *scientific romance*, il romanzo scientifico. Tra le sue schiere si mosse anche Arthur Conan Doyle, oggi ricordato soprattutto per Sherlock Holmes ma che con il ciclo del Professor Challanger esplorò questo genere particolare di narrativa, a partire da Il mondo perduto del 1912, dove immagina una valle isolata del Sudamerica dove sopravvivono dei grandi rettili preistorici.

Nel primo decennio del XX secolo, Edgar Rice Burroughs sfruttò alcune suggestioni riguardanti i famosi “canali di Marte” di Schiapparelli e Lowell, per ispirare la scrittura di “Sotto le lune di Marte” del 1912, primo romanzo della serie di “John Carter di Marte”. In questa serie, completamente in barba alla plausibilità scientifica, Burroughs immagina un Marte antico e morente eppure pieno di vita e di avventure di cappa e di spada, tra alieni umanoidi a sei arti e meravigliose principesse. E con Burroughs che i tropi dell’avventura classica si sposano con un’estetica fantascientifica inaugurando un sottogenere assolutamente non speculativo, quello dello sword & planet, che pure con i suoi panorami esotici e storie rocambolesche ispirò veri scienziati a intraprendere gli studi del cosmo, tra cui Carl Sagan, il noto divulgatore scientifico che contribuì ai progetti di sonde spaziali Pioneer e Voyager.

Amazing Stories e la superscienza

Nel 1926, Hugo Gernsback, che come abbiamo visto fu l’inventore del termine science fiction stesso, fondò la rivista di fantascienza “Amazing Stories”. La rivista contribuì a consolidare la fantascienza come un genere letterario indipendente e ha pubblicato i primi lavori di autori come H.P. Lovecraft, E.E. “Doc” Smith, e Arthur C. Clarke.

Tralasciando Lovecraft, che meriterà sicuramente un suo episodio, l’importanza di E.E. “Doc” Smith è ormai veramente sottovalutata dai lettori contemporanei. A Smith si devono due concetti basilari della cosidetta space opera: il viaggio più veloce della luce e gli imperi galattici.

Con Skylark of Space nel 1928 Smith immagina un motore non-inerziale in grado di coprire distanza astronomiche in breve tempo, mentre dieci anni più tardi nella serie Lensmen il motore non-inerziale è la base di uno dei primi imperi galattici della letteratura, sotto la protezione degli uomini lente, la pattuglia galattica.

È l’epoca della cosidetta superscienza: una fantascienza in cui le possibilità tecnologiche sono pensate dagli autori come illimitate e gli intrecci vedono la scoperta scientifica come la scintilla necessaria per innescare l’avventura.

Tra gli esponenti di questa fase positivista della fantascienza c’è anche John W. Campbell Jr. che con la serie delle Isole dello spazio e di Aarn Munro il gioviano presenta ai lettori storie al limite dell’incredibile ma sempre supportati da una solida base scientifica.

L’età dell’oro

Ma al volgere del decennio, alle soglie degli anni ’40, l’epoca di Gernsback e della superscienza si avvia verso il tramonto e arriva la cosidetta Età dell’Oro.

Proprio John W. Campbell nel 1938 assume le redini della rivista Astounding Stories che per sua decisione viene rinominata Astounding Science-Fiction.
La rivista fu una vera e propria fucina di autori di calibro enorme come Isaac Asimov, Robert A. Heinlein e A. E. van Vogt.

Molti di questi giovani autori, tra i venti e i trent’anni intraprenderanno carriere scientifiche e accademiche, hanno una solida preparazione e non sono disposti a chiudere troppi occhi in nome dell’avventura.

Le loro storie, tuttavia, sono tutt’altro che aride o poco avventurose. Con la sua prima storia di robot, “Robbie”, nel 1940 Isaac Asimov introduce i robot “positronici” e sovverte il cliché del robot minaccioso e assassino già cronicizzato nell’immaginario fantascientifico per immaginare un futuro in cui robot e uomini convivono grazie all’applicazione delle tre leggi della robotica. Pochi mesi più tardi il giovane Asimov propone a Campbell un soggetto per una serie di storie basate su “Declino e Caduta dell’Impero Romano” di Gibbonsons, opera storiografica di fine settecento che Asimov vuole trasporre in ambientazione spaziale. Insieme a Campbell delinea la “psico-storia”, disciplina matematica che permette di prevedere i flussi delle grandi masse e quindi delle tendenze future. Nasce la serie di Fondazione e un intero sottogenere di “storia futura”.

Proprio in questo ambito è prolifico Robert Heinlein, che sorretto dal suo pensiero libertario, pianifica una vera e propria Storia Futura dell’America (e per estensione del genere umano) che vede la colonizzazione dello spazio, il sorgere di una dittatura religione negli Stati Uniti e si spinge fino al remoto futuro con le vicende che vedono protagonista Lazarus Long, l’immortale.
Heinlein, ormai noto soprattutto per “Fanteria dello spazio”, uno dei romanzi di fantascienza più fraintesi della storia di questo genere, è stato anche precursore della hard sci-fi, la fantascienza “dura” che porta agli estremi la speculazione scientifica e tecnologica mantenendo una stretta aderenza e rigore. “La Luna è una severa maestra” è un esempio illustre di questo filone.

Proprio per il suo gusto della speculazione unita agli aspetti più avventurosi e non disdegnando un certo spessore psicologico, la fantascenza dell’Età dell’Oro ha aperto nuove prospettive sul futuro della scienza e della tecnologia. È tuttoggi il filone della fantascienza più amata e letta e che ha ispirato generazioni di scienziati e ingegneri a pensare in modo innovativo e creativo.

Oggi, la fantascienza continua ad evolversi e a influenzare molte sfere della cultura popolare, dal cinema alla televisione ai videogiochi.

Ma avremo sicuramente occasione di parlarne.

Al prossimo episodio con nuove curiosità dal tempo e dallo spazio.

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