Igor, un po’ di geografia europea umida e dimenticata.

Andrea Gressani
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15 min readSep 29, 2017

manifestazioni di un pluriomicida, plurialias, plusdotato.

Andrea Gressani, Harun Haligali

Adesso è Ottobre. Igor-Norbert-Ezikiel, uccisore di barista, di guardia ecologica (forse di altri), è sparito. Tutti i suoi alias sono in fuga da sei mesi. Più di mille armati lo hanno cacciato tra Ferrara e Bologna come un orso solitario. Lui è grosso, ma invisibile. Nemmeno più ha la voglia di sfidare i technoumani: carabinieri speciali, droni termografici, cani molecolari, femmine profiler, mesmerici partigiani della prima ora e medium con palla di cristallo, gli sono indifferenti come il traffico che scorre.

Igor, il feroce pirata delle paludi, l’assassino del 1 Aprile: pesce di sangue con Smith&Wesson al bar Gallo della Riccardina di Budrio (ci lascia la pelle il barista Davide Fabbri) e poi poco dopo della guardia ecologica Valerio Verri, passerà alla storia come il criminale più costoso per le tasche dello Stato. Comunque finisca o non finisca (questo non importa), non sarà un successo. Qui di seguito parliamo un po’ di geografia e un po’ di pirateria, anche di cinema e fotografia, d’amore per Muija e di altro.

Igor, il feroce pirata delle paludi passerà alla storia come il criminale più costoso per le tasche dello Stato. Comunque finisca o non finisca, qui di seguito parliamo un po’ di geografia e un po’ di pirateria, di cinema, d’amore e di altro.

Se ci fosse un dossier poliziesco che cataloga gli umani invisibili, la caccia a Igor dovrebbe essere accomunata agli estrosi pirati fluviali dell’altro lato dell’Adriatico, quelli delle foci del Neretva, che dai Balcani spande acqua in paludi prima di gettarsi in mare. I pirati dai quali discende un’altra invisibile di nome Muija, erede di una considerevole abilità natatoria. A Berra sul Po, dove ogni agosto si celebra il festival mondiale della zanzara, Igor la incontra sul pontile.

La principessa indossa un costume unico da competizione, nero a bande azzurre. Quando si tuffa nella corrente a lui pare di vedere una freccia che fa plunk nell’acqua, un buchino senza uno spruzzo. Riemerge, come nuotasse in un bosco idrofilo, fa bracciate lente, e a Igor pare che delle corna di legno esplodano dalla sua testolina, e brillano occhi neri, e sbuca nel sole un sorriso grazioso e malvagio. Aggraziata, mora, età indecifrabile e rom. Muija è nata sul Po, non una nomade, ha accento ferrarese e parla nel romanì di Ploce dove il Neretva si butta in Adriatico croato; figlia di una famiglia rom stanziale da decenni a Berra, gente arrivata da un fiume pagano in un fiume cristiano. Nel 2015 Igor e Muija si innamorano alla festa di matrimonio del fratello di lei, una grande festa al Kon Tiki di Vigarano Mainarda. Un’unione trascendente, spiritualmente perfetta, fondata sull’invisibilità di entrambi e consumata in clandestinità tra un cattivone slavo e la principessa delle giostre.

Del Neretva non ne parla Muija, tantomeno Igor, mai che mai, ma i magnifici Chronicon Venetum, in cui nell’anno 1009 lo scrittore Giovanni registra l’ennesimo fallimento della flotta della Repubblica nel tentativo di catturare e decimare i pagani Pirati della Neretva: “Piratorum Narentae xe invisibilium. Se non se pol veder, non se pol pugnar”. Pugnette insomma.

