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Ivan Carozzi
ZombiePost
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3 min readJan 31, 2018

M: «Lavoro a parte, il resto come va?»

T: «La verità è che sto lavorando troppo. Non riesco più a fare quello che voglio. La sera sono sempre stanco. Faccio fatica a staccare».

M: «Vale anche per me, ma è un problema di tutti e una questione che prima o poi salta fuori quando chiedi a qualcuno come sta».

T: «Tutti dicono che per via del lavoro e del telefono non riescono più a leggere un libro».

M: «Io non trovo più il tempo di andare in palestra. Pensa che ho già pagato un anno di abbonamento».

T: «Ma esiste una forma di complicità tra noi e il lavoro, io credo. Non pensi?»

M: «Non saprei. Cosa intendi per ‘una forma di complicità’?»

T: «Provo a spiegarti. Io a volte mi sveglio prima dell’alba. Succede perché c’è qualche preoccupazione riguardo al lavoro che m’impedisce di continuare a dormire. Allora, non sapendo come trascorrere questa inattesa disponibilità di tempo e non avendo più sonno, prendo il telefono sul comodino e lo accendo. Potrei aprire Instagram o la homepage del Corriere Della Sera, ma in realtà apro l’email. Oppure apro Instagram e la homepage del Corriere Della Sera, ma poi finisco sempre per guardare anche l’email e scoprire che dall’ultima volta che ho controllato la posta, non molto tempo prima di addormentarmi, sono arrivate nuove email. Sono state spedite da collaboratori che si svegliano molto presto per lavorare o da clienti che lavorano su un altro fuso orario. Potrei non aprirle e invece le apro. Leggo e scopro che l’email contiene un’informazione di lavoro. Poso il telefono e provo a riprendere sonno, ma l’informazione ormai è in viaggio, lavora, lavora e forza la mente a seguire un percorso, la costringe a svegliarsi, a dire di “si”, a dire di “no”, a decidere, a considerare le variabili, a porre domande, a individuare soluzioni, a cestinare, a scegliere, fino a quando, prima o poi, non ritorna il sonno e allora, con la luce dell’abatjour accesa, finalmente mi riaddormento».

M: «Il paradosso è che il problema è talmente avvertito e diffuso, specie in grandi città come questa, che sempre più artisti hanno cominciato a lavorare criticamente proprio su questo tema, tanto che il tema, questo del lavoro e del lavoro che cerca spazio dentro gli esseri umani perfino mentre dormono, è diventato un tema di moda nel dibattito. Così, per non perdere occasioni, per non compromettere contatti importanti e per capitalizzare un imprevisto momento di attenzione verso il tuo talento e la tua poetica, e quindi per il panico e la paura umana di restare senza lavoro o di non vedersi apprezzati, un artista non se la sente di dire di no anche a una soltanto di più proposte di lavoro ricevute. Così si ritrova a svegliarsi di notte e a controllare l’email, a causa di una preoccupazione che riguarda un numero eccedente di progetti artistici sul lavoro, e in particolare su quella nuova forma di lavoro che cerca più spazio nella nostra psiche e nella nostra disponibilità di tempo, spingendosi fino a dove esistono ancora, nonostante il lavoro, la pace del sonno, il silenzio e il mistero più profondo».

T: «Che ore sono? Adesso scusami ma devo andare, ho ancora una serie di appuntamenti».

M: «Allora ti mando un’email e mi fai sapere per quella questione di lavoro»

T: «Scrivimi quando vuoi e ti saprò dire»

M: «Pago io il caffè»

T: «Ciao»

M: «Ciao»

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