La Casa del Fascio di Giuseppe Terragni all’epoca della sua realizzazione

La Casa del Fascio come Casa di vetro: peculiarità e problematiche museali

[3 di 4]

Michele Bollini
2012/2017
Published in
8 min readApr 8, 2017

--

Il secondo aspetto riguarda una caratteristica peculiare del linguaggio con cui la Casa del Fascio è stata progettata da Giuseppe Terragni su incarico di Egidio Proserpio nel 1932 che, una volta definito il piano di finanziamento e il luogo, un area ceduta proprio dal comune di Como, realizzò l’opera decisamente più importante della sua carriera.

« Il concetto che ho impiegato è stato l’accordare i due aspetti di un ordine nuovo: arte e politica»

(Cfr G. Terragni, La costruzione della Casa del Fascio di Como, Quadrante 35–36, Ottobre 1936)

Pertanto una delle caratteristiche principali della Casa del Fascio è la permeabilità e trasparenza di alcune parti della facciata principale e della copertura. Caratteristiche uniche che permettono a chi sta fuori di osservare quello che avviene dentro l’edificio e viceversa.

In copertura, fasce realizzate in vetrocemento, filtrano la luce zenitale restituendo all’interno immagini suggestive dello spazio pubblico.

Nell’edificio, l’uso del vetro assolve a una duplice funzione, diffondere la luce naturale negli ambienti interni e, contemporaneamente, cercare un rapporto costante con il l’esterno.

« casa di vetro in cui tutti possono guardare»

(Cfr G. Terragni, La costruzione della Casa del Fascio di Como, Quadrante 35–36, Ottobre 1936)

Non esiste al Mondo un edificio che sappia dialogare in questo modo e con questa drammatica intensità con il proprio contesto.

Il Museo a ridosso del Monumento : alcune criticità

Come coniugare trasparenza e luce caratteristiche degli ambienti interni con le nuove esigenze espositive che avvengono oggi, come sappiamo, in totale assenza di luce naturale?

Una problematica di tipo tecnico, legato al deperimento e danneggiamento del materiale artistico se esposto a fonti di luce, che compone il ricco patrimonio dell’archivio Terragni. Una di pura suggestione dei percorsi espositivi che oggi vengono realizzati con luce artificiale studiata per valorizzare le opere e amplificare l’effetto scenografico dell’allestimento.

Sicuramente non potremo snaturare la struttura e privarla delle sue caratteristiche più importanti per trasformarla in un museo contemporaneo.

Sarebbe più opportuno pensare ad un intervento di restauro conservativo in grado di restituire l’edificio alla contemporaneità in tutto il suo splendore perché diventi sì Museo, ma unicamente di se stesso.

La sua conservazione ci permetterà di rispettare e ritrovare intatte ognuna delle caratteristiche proprie del monumento Razionalista così da poterle meglio presentare e raccontare ai visitatori.

Potremmo aprirla al pubblico e utilizzare gli spazi, come già avviene peraltro, per piccole conferenze e/o eventi culturali, cosa diversa da uno spazio espositivo.

Altrettanto doveroso è considerare l’ipotesi che, il nuovo edificio “tecnico”, possa in qualche modo generare alcune criticità:

  • La prima di carattere economico, rapporto costi/benefici in relazione al cambio di destinazione d’uso e all’adeguamento delle strutture ex U.L.I. anch’esse progettate per assolvere a funzioni diametralmente opposte a quelle museali.
  • La seconda di carattere funzionale, il quartiere può, urbanisticamente, ospitarlo e sostenerlo senza rivedere viabilità e sosta?

Ecco perché occorre chiarire cosa intendiamo con il termine “Museo del Razionalismo”.

Gestione e sostenibilità dell’intervento : la riflessione di A.Garlandini presidente di ICOM (International Council of Museums)

(Articolo tratto da “Il Giornale dell’Arte” — Marzo 2017)

Uno degli aspetti molto importanti è senza dubbio la “gestione” e la “sostenibilità” di un nuovo Museo Contemporaneo a Como. Di seguito alcune considerazioni sulle quali sarà doveroso riflettere.

