L’Ambasada Neretva e gli haitiani, oppongono i loro benefici poteri fluviali alle zombiedighe

Invito in un bellissimo fiume balcanico all’azienda californiana Patagonia (rituale vodou caraibico incluso).

Harun Alikadić
ZombiePost
12 min readNov 29, 2018

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Neretva, 2009, photo by Goran Vukoja

En passant, in questi giorni di Novembre, è trascorso un secolo dalla fine della guerra più sanguinosa della storia dell’umanità, la Große Krieg, che trovò il suo casus belli a Sarajevo. Un pretesto: un arciduca freddato. A seguire, una cinquantina di milioni di morti.

Sempre nei giorni di Novembre, quasi un quarto di secolo fa, finì la guerra in Bosnia-Herzegovina, simbolicamente terminata a Sarajevo con un concerto di musica industrial, eseguito per due sere da Laibach e dal loro progetto artistico Neue Slowenische Kunst, l’ultima notte di guerra e la prima giornata di pace.

Sempre a Sarajevo, poco più di un mese fa, si è tenuto il primo vertice europeo sui fiumi, 1st European Rivers Summit, con l’intento di radunare tutti coloro che lottano per la salvaguardia degli ultimi grandi fiumi rimasti in Europa. Dichiarano guerra alle banche, alle lobby energetiche, ai politici locali corrotti e altri mali. Durato tre giorni, terminato con un concerto, in cui Rambo Amadeus con un martello pneumatico le suona alle dighe e loro costruttori.

Una campagna di sensibilizzazione chiamata Blue Heart of Europe, sostenuta anche dall’azienda californiana Patagonia, punta proprio a questo — promuovere la lotta senza compromessi contro tutte le dighe, con un focus sui Balcani. Il cuore blu dell’Europa, l’ultima riserva europea dei fiumi liberi e selvatici, è però a grave rischio di infarto grazie alle banche e alle aziende che vogliono ostacolarne i corsi con quasi 3.000 nuove dighe, sbarramenti e mini centrali idroelettriche già progettate per un’area poco più grande dell’Italia. Di preciso sarebbero 2.830 dighe sottoposte a finanziamento, esattamente quante sono le parole contenute in questo intero testo.

Oltre alla promozione di documentari, Patagonia ha consegnato alla Banca Centrale Europea una petizione firmata da oltre 120 mila cittadini per chiedere alle banche di interrompere immediatamente i progetti di finanziamento idroelettrico che danneggiano questi preziosi habitat. Tutto questo ha portato all’organizzazione del vertice a Sarajevo, che ha riunito ONG, attivisti locali e internazionali, scienziati, ambientalisti e giornalisti per creare un fronte unico. Questa battaglia è una nuova era per i Balcani, e sta già facendo storia. D’ora in poi costruire dighe in questi posti non sarà un’impresa facile.

Anche la Ambasada Neretva ha partecipato al Summit, guidata dal Console Omar Shelof per far conoscere il proprio piccolo contributo alla lotta contro i turbo-idioti, sostenuta da anni e presentata con il titolo — Proteggendo la Neretva attraverso le generazioni. Il nostro approccio è atipico, indiretto e spontaneo, usa la nostra presenza ed esperienza persistente. Il messaggio è stato accolto con entusiasmo. Non siamo sicuramente degli supereroi, però, è evidente che abbiamo benefici poteri fluviali.

Ma il bene é imbecille, lo scriveva Paolo Rumiz, un reporter triestino, nel suo libro “Maschere per un massacro”. Descriveva l’imbecillità degli Jugoslavi all’inizio degli anni 90, increduli e inerti di fronte all’evidenza di una guerra in preparazione. Capirono solo quando scoppiò davanti alla porta di casa, ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Il bene non sa fiutare il male, non ne è capace. Rumiz non lascia speranza — non esiste il bene astuto.

La prima Ambasciata Zombie potrebbe sorgere ovunque ma non in una città su un fiume. L’acqua corrente, fresca e briosa è l’antitesi dello Zombie, è tutto quello che uno Zombie non può essere. Arzillo, scorrevole, luccicante, il fiume se la gode. A volte placido e disinteressato, a volte feroce e spietato, ma sempre vivace, presente. Infatti, l’acqua è un possibile antidoto, sostengono gli Haitiani, per chi rimane intrappolato tra la vita e la morte, ovvero gli Zombie.

Ecco, si presenta proprio così un fiume che va di nome di Neretva, l’unico tra i big dei Balcani a snobbare il schönen blauen Donau ed a svignarsela nel caldo mar Adriatico.