Piaga delle operazioni commerciali della Serenissima, i leggendari pirati Narentani provenivano dalle aree intorno al delta del fiume Neretva, il più grande fiume balcanico che sfocia nel mar Adriatico. Con le loro incursioni soffocavano il lucroso traffico navale tra Venezia e il Levante. Questo delta del Neretva, queste paludi con centinaia di canali che cambiano il percorso più volte all’anno, furono l’incubo della flotta commerciale per quasi due secoli. Un territorio conosciuto nel medioevo con il nome Pagania, forniva il nascondiglio perfetto. Attaccavano in un blitz le grandi navi venete e si ritiravano con la merce e le fanciulle sequestrate. Le sentinelle della Serenissima hanno cercato invano, per anni, di colpirli, di farli uscire all’aperto, di fargli compiere un errore anche solo per vederli, almeno una volta. Nisba.

Questo per dire che se i discendenti del Neretva finiscono nel Po e non sulle Dolomiti, si vorrà segnalare che il loro sport preferito non è l’alpinismo.

Dunque ha senso la nazionalità di un pirata? Che farne delle fantasie croniste assetate di titoli cliccabili? A volte risulta serbo. Non siamo molto lontani dai russi, come genere, se non fosse per tutti quei bei aggettivi da Marvel Supereroe Balcanico.

Casomai non è Marvel è Magiaro. Ma sì, sicuramente lo è. Basta cercare persone su Facebook con il nome “Norbert Feher” e ne sbucano a centinaia, tutti residenti in paesini dai nomi impronunciabili siti nell’immensa pianura pannonica, la seconda più grande d’Europa, stesa intorno al fiume Tisa, il maggiore affluente del Danubio. Fate le debite proporzioni: che vuoi che sia per un Norbert la pianura Padana e il fiume Po, per colui che naviga a occhi chiusi nella Mesopotamia ungherese, quella dove ci ha lasciato la pelle anche il grande Attila degli Unni.

Norbert può darsi lo evochi per darsi coraggio: Attila, fratello di dio! Eccola la mia nuova Pagania! Una campagna fradicia d’acqua dove si sente straniero pure chi ci è nato. Qui tutti potrebbero nascondersi di colpo e non essere più ritrovati. Tutti sono al tempo invisibili o immobili al bar Gallo della Riccardina.

Nelle cronache dei giornalisti della Nuova Ferrara e del Carlino, oltre a foto in battuta di carabinieri hipster a canna alzata, ci sono insinuazioni su donne protettrici, ma non si parla di Muija, cosine buttate lì, sono più concentrati e immaginosi sul barista Fabbri che collezionava orologi, aveva un fucile e due pistole e se andava al poligono a sparacchiare.

Sono abili i cronisti, fanno saga di seghe investigative che descrivono le Igor improbabili imbucate: capanni, pertugi di frasche, cunicoli ferroviari, coloniche diroccate, garage abusivi, cinema in rovina e capannoni abbandonati.

I proprietari? Dicono che lo riconoscono, dunque lo conoscono.

Casomai avevano con lui affari andati male, casomai no.

Però non ci piove, ci sono conti da regolare: la violenza di Igor è selvaggia, non gratuita.

Non è un sociopatico ma un pirata. Dunque razzia, bottino, punizioni esemplari, derisione per le prede. Pure il terrore ha estro. Casomai ha un addestramento di fanteria. Fante delle terre di mezza acqua. Non è solo: contrabbandieri, estorsori, coltivatori di marijuana, bracconieri, lo aiutano, insinuano i cronisti.

Gli stinchi di santo scarseggiano in zona. Anche le spie. Ma non è una spia colui che immagina di averlo visto con Muija al matrimonio del suo fratello al Kon Tiki. Gli sposi sono trasportati su un carro giostra dove un pupazzo alieno gira la testa verde al vento e sorride a tutti. Il trattorino che traina il carro è guidato da “uno che potrebbe essere Igor”. Non si sa per quale motivo il carro giostra alieno sarà abbandonato mesi dopo nel bosco di Porporana. Muija e Igor hanno eletto il carro a loro luogo di appuntamento in caso di guaio, e ci fanno sesso sopra e sotto.

Così dice colui che immagina.