Per nuovi investitori nella cultura servono nuove condizioni. Almeno sei.

Una rivoluzione è in corso. I musei stanno ripensando il loro ruolo come luoghi di cittadinanza attiva, per attrarre nuovi pubblici. Un cambiamento complesso, strategico, di senso, necessario per il coinvolgimento di nuovi sostenitori e investitori. E che va accompagnato da regole di governance, nuovi modelli gestionali, nuove competenze. Ne parla Alberto Garlandini, Presidente di ICOM-Italia, l’associazione che li riunisce.

Il cambiamento dei musei.

In tutto il mondo i professionisti museali ripensano al ruolo dei musei nella società che cambia. I musei contemporanei sono «al servizio della società e del suo sviluppo» (come dice la definizione di museo presente nel Codice etico di ICOM) e hanno assunto funzioni sempre più educative, sociali e territoriali. Non sono solo istituti di conservazione ed esposizione delle collezioni. Sono servizi pubblici al servizio delle comunità. Sono centri di produzione e comunicazione di cultura, di saperi, di creatività. Sono agenzie per la mediazione culturale, per il dialogo interculturale e la coesione sociale. Hanno responsabilità nei confronti del patrimonio culturale diffuso nel territorio. E’ una rivoluzione che a livello internazionale ICOM chiama la democratizzazione dei musei.
Sei condizioni per la gestione sostenibile dei musei
La crisi ha un impatto drammatico sul processo di trasformazione dei musei. In molte parti d’Italia i bilanci pubblici dedicati alla cultura sono azzerati. Il crollo della spesa pubblica non è congiunturale, bensì di lungo periodo. In tempo di crisi e in un mondo che cambia come possiamo gestire in modo sostenibile i musei e i tanti beni culturali italiani?

1. Le amministrazioni pubbliche non debbono abdicare alle loro responsabilità in materia di cultura Prima condizione per la gestione sostenibile è che le amministrazioni pubbliche — statali, regionali e locali — onorino le responsabilità in materia di cultura che la Costituzione loro affida. Lo ha ripetuto più volte il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: la cultura, il patrimonio culturale, l’educazione e la produzione culturale sono cardini della nostra identità nazionale e motori di sviluppo. I governanti devono abbandonare i tagli lineari della spesa: in tempo di crisi bisogna lavorare per priorità, dire tanti no, ma anche qualche sì, e uno di questi sì deve essere per la cultura.

Purtroppo la nostra classe dirigente non è coerente con l’insegnamento del Presidente. I dati ISTAT dicono che nel 2011 solo un quarto dei 4.588 musei italiani aperti al pubblico ha ricevuto un contributo pubblico, in genere poco consistente. E anche dal punto di vista normativo si fanno gravi errori, come, nel 2012, eliminare le attività culturali dalle attività fondamentali dei Comuni. Anche l’abolizione delle Province, se non sarà programmata con la massima attenzione, avrà ricadute pesanti sugli istituti culturali. In molte parti d’Italia le Province hanno promosso innovativi sistemi bibliotecari e museali. Gli enti locali sono responsabili di metà dei musei e della quasi totalità delle biblioteche di pubblica lettura. Se togliamo loro ogni competenza culturale, chi se ne farà carico? Non le Regioni, che devono rafforzare le loro funzioni di governo, indirizzo, programmazione e controllo. Forse dovremmo statalizzare tutti gli istituti culturali italiani? O, all’opposto, qualcuno pensa seriamente di abbandonare le attività culturali e la gestione del patrimonio agli automatismi del «libero mercato»?

2. Il ruolo del «privato» è fondamentale e va al di là della mera sponsorizzazione Non c’è realistica gestione del patrimonio culturale italiano senza