Da dipendenti a membri.

Gregorio Di Leo
Wyde PlayGround
Published in
4 min readMar 30, 2018

A piccoli passi le organizzazioni stanno cominciando a ripensarsi.

Tra le molte ragioni ce ne sono due che è il caso di prendere in considerazione.

Primo, le strutture organizzative tradizionali basate su processi e ruoli, costruite per massimizzare le performance e produrre efficienza, fanno fatica a stare dietro ad un mondo oramai troppo veloce.

Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria. Cercare di affrontare il mondo che si sta configurando all’orizzonte con schemi vecchi crea un generale sentimento di frustrazione e stanchezza diffusa che non favorisce ne il benessere ne le performance.

Secondo, oggi le persone entrano nel lavoro con uno spirito e delle aspettative diverse dal passato.

Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria. Cercare di affrontare il mondo che si sta configurando all’orizzonte con schemi vecchi crea un generale sentimento di frustrazione e stanchezza diffusa che non favorisce ne il benessere ne le performance.

Le nuove generazioni, ma non solo, hanno messo da parte l’idea che diventeranno ricche attraverso il lavoro dipendente. In giro non ci sono più gli stipendi degli anni 80.

Basta guardare questi dati pubblicati da Repubblica.

Una RAL di 42.000 euro non è certamente bassa, ma non ci vai in giro in Porsche.

Le nuove generazioni, ma non solo, hanno messo da parte l’idea che diventeranno ricche attraverso il lavoro dipendente. In giro non ci sono più gli stipendi degli anni 80.

A piccoli passi le organizzazioni tradizionali si stanno riconfigurando per essere più flessibili, aperte, veloci, orizzontali, larghe.

Registriamo alcuni segnali.

Diverse delle aziende con cui lavoriamo, in particolare multinazionali, stanno sostituendo i tradizionali momenti di valutazione delle performance con quelli che chiamano “touch base” oppure “crucial conversation”.

In sostanza, invece di vedersi una volta l’anno con il proprio capo per discutere la scheda di performance, capo e collaboratore sono invitati a fare delle discussioni mensili spesso accompagnate dal commento ai feedback raccolti da colleghi, collaboratori e altri capi (una sorta di 360 gradi, ma più snello).

Lo spostamento verso una dimensione di dialogo continuo racconta di un ambiente organizzativo che sta cominciando a strutturarsi più in orizzontale, e un po’ meno in verticale.

Diverse delle aziende con cui lavoriamo, in particolare multinazionali, stanno sostituendo i tradizionali momenti di valutazione delle performance con quelli che chiamano “touch base” oppure “crucial conversation”.

Un altro segnale che rileviamo è la frequenza con la quale siamo chiamati a facilitare progetti interfunzionali, quelli che noi chiamiamo “Cross the Borders”.

I “Cross the Borders” si pongono l’obiettivo principale di creare uno spazio di confronto aperto tra diverse funzioni andando oltre i silos funzionali.

Dato che le strutture funzionali sono state fino ad oggi la colonna vertebrale delle organizzazioni, vedere fiorire la nascita di spazi di dialogo aperto è un segnale debole molto forte.

Le aziende si stanno riconfigurando sempre più come delle comunità. Ma non lo sanno.

Un altro segnale che rileviamo è la frequenza con la quale siamo chiamati a facilitare progetti interfunzionali, quelli che noi chiamiamo “Cross the Borders”.

Sono le comunità infatti, i luoghi in cui le persone dialogano in maniera orizzontale e lo scambio di informazioni, emotivo, sociale, culturale ed economico assume un valore. Sono le comunità che si pensano in larghezza e non altezza.

Pensare alle organizzazioni come delle comunità significa mettere la dimensione delle scambio davanti a quella della transazione.

Significa mettere le relazioni al centro.

Le persone scelgono sempre di più le aziende per cui andare a lavorare (p.iva, stage, contratto, non importa) sulla base del progetto e del sistema di relazioni all’interno del quale sono poste. Un tempo si sarebbe detto delle opportunità di carriera, oggi non è più cosi. Preferiamo le culture, i legami, la possibilità di entrare in contatto con persone con le quali instaurare una dimensione di scambio.

Le aziende si stanno riconfigurando sempre più come delle comunità. Ma non lo sanno.

I silos funzionali rassicurano ma non garantiscono alcuna capacità di innovazione e avanzamento. Per questo bisogna favorire una dimensione di appartenenza, la condivisione di esperienze significative e l’intraprendenza.

E’ la trasformazione da organizzazione che scambia informazioni a comunità viva, aperta, in dialogo la prossima vera rivoluzione organizzativa.

Alcuni ci stanno già provando. Con buoni o scarsi risultati, non importa.

Nell’opera di riconfigurazione consigliamo lo strumento di Fabian Pfortmüller e Nico Luchsinger: il Community Canvas, che aiuta a mettere a fuoco alcune dimensioni della vita di comunità e facilita una riflessione profonda sulla ragione per cui decidiamo di appartenere ad un gruppo.

E’ la dimensione relazionale che ci siamo persi con organizzazioni troppo rigide in cui la ricchezza dello scambio umano è stata sostituita dalle schede di performance.

Sul loro sito trovate tutto. Aiuta a pensare alla vita delle aziende in maniera diversa, a non chiamare le persone dipendenti, ma membri.

Può essere utile per valutare le proprie attività di employer branding, rivedere come sono condotti i leadership meeting, verificare la consistenza dei processi di selezione, formazione e promozione e molto altro ancora.

Senza retorica.

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Gregorio Di Leo
Wyde PlayGround

Empowering people all around the world. Wyde Founder.