Spietato ed addestrato, con un passato misterioso e dallo sguardo selvaggio-tenebroso, un soggetto psicopatico e sadico, non disturbato affatto dal senso di colpa”. Se è russo deve essere fatto così! Magari una reincarnazione di Rasputin che ha incantato una banda di donne devote che lo aiutano, lo nascondono e nutrono. Le donne che in giro per tutta l’Italia del nord continuano a giurare di aver incrociato il suo sguardo, sull’autobus, in treno, passeggiando tra le calli veneziane o sotto i portici a Portogruaro. Due avvistamenti al giorno non se li permetteva neanche la Madonna a Medjugorje nei primi anni ottanta della Jugoslavia comunista. Donne che sono il multiplo immaginario di Muija.

Nota dell’8 aprile 2017

L’avvistamento notturno da parte di un paio di carabinieri con regole d’ingaggio incerte. Urlano qualcosa davanti agli abbaglianti di un Fiorino in retro per centocinquanta metri su di una sterrata bordo Po, a quella distanza è fuori tiro efficace. Igor ha appena seccato una povera guardia ecologica che non aveva il senso delle proporzioni. E’ certo, è lui, Igor su di un Fiorino rubato, che se ne va nel boschetto, poi ritorna con tutta calma per prendere uno zainetto che aveva dimenticato, e se ne scompare mentre si chiedono rinforzi e si sta lì a guardare in lontananza un’ombra che s’imbosca. Già I rinforzi, ai battiti cardiaci.

Forse nello zainetto grigio che si è ripreso c’era un regalo per la principessa delle giostre, un Rolex Oyester ricettato, mica è un ecologista che fa birdwatching. A Igor non gliene frega un cazzo della natura, anzi gli sembra proprio un gigantesco insieme di scomodità. E se fosse di scuola russa stalker, le guide clandestine che ti portano in zone proibite, topografi di luoghi infidi, che conservano impressi nelle retine borders invisibili, per ricordarsi quali soglie di mondi ti possono nascondere o uccidere.

Sa che l’osservazione è una logica, ti tiene in vita, e l’orientamento non è solo una direzione da prendere ma anche una trappola per gli altri, quello che mancò a Garibaldi per salvare Anita proprio da queste parti. Ma Muija non è Anita, non è in fin di vita e non deve nascondere Igor.

Lui è autonomo, ce la fa benissimo da solo. Lei non si occupa della fuga del suo gigante, si adopera a far girare a mille gli investigatori su indizi colorati di veridicità, fare salire e scendere chi lo cerca dalle piste che ha preparato, una girandola di voci che rimbalzano da un informatore all’altro in questa idrografia viscida e labirintica: è stato qui, non è vero, ma qua. I cani molecolari impazziscono, gli avvistamenti si tamponano, tutto gira a vuoto, come si addice a una principessa delle giostre.

A questo punto la solitudine di Igor non è poi così sola, è la somma di molte solitudini condivise con ogni abitante anfibio sperso nella campagna acquatica dell’Emilia Romagna. Il suo accerchiamento da parte dei militari mostra una morfologia ex-socialista di nativi padani ora leghizzati, concentrici a mussulmani affettuosi, neri senzadio e cinesi slot, ma soprattutto slavi, che nella loro nuova Pagania vanno a pesce gatto e siluri, nutrie e folaghe, e tutti questi artefatti etnici bisbigliano alla cronisteria nascondigli improbabili lungo uno scannatoio fluviale dove 70 anni fa gli umani meticci come Muija facevano la fine dei maiali. Un cerchio anfibio che accerchia militari a secco con silenzi sulla sostanza alternati da birichinate da bar Gallo.

Quindi non c’è una via di fuga? O è tutta una via di fuga? Una spirale di fumo nei boschi, appare, scompare, riappare, pluff. E’ lo spirito delle nebbie che accompagna Igor e lo spande via come un ventilatore.

