Piccoli pensieri per tempi agitati

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di Simona Gonella

“… Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro …” (Mariangela Gualtieri)

Nel giro di un paio di settimane la nostra mente e il nostro corpo hanno dovuto metabolizzare una serie di notizie che hanno inevitabilmente messo a dura prova la nostra capacità di adattamento, resilienza, sopportazione. Nell’ultima settimana l’accelerazione è stata tale che ci siamo ritrovati a guardare — talvolta con sgomento, altre con rabbia — come quelle stesse capacità siano state a volte sacrificate su altari di egoismi, personalismi,
debolezze morali diffuse.
Sono generazioni ormai che questa parte del mondo vive al sicuro, senza guerre e senza limitazioni alle libertà personali, decidendo dove stare, dove andare, chi incontrare. Abbiamo dato molto per scontato e, banalizzando, ci siamo ritrovati poco adeguati, poco abituati, poco capaci di sacrificio.

Una “frenata,” come la definisce la poetessa Mariangela Gualtieri, che ha aperto la strada ad un’altalena di emozioni contrastanti in cui paura e fiducia, indignazione e solidarietà, rabbia e delusione sembrano farla da padrona.

Ma forse questo ci sta insegnando qualcosa.

Non posso fare a meno di notare, infatti, che paura, fiducia, indignazione, solidarietà, rabbia e delusione oggi hanno una nuova sfumatura, un sapore nuovo. E questa sfumatura sta nel fatto che sentiamo che sono emozioni condivise. Sentiamo, e ci sentiamo, nel bene e nel male, parte di una comunità più grande dei confini delle nostre vite, anche se, paradossalmente, stiamo vivendo nella distanza sociale e nella solitudine.
E ci sale la rabbia per tutto ciò che andava fatto e non è stato fatto e la delusione per tutto quello che poteva essere e non è stato. Ma rabbia e delusione sono brutte bestie in questo momento, perché la loro energia non serve a molto.

Se è vero che la rabbia ci serve a rimuovere ostacoli sul nostro cammino, come facciamo adesso che l’ostacolo non dipende da nessuna delle nostre azioni e solo in parte da quelle di altri?

Le dimensioni del virus non ci consentono di prenderlo a schiaffi e tutta la negatività di cui possiamo essere capaci si dirige nel vuoto e lì resta a fare del male solo a noi stessi.

La delusione ci trascina in basso e colora tutto di un grigio imperante. Il “se fosse”, “se potessi”, “se si riuscisse”, in questo momento hanno poco margine di manovra e, forse, dovrebbero lasciare il posto a uno stare più centrati ed efficaci nel presente. Che non vuol dire non progettare, non desiderare, non guardare avanti, bensì farlo da una prospettiva in cui il tempo non ce lo scegliamo noi ma l’evolversi del contagio (e quindi qualcosa che sfugge al nostro controllo, se non per la parte solidale e responsabile dello stare alle regole imposte).

Stare nel tempo, ecco un’altra cosa che potremmo imparare.

La paura contingente e futura (del virus, del lavoro, di cosa resterà di questa Italia che resiste) ci aspetta al varco di ogni telegiornale e di ogni maldestro social, ci riempie le orecchie, ci assorda a botte di nuove restrizioni, nuovi crolli, nuove incognite. Ed è inutile nasconderlo: ci tocca nel profondo, nel nostro ancestrale bisogno di sicurezza.

E tuttavia io mi sento “protetta”.

Dalla fiducia che ho nel nostro sistema sanitario, dalla certezza che imposterò il dopo per fare la mia parte e per stimolare ed aiutare gli altri a fare la loro nel modo migliore possibile, dalla forte sensazione di “comunità” che sento crescere intorno a me. E mi impegno: faccio tutto ciò che posso per gestire le ondate di sconforto, distinguendo ciò che è in mio controllo/potere da ciò che devo lasciare andare perché non c’è nulla che, almeno adesso, possa fare per cambiare la situazione; evito e cerco di favorire negli altri l’evitare di inutili e dannosi attacchi di panico, sorrido e saluto, lavoro da casa, a volte mi annoio e lascio che sia così, a volte mi butto a capofitto nelle cose da fare e da pensare.
Siamo tutti a vario grado toccati e dovremo essere tutti pronti, alla fine, ad aiutare e ad essere aiutati, a rinunciare a qualcosa e a creare nuovi pensieri, a riprogettare e a rivedere, in ultima analisi a trasformare, trasformarci.

E, soprattutto, a essere solidali non perché costretti ma per una nuova,
rinnovata scelta consapevole di comunità.

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Simona Gonella è una facilitatrice di Wyde Connective School. (www.wyde.it)

E’ docente alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e collabora con la RADA (Royal Academy of Dramatic Arts) di Londra. La formazione e le esperienze teatrali hanno da sempre costituito linfa vitale per l’attività di consulenza, progettazione e realizzazione di percorsi formativi e di interventi di coaching. Ha finora realizzato numerosi interventi i cui temi sono andati dalla comunicazione efficace, con specifici interventi di public speaking, allo sviluppo della creatività, finalizzata ai processi di innovazione e alla capacità di costruire futuro.

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