Little Connections

Jlenia Ermacora
Wyde PlayGround
Published in
4 min readJun 22, 2020

“I pescatori sanno che il mare è pericoloso e la tempesta terribile, ma non hanno mai trovato questi pericoli una ragione sufficiente per restare a riva.” (Vincent Van Gogh)

Sono stati mesi strani, questi mesi. Siamo usciti dal porto e ci siamo trovati in mare aperto. Fra manovre temerarie e andamento prudente, su imbarcazioni robuste o zattere di fortuna. Ci siamo trovati lì, in mezzo al mare, esposti ai flutti. Non possiamo tornare a riva, nel nostro luogo sicuro: nei porti c’è un’epidemia, anzi una pandemia. Ci siamo sentiti Florentino Ariza e Ferminia Daza nel finale di uno dei miei libri preferiti “L’amore ai tempi del Colera”… solo che la scelta di rimanere al largo non era la nostra e la ragione non era la più grande storia d’amore.

La condizione è più quella di marinai che devono riparare la nave mentre sono in mare aperto, senza poterla mai smantellare e ricostruire da capo con materiali migliori: la metafora della nave di Neurath, raccontata in qualche mia lezione di filosofia al liceo e che in maniera serendipica cita anche Oliver Burkeman nel suo articolo “L’utilità dell’imperfezione”.

Sono stati giorni scanditi da rituali. Ogni giorno camminavo con il mio cane, mi occupavo del plumbago sul mio terrazzo milanese, mi trovavo a sorseggiare thè virtuali con i miei compagni di questa straordinaria avventura che chiamiamo Wyde School, per poi andare a letto e fare sogni che svelavano la falsità del mio apparente stato di calma. Trovarsi sull’orlo di un burrone, correre a perdifiato mentre un’orda di animali senza testa mi inseguiva, seduta su un aereo che è costretto a fare rifornimento di carburante in volo e poi deve affrontare un atterraggio di emergenza. E mentre l’aereo sta perdendo quota la voce che annuncia “Nel caso improbabile di un’emergenza, ti preghiamo di posizionare la maschera di ossigeno su te stesso prima di aiutare gli altri.”

Wyde Tea Room — Un piccolo esercizio di comunità dei Wyders: un momento virtuale per ritrovarsi e aprire una finestra nel nostro isolamento.

Questa frase ha risuonato per un po’ di giorni anche da sveglia. Non ci si può occupare degli altri se si rimane senza ossigeno per primi. E può essere una cosa profondamente frustrante da comprendere se dopo 10 ore di lavoro ti trovi a dover affrontare la tensione emotiva della tua famiglia, dei tuoi amici e del tuo team.

Tutti noi abbiamo lottato per affrontare molteplici nuove sfide, dal lavoro a distanza all'istruzione dei bambini a casa, alla cura di amici e parenti meno fortunati. E ognuno di noi ha applicato le proprie strategie di coping, ha reagito alle varie emozioni, ha adottato strategie mentali e comportamentali per fronteggiare la situazione. Ognuno ha scelto la sua velocità…
Fare il pane? Leggere una poesia? Sognare davanti ad una finestra? Fare esercizi di mindfulness la mattina presto?

Con Simona Gonella abbiamo pensato di provare a creare una mappa delle emozioni per seguire quello che ci stava accadendo attorno: tristezza, rabbia, dolore, ansia, paura ma anche gioia e sorpresa. La quarantena ha messo alla prova le nostre risorse emotive più profonde, quindi perché non provare a rimanere connessi, condividere emozioni e pensieri, allenare la nostra intelligenza emotiva insieme?

On Emotions è un addestramento a riconoscere ciò che ci passa dentro dandogli un nome

Questo periodo ci ha anche dato l’opportunità di rallentare, rivedere le nostre relazioni, le nostre priorità, il modo in cui facciamo le cose. Come voglio spendere la mia vita? E ripensando alle aziende: qual è il vero scopo? quali sono i veri valori? Oppure ripensando le vecchie abitudini: perché le riunioni devono essere sequestri di persone e non incontri più autentici, più creativi, più collaborativi? Oppure ancora, ripensando alle appartenenze, è possibile immaginare un multi universo, una multi possibilità dove ognuno sceglie il ritmo da sostenere?

Come dice Morag McGill in una delle conversazioni necessarie, c’è anche la possibilità di pensare alle imprese come luoghi di apprendimento e non solo di prestazioni, dove ciascuno può crescere può imparare realizzare un pezzetto del proprio sogno ed è proprio in questa zona di incontro tra ciò che porta la persona e ciò che porta l’azienda che si crea una zona fertile.

Quello che serve è il coraggio di vivere questi momenti di discontinuità facendo leva sui valori che vogliamo che diano senso alle strutture emergenti, alle prassi e a tutto quello che possiamo fare insieme. Nel momento in cui è chiaro che il modello pre-esistente non funziona più infatti, siamo legittimati a ripensarlo. Dalle cose più banali: serve una sede dove tutti vanno tutte le tutte le mattine? Alle cose più profonde: serve che siamo a servizio di un solo ruolo tutta la vita?

Nella pratica, sarebbe bello che l’energia che si libererà adesso, la voglia di ricominciare, non fosse un ritorno al passato ma portasse ad un’attenzione nuova a partire da una delle cellule primarie che è l’impresa.

Quello che è successo è molto più di un racconto che faremo ai nostri nipoti. E’ il momento in cui definiamo la nostra legacy come leader, come imprese e come comunità.

--

--

Jlenia Ermacora
Wyde PlayGround

Helping people & companies to widen horizons & drive change. All with love for Education & Growth. Co-Founder WYDE