Eppoi non stiamo parlando di un caso unico. Igor non ha l’esclusiva dello slavo imprendibile. Quando era poco più di un bambino ha avuto anche lui il suo eroe, un eroe che anche il fratello maggiore di Muija ricorda.

Il precedente è nell’aldilà Adriatico. Viene in mente un certo Kusturica. Sì, un serbo che fa di nome Emir. Abdulah Sidran, uno scrittore bosniaco, ha contribuito tanto alla fama internazionale di Emir, scrivendo le sceneggiature per i suoi primi due film, uno dei quali è stato premiato con la Palma d’Oro a Cannes. Abdulah scrisse anche una sceneggiatura basata su una storia vera, e per certi aspetti simile a questa nostra di Igor: una caccia all’uomo iniziata a metà degli anni ottanta nella suburbia nebbiosa e infangata di Sarajevo. Se ne parlò tanto di quella ormai leggendaria fuga svoltasi nei fitti boschi della Bosnia centrale. Per mesi le forze della milizia, dell’esercito e dei giornalisti jugoslavi setacciavano i boschi e monti dando spettacolo alla nazione che seguiva in diretta radio e tv: la caccia a quello che oggi è conosciuto come l’ultimo fuorilegge bosniaco. Junuz Kečo, che fu il vero nome del fuggiasco. Si orientava maestralmente tra i monti. Dormiva di giorno, faceva spesa al supermercato di notte. Era ferito. La gente lasciava del cibo e dei medicinali davanti alle loro case. Il cordone delle forze dell’ordine stringeva la cerchia intorno alla zona rossa, un montuoso raggio di 30km. Lui invece fu arrestato per un casuale controllo fiscale in Montenegro, in un cantiere dove lavorava tranquillo sotto falsa identità, mentre ancora in Bosnia centinaia tra i migliori militari battevano il terreno. Junuz fu ricercato perché compì quello che è conosciuto con un nome macabramente romantico — un delitto d’onore. Accoltellò la sua donna, per gelosia, sette volte nel collo, poi a calci le fece saltare fuori le costole, le budella e i polmoni. Perché la amava, disse lui, più di se stesso. Quando fu successivamente intervistato in carcere da Sidran per la sceneggiatura, disse che “l’uomo non può combattere una forza che non vede”.

E’ improbabile che la principessa delle giostre faccia la fine della donna di Junuz, non ci sono le condizioni: gelosia, tradimento. Soprattutto Muija non esiste, è un’invenzione del paesaggio, anzi un paesaggio inventato.

Se uno guarda le foto di paesaggio del fotografo Luigi, ci trova uno spazio di campagna dove non si vede la gente, il che non sta mica a significare senza vita umana, ma che il fotografo voleva star solo con le cose che solo lui vedeva, e casomai alle sue spalle c’era una torma di gente che aspettava che lui scattasse. Oppure no, era proprio solo nel momento di luce svaporata che aveva atteso. In queste foto Igor potrebbe esserci ma invisibile, parte del paesaggio là fuori, non una nitida presenza umana, più un mimetismo naturale tra Molinella, Argenta e Budrio, Campotto e Porporana. Mettiamo adesso che Igor annoiatissimo immortali con il telefonino tutti i suoi nascondigli e per conoscenza faccia segretamente recapitare i jpg ai suoi cacciatori. Questi qua sarebbero in grado di raccogliere indizi sufficienti per capire dove si è nascosto? Di vedere?

Forse lo scrittore Gianni, con il suo fare scorbutico, ricordandosi di Giovani Umani in Fuga, il racconto che scrisse su certi fuggiaschi persi da queste parti, si soffermerebbe sull’incertezza dello sguardo dell’investigatore, e passerebbe la palla al fotografo Luigi, che distratto come sempre, guardando le foto del telefonino di Igor ci avrebbe trovato un sentimento di stare al mondo in una geografia europea umida e dimenticata.

Nota del 26 Aprile 2017.

Si sono ritrovate ruberie (di chi?): fusti di gasolio agricolo, pezzi di trattori, polli scomparsi, armi e munizioni, prosciutti e salami, bici e motorini, canne da pesca, un manarino, chili di marijuana, gioie di famiglia, cartoni di Marlboro. I delinquentelli di valle sono le prime vittime del controllo del territorio. Forse le forze schierate pensano che questo induca una spiata per liberarsi dalla morsa, forse si sbagliano sulla vera indole della popolazione anfibia.

C’è qualcosa che vacilla nello schieramento. Stranieri come marines nelle risaie del Mekong, che non hanno fatto tesoro delle mappe degli ingegneri idraulici di Napoleone, un pochetto invasivi e invadenti come lo sono tutti quelli che fanno troppo affidamento sulle mappe e non avvertono che le mappe sono gli umani. Si accorgono che a passare da invasori basta il morto sbagliato a un posto di blocco. E così gliela danno sù e si ritirano ai comandi d’origine.

Nota del 13 maggio 2017.

Il PM Marco Forte prima definisce Igor un criminale di serie C, poi si aggiorna e dichiara: “Dopo 42 giorni di caccia Igor sta sfidando i carabinieri, nè i cacciatori di Calabria, i GIS, quelli del Tuscania, più di mille uomini, lo hanno convinto a desistere, tanto da poter escludere la mera occasionalità della condotta e anzi dimostrando un’assoluta spregiudicatezza, quasi a voler ingaggiare una vera e propria sfida con le forze dell’ordine con una lucida determinazione, un mero criminale dotato di capacità sovrumane”

Uh!

Non si sente perduto, sono gli altri che si sono persi. E’ la strategia media degli investigatori si è persa nel più lungo ‘spottone’ della storia dell’Arma, dove ciò che non è successo è vero, ciò che è successo non cambia la percezione della realtà, e ciò che succederà avrà troppe versioni per divenire una sola verità. Nell’epoca delle fake news Igor Ezikiel Norbert etc regalerà una delle sue tante identità a ciascuno di noi, affinchè ci sentiamo soddisfatti in quello che vogliamo che sia.

Nota del 29–31 maggio 2017.

Un drone carabiniere top gamma litiga con l’aviazione di Igor, un nibbio lo abbatte sull’oasi di Campotto. Missing in action. Non c’è gara tra un occhio cyber e un predator Milvus milvus in picchiata a 200 km/h. A questa contraerea provvede anche un segnalatore, un indio brasilero campione di balzo con liana. Sembra che un cecchino dei GIS l’abbia collimato in lontananza e scambiato per un uccellone di palude con una lunga coda. Diversamente il brasilero manovra la liana con perizia, è un acrobata del bosco che segnala a Igor cosa sotto si muove.

Molinella: Il colonnello Giardina dell’Arma si rivolge alla popolazione: aiutateci a prenderlo. Seguono istruzioni per l’uso di Igor: se avvistato avvertire prima i carabinieri non i famigliari-Se presi in ostaggio non opponetevi non cerca denaro ma altro –assecondarlo, non reagire a offese e umiliazioni — memorizzate volto, abbigliamento, direzione presa, ogni dettaglio — se riuscite a liberarvi non correte verso gli agenti, loro non sanno chi c’è con voi, sdraiatevi a terra con le mani sulla testa.

Già visto (anche da Igor), in qualsivoglia action movie, quelli per cui vanno matti i sindaci country imbevuti di apericena e convinti di urbanizzare i loro elettori con qualche scemenza filo-Fico. Quello di Argenta ha rischiato una bastonata da Igor, del resto da queste parti tirar bastonate è uno sport da sempre, fa parte della tradizione dissuasiva della popolazione, non è roba da film.

No, davvero, il nostro Norbert nutre una passione spiccata per i film. Da piccolo voleva guardare i cartoni animati, ma suo padre glieli vietava, sostenendo che erano propaganda Uncle-semita. Così, da giovane ha dovuto subire le rassegne di squallidi film austriaci nei luridi cinema sul confine tra l’Ungheria e la Jugoslavia, con e per soli uomini. Anni più tardi, in carcere, dopo aver visto Pulp Friction, Norbert ci volle restituire un certo tono kitsch alla sua anonima identità aggiungendo il nome Ezekiel. Lo sconosciuto regista del pornazzo adattò un passaggio della Bibbia a suo piacere, ma Norbert, il carcerato, se ne frega della verità e recita, imitando il suo idolo Roberto Pipino:

Il cammino dell’uomo timoroso è minacciato da ogni parte dalle sporgenze degli esseri egoisti e dalle protrusioni degli uomini malvagi …

Sarà che gli garba il cinema. A come Astuzia, V come Vendetta, L come Latitanza, A come Ammazza, T come Terrore , come Adeso vengo la e vi amazerò tuti!!!! Ecco da che film proviene la scritta su di uno specchio impolverato trovato in un rudere a uno sputo da Portomaggiore (altra trovata di Muija) .

Nota del 22 Luglio 2017.

Budrio come Tombstones. La vedova del barista è disperata, le sembra di vivere in una terra senza legge. Che si fa? Gli amici Pinkerton del barista Fabbri mettono una taglia su Igor (50.000 vivo — 25.000 morto). Chiunque ha info si faccia avanti, l’avvocato bolognese che li rappresenta è un reincarnato di Roy Bean, il leggendario giudice del Far West, quello che giudicava nel suo saloon (Bar Gallo alla Riccardina), su cui campeggiava la scritta “la legge a ovest del Pecos (Po)”. Comunque incassano in trenta giorni una giostrata di avvistamenti tutti inattendibili.

In tutto questo carnaio giornalistico-investigatorio, grande rispetto per l’inventore, colui che immagina che Muija sia un fantasma del Porrajmos, il divoramento degli zingari macinato dai nazifascisti che fecero di Berra l’anticamera di Auschwitz. Muija è nella fantasia di un anonimo di Lomanelli, un poeta giostraio anche lui invisibile, e noi vogliamo complimentarci, se non altro perchè una volta si diceva che i giostrai rapivano i bambini facendogli divertire. Beh allora siamo stati tutti rapiti a nostra insaputa.

I cronisti della leggenda di Muija non ne sanno una mazza, meglio per loro. Immaginate se ci fossero cascati e avessero osato alludere alla pupa di Igor, o peggio, alla figlia stronza di uno zingaro.

Nota del 1 Settembre 2017.

“Maial, lo faran tanare e uccidere, perché se parla, tutti questi ucaron terrorizzati dovran dire cum mai ench per un minut della loro vita al son stè Igor, zio vigliac”, parole di Badilaz decrepito fiocinino di Atina, illegale dalla nascita in questo anguilloso mondo idraulico.

Se non lo uccidono val bene la scritta rupestre apparsa una notte di Maggio a Ferrara, forse fatta da un buontempone alticcio: PERCHE’ A IGOR I CARABINIERI VOGLIONO BENE. Un controsenso dove ormai nulla ha più senso.

Fine di divagamenti e avvistamenti.

L’indio brasilero è sceso dalla liana e si è infrascato, invisibile alle pupille distratte e senza più nulla da segnalare, dice che comunque vada non sarà un successo.

La storia assassina di Igor, se non altro, può essere un pretesto per esplorare una geografia smarrita e appiattita tra le google maps, i navigatori gps e le autostrade tutoriali. Una geografia dimenticata nelle due sponde opposte dell’Adriatico. Forse anche lui stesso si è dimenticato dov’è, non sa se deve partire o è appena arrivato. Forse non vuole andarsene, forse vuole rimanere per sempre nella Padania, come l’Attila degli Unni che sparì misteriosamente nella Pannonia. Magari è andato in letargo, come i Pirati Narentani che aspettano ancora placidamente, nella loro amata Pagania, una nuova era per ripartire.

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