Neretva, 1982

Al contrario di quella dei Zombie, qui la Ambasada Neretva esiste. Portata avanti da due generazioni di entusiasti armati di gommoni, camere d’aria di trattori, fusti di plastica e grappa di prugna, ormai da 40 anni confermano la loro presenza silenziosa sulle rive del fiume Neretva. Lassù, in montagna, in Herzegovina, sopra Konjic, c’è il quartier generale, nascosto nel villaggio di Džajići, una minuscola valle fertile racchiusa tra le vette popolate da pini endemici e caparbi. É proprio da lì che l’unico presente della prima generazione, l’Ambassador Zijo, lancia un grido — qui stiamo bene, e voi!?

La Ambasada è in disaccordo con i turbo-idioti che si accordano per costruire delle dighe, piccole o grandi, sulla prima parte del fiume, rimasta ancora naturale e intatta. In contrasto con chi corrompe le autorità locali facendo leva su un’economia indebolita, e con chi vede dei verdoni scorrere invece che un fiume color verde turchese, si dichiara: basta con le turbine idroelettriche! Neretva alimenta già al giorno d’ oggi, 5 grandi dighe con i laghi di accumulo. Piuttosto, ci sarebbe da demolire.

Nel mese di Luglio di quest’anno la seconda generazione dei Consoli di Ambasada Neretva ha celebrato 20 anni di presenza continuativa. Anni passati cavalcando le rapide, passando le notti sotto le stelle sulla spiaggia accanto al fiume e condividendo questa esperienza con altri Consoli provenienti da tutto il pianeta, che hanno portato con sé nel mondo la storia della Nera-Etwa, una divinità celtica che letteralmente sta per la-Dea-che-scorre, da cui il nome Neretva. Oltre alle ostentate attività edonistiche all’aria aperta, la Ambasada diffonde da anni l’appello pubblico per la preservazione di questo ambiente, attraverso il lavoro artistico e culturale svolto sul luogo. Il messaggio é uno: Neretva continuerà a scorrere.

Neretva, 2018

Ambasada Neretva 2018

L’edizione 2018 vede la presenza di Leo lo Messicano, Omar Shelof lo Bosniaco-Ungarico, Pierre-au-Fich lo Hawaiano, o Haitiano, dipende, e il sottoscritto; con la simbolica presenza della Console di Kuwait City, Eylah.

Campo base, improvvisato in pochi minuti, sotto il dominio della fiacca, posato su due fiumi, precisamente sul delta del fiume Rakitnica che sfocia in Neretva. Una spiaggia di sassi grossi rialzata pochi centimetri sopra i fiumi. A dire la verità, la Rakitnica quest’anno ha scelto di concentrarsi dalla parte opposta, qualche decina di metri più in là, privandoci della sua presenza.

I giorni passano tranquilli, in totale isolamento da mattina a sera, ma con una presenza massiccia di turisti seminudi che arrivano sui gommoni di rafting verso mezzogiorno. Si fermano per qualche ora, prendono sole, si tuffano, si divertono. Gente da tutte le parti del mondo viene a godersi questa spettacolare natura, per sentire l’adrenalina e staccarsi dalla quotidianità.

All’improvviso la spiaggia battuta di sole ardente si popola di arabi di mezz’età, mezza statura, vestiti in mezze tute da rafting, si mettono in tre file uno accanto all’altro, girandosi in una direzione parallela al nulla e voltando la schiena al fiume. Pregano. Ad alta voce.

Massì! Questo posto semplicemente ispira la spiritualità. Si sente Allahu Akbar e niente esplode! Siamo tutti uniti. I Consoli della Ambasada, a venti metri di distanza, in penombra, sorseggiano la birra fresca e sincronizzano i movimenti al ritmo della preghiera. Il fiume crea fusione.

Nello stesso momento passa un gruppetto di ragazze bellissime, britanniche, mulatte. Pur avendo un fare tipicamente francese, Pierre le insegna come fare un autentico segno dello shaka. Le ragazze esultano per aver incontrato in spiaggia, in Bosnia, in montagna, un hawaiano in grado di gesticolare con la mano un perfetto Aloha. Da Allah ad Aloha la via è breve.

Le britanniche si siedono sotto il tendone e in quel momento ci si accorge che un gruppetto di apparenti poliziotti cinesi vi si era già seduto da prima. Si scopre che in realtà sono dei vigili, dirigono traffico a Pechino. Non sopportano il tanto caldo del sole e non mangiano i ćevapčići offerti dall’agenzia di rafting in spiaggia, si sono portati dei ravioli di verdure. Il Console messicano passa loro la trombetta della pace, quella la accettano.

Infatti, stiamo cercando di convincerci che vengono in pace, questa massa di rafters, questo esercito di turisti armati di selfie sticks, questa unica considerabile alternativa economica alle tanto odiate dighe. Conosciamo bene l’impatto distruttivo che anche tale fenomeno riesce ad avere sulla natura. Abbiamo visto da vicino quanto delicato sia questo equilibrio e di quanto impegno e di quanta cultura necessita la comunità locale per non caderci nella pericolosa trappola del denaro veloce. Bungalow abusivi costruiti lungo il canyon per ospitare qualche turista pigro e pronto a spendere qualche spicciolo in più non sono niente meno peggio della diga. Questa meraviglia di natura deve rimanere tale e uguale, intatta, per la gioia di tutte le generazioni.

Ecco che arrivano quattro Heidi austriache e usano il fiume come scivolo. Indossano un salvagente, saltano nell’acqua gelida da una roccia e scompaiono sott’acqua per qualche attimo per poi ricomparire qualche metro più giù, nuotando con tutta la forza cercando di aggrapparsi alla spiaggia per uscirne fuori. Poi risalgono lungo la sponda e ripetono il rito un’infinità di volte, battendo i denti dal freddo, le labbra socchiuse ormai diventate viola. Pelle trasparente, occhi spalancati, sembrano dei pesci! Anche i Consoli seguono l’esempio e si lanciano tra le rapide sciacquando così l’ottusità provocata dalla micidiale combinazione sole-birra. Il fiume rinfresca l’anima. Lo sanno bene anche ad Haiti.

Neretva, 1984

La sera, acceso il fuoco, turisti evaporati accanto alla Neretva. Pierre-au-Fich, membro storico della Ambasada, autoproclamatosi bokor Haitiano, ovvero uno stregone “che può lavorare con entrambe le mani”, cioè che può fare sia il bene che il male, ci somministra delle dosi di una sua miscela magica che chiama blanche poudre e le nostre menti si immedesimano con la musica del fiume che scorre. Lui, sull’ukulele che ha creato con le sue mani, con cedro profumato, decorato con delle ossa di dubbia provenienza, canta male. Intona una canzone in creole che più o meno la si traduce così:

I miei cugini non sono mai morti
Tormentano le notti di Duvalier
Niente ferma le nostre speranze
Le armi non possono uccidere ciò che non possono vedere
Nella foresta ci stiamo nascondendo
Tombe non marcate dove crescono i fiori
Nel fiume andremo

Nei giorni a venire scopriremo che è in realtà una bella canzone, scritta da un musicista haitiano, membro degli Arcade Fire. Nella registrazione originale si sente un fiume scorrere, come la Neretva davanti a noi. Nel fiume andremo. Eccome.

Segue la passeggiata nei boschi sotto il chiaro di una Luna piena, sù, sopra il fiume. La luce candida penetra affilata attraverso le chiome degli alberi e si posa a macchie color argento sul sentiero, come briciole da seguire. Ascoltiamo il silenzio che qui è rappresentato dal continuo mormorio di due fiumi che conversano, si confrontano, i loro discorsi si intrecciano. A volte sembra di sentire delle simil voci umane. Il fiume sussurra i segreti, come testimonia anche Siddharta di Hesse, chi vuole può ascoltare e farsi riflettere nel proprio universo. Infine, arriviamo su una piana bagnata di luce bianca, con una vista sul fiume Rakitnica. Ci sediamo.

Salto d’acqua

Pierre ci racconta che proprio in quei giorni di Luglio, ad Haiti, precisamente a Saut-d’Eau, avrebbe dovuto partecipare al rituale Vodou di purificazione e rinascita sotto le cascate del fiume Le Tombe. L’acqua corrente libera energia sacra, è musica di sottofondo per le preghiere e la danza. Si svolge ogni anno per invocare la dea Erzulie Dantó, la dea dei fiumi, dei torrenti e delle cascate, oppure la corrispondente divinitá cattolica adottata — la Vergine del Monte Carmelo. Sia per i cristiani che per i Vodou, Saut-d’Eau è un centro spirituale, un luogo in cui rinnovare di anno in anno buoni rapporti con il mondo soprannaturale. Una volta alle cascate, molti pellegrini si spogliano in mutande, le donne sono spesso in topless e si tuffano nella piscina sotto le cascate lasciando che le acque fresche puliscano. I sacerdoti trasportano bacili di erbe, che mescolate con le acque del fiume, si spalmano sui corpi dei credenti in pellegrinaggio. Sperano che lo spirito si manifesti e vengano posseduti dalla Erzulie Dantó, un Lwa, divinitá Vodou. Sperano, che anche per un solo breve momento, vengano toccati dalla sua presenza ed energia. Ci sono momenti in cui la luce cade attraverso gli alberi e viene catturata dal flusso d’acqua che scorre, che a sua volta si illumina quando riflette la luce. Si pensa che questo sia uno dei luoghi sacri delle popolazioni caraibiche pre-coloniali, adottato poi dagli schiavi africani nei loro riti. Il fiume si tramanda, non è proprietà di nessuno.

Neretva, 1984

Erzulie Dantó rappresenta la bellezza, l’amore e la sensualità. Lei è una mecenate delle arti, in particolare della danza. Anche la Vergine, apparsa in cima agli alberi di palma, e rappresentata spesso con l’immagine della Madonna Nera, è una divinitá adorata in modo intercambiabile da molti Haitiani senza alcun senso di contraddizione, un perfetto esempio della natura sincretica della vita religiosa in cui i simboli, i riti e le divinità si prendono in prestito, si scambiano, si influenzano. Tutte e due potrebbero essere benissimo delle parenti della dea Nera-Etwa e della Vergine di Međugorje, anche se quest’ultima ha il vizio di apparire lontano dai corsi d’acqua, sui colli aridi e inaccessibili della Herzegovina, là dove la natura sa più di morte che di vita.

Gli haitiani però non hanno paura della morte. La morte é una fase della vita naturale, un passaggio. Dopo la morte l’anima passa un po’ di tempo sott’acqua, poi, guidata da un bokor, oltrepassa nel mondo degli spiriti. Non hanno nemmeno paura degli Zombie, hanno paura di diventarne uno, quello sì. Gli Zombie sono degli umani senza anima, né morti né vivi, schiavi dei loro padroni, non hanno ne volontà ne indipendenza. I riti a Saut-d’Eau servono anche per questo, farsi proteggere dai Lwa e scacciare le possibilità di diventare Zombie.

Forse anche l’ Ambasada Neretva, e le migliaia di turisti che vengono di anno in anno a tuffarsi nel fiume, lo fanno proprio per non diventare delle specie di Zombie. Nel canyon non c’è la rete telefonica eppoi gli smartphone sono notoriamente allergici all’acqua, cosí almeno per un paio di giorni si smette di essere Zombie digitali con il volto incollato sui schermi succhia energia. Qui si viene per riempire le batterie sì, ma le nostre interiori. E per poter ricaricare serve il fiume così com’è, vivace, libero e indipendente.

Questa esigenza però non è affatto nuova — nel suo libro sull’organizzazione delle fabbriche e della vita sociale degli operai, “Noi sogniamo il silenzio”, Adriano Olivetti negli anni ’50 evidenzia le conseguenze zombificanti della carenza di rapporto con la natura e con l’acqua,

Le radici dell’uomo sono nella natura e nel paesaggio. Vale quindi la pena affrontare un’apparente perdita di rendimento economico per evitare un opprimente e inesorabile distacco … l’acqua esprime uno slancio vitale … poiché non serve soltanto a lavare il corpo, ma essa riguarda anche l’anima perché … purifica il cuore.

Neretva, 2018

Il cuore blu dell’Europa

Forse Rumiz sbagliava, gli attivisti potrebbero essere un esempio del bene che fiuta il male. Non gli attivisti hashtag armati di tastiera e account fasulli, che infestano la rete con l’idiozia troll, ma veri attivisti amorevoli. Come le austriache RiversWatch e EuroNatur che hanno dato origine alla campagna Blue Heart, poi promossa dalla multinazionale americana Patagonia; oppure le donne toste di Krušćica che hanno occupato l’accesso al fiume per più di un anno, tutti i giorni, e l’hanno finalmente salvato dalla costruzione di due dighe; come i pagaiatori di Balkan Rivers Defence, che hanno attraversato nei mesi scorsi i Balcani in kayak avvertendo sullo tsunami delle dighe; come altre centinaia di persone che restano anonime ma continuano a lavorare e spesso rischiare per fare la differenza. Con il vertice a Sarajevo si è voluto divulgare l’invito a combattere la distruzione dei fiumi e prevenire, finché si è in tempo.

Sarajevo potrebbe sfruttare questa occasione e dare luogo ad un pretesto per una battaglia mondiale, per far sì che le future generazioni possano rievocarne il nome, e guardando indietro questa volta possano avere finalmente qualcosa di positivo da tramandare.

Planet je naš! Il pianeta è nostro, di tutti. Non è di qualcuno, specialmente degli investitori. L’ecologia è sconfinata, una poetica comune a tutte le nazioni.

E speriamo che molto presto diventi l’idea di riferimento delle nuove generazioni, diversamente l’homo sapiens muterà in zombie economicus.

Neretva, 2058?

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Harun Alikadić
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Digital Product Designer, currently at EclecticIQ. Occasionally enjoy writing about design, outdoors or fiction. English is my third language.