Emotions Running High

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by Aurora Gennari

È il 2 ottobre, metropolitana lilla, Milano. Tutto qui corre veloce, ma con una cadenza. Si aprono le porte, le persone si spingono per salire, qualcuno fatica a scendere, tutti sono in ritardo e infastiditi, si richiudono le porte. Sono in piedi tra molte persone, tutte concentrate sui propri telefoni pur essendo schiacciate, tante solitudini insieme che semplicemente si ignorano.

Potrei esserci o non esserci e nessuno lo noterebbe…anzi, qualcuno probabilmente sarebbe stupefatto del maggiore spazio in piedi per poter respirare e stare più comodo su Facebook.

Fermata Isola, ci siamo. Oggi ho un workshop “On Emotions” organizzato da Wyde, non so bene cosa aspettarmi in realtà. Sono una persona abbastanza riflessiva, mi fermo spesso a cercare di capire il perché delle mie azioni e mi piace progettare il mio domani. Non so se mi possa servire a qualcosa, non mi aspetto di certo di essere sorpresa. Però mi piace dare un’opportunità alle cose, magari tornerà utile un domani, chissà, ho stravolto tutto talmente tante volte che oramai mi aspetto possa succedere di nuovo in ogni momento.

Zona K, sono arrivata. Ambientazione particolare, uno spazio teatrale con le luci di scena. Tra i partecipanti persone di diverse aziende con ruoli diversi che arrivano una dopo l’altra. Ci guardiamo tutti con espressione dubbiosa, certezze su cosa accadrà dopo quasi nulle per tutti, lo spaesamento ci accomuna.

Ci sediamo in cerchio, si inizia. Parliamo di emozioni base partendo dalla sorpresa che ci viene presentata come emozione di svincolo che ci traghetta verso altro, non l’avevo mai pensata in quest’ottica. Rifletto sul fatto che non so più sorprendermi, forse perché nella mia testa sorprendersi di fatto vuol dire concedersi di fermarsi un attimo. Nel lavoro a coppie capisco che la difficoltà nel riconoscere la sorpresa non appartiene solo a me, non tutti riescono a identificare un momento in cui hanno provato quest’emozione e chi ci riesce va a ripescare in ricordi remoti.

Ogni emozione è frutto di una relazione con un oggetto, per non permetterle di influenzare eccessivamente i nostri comportamenti in modo negativo dobbiamo imparare a riconoscerla e attraversala, trasformandola. Rifletto su quando il mio corpo ha parlato per me senza che io lo volessi e cosa ha comportato…

Mentre sono immersa nei miei pensieri quasi improvvisamente mi ritrovo in piedi su una sedia, dal pavimento arriva il pericolo. Simona Gonella ci porta in un mondo parallelo, dove il rischio arriva dal pavimento, da fuori la porta dove ci aspetta un uomo armato di un kalashnikov che ci vuole uccidere tutti. Sperimentare il teatro per attraversare prima con il corpo e poi con la mente le emozioni è stata una sorpresa. Proprio io, che ho speso una vita a cercare di stare dritta e non essere la persona goffa che inciampa quando si sente a disagio, non credevo di emozionarmi usando il mio odiato corpo per immaginare qualcosa.

Ci viene spiegato come gestirle queste emozioni che volenti o nolenti si manifestano, come gestirle quando vorrebbero parlare al nostro posto tramite il NOSTRO corpo.

E mi ritrovo ad immedesimarmi nell’essere un coach. Dietro la storia della mia coachee intravedo che il suo problema è una persona, con la quale la mia “cliente” ha a che fare ogni giorno, che è profondamente sola e non sa ammettere né al mondo né a se stessa la propria infelicità e quindi si sfoga sugli altri. Forse è vero, posso aiutare l’altro a raccontare la sua storia con le relazioni che l’attraversano per costruire insieme un’altra storia. L’altro ha già tutto ciò che gli serve per risolvere la sua situazione, deve solo capirlo.

È stato illuminante ascoltare l’evoluzione delle emozioni di Angela Cea di Diners, capire come lo stato emotivo della persona non è quello dell’organizzazione, le fasi tristezza-gioia in certi momenti sono davvero agli antipodi.

La mattina seguente, un ponte con il corpo. Lo ha detto e lo ha fatto, eppure la premessa era che non ci riusciva da anni. Una partecipante al workshop ha davvero dimostrato che se si vuole si può, si può superare la paura e se si è convinti di farcela con il corpo poi la mente si adegua e il corpo lo fa davvero. Il sostegno e la condivisione con il gruppo sono stati determinanti per il successo. Allora è vero: deviando e modificando la relazione con l’oggetto si può modificare il corso delle emozioni.

Tum tum tum. Una marcia. Con il mio gruppo stiamo rappresentando con i nostri corpi un film muto sulla storia di Diners e il possibile futuro. Quanta emozione negli occhi e nel rossore del corpo della persona che ce la racconta! Forse davvero anche sul lavoro ci si può sentire a casa…

Riflettiamo su come le organizzazioni a volte non ascoltino le persone dalle quali sono composte.

E infine le conversazioni difficili. Siamo portati ad immaginare come ne condurremmo una quando in realtà ciò che ci dice il quieto vivere è che vorremmo solo evitarla. Quando qualcosa dentro viene smosso, gli interessi sono alti e i punti di vista divergono ammettiamolo, la tentazione è quella di girare i tacchi e scappare correndo il più veloce possibile. Eppure affrontare questo tipo di conversazioni nel modo giusto è la cosa migliore per un clima sereno in seguito però, appunto, è difficile. Ma cosa le rende tali? Considerare cosa l’altro si porta a casa. Mettersi nei suoi panni spiegando i propri sentimenti, senza giudizi. Il difficile è lo stare, anche con il corpo, quando l’altro vorrebbe fuggire a sua volta, e spesso non ci dà neppure l’attenzione che meriteremmo. Ma se ci prepariamo abbiamo un piccolo vantaggio, prima dell’obiettivo concreto ciò che conta è la necessità di salvare la relazione.

Mentre risalgo sulla metropolitana lilla tra le tante persone prese dai propri messaggi ripenso a questi due giorni e sorrido. Sì, mi hanno sorpresa, emozionata credo sia il termine più corretto. Metto le cuffiette e torno ai miei pensieri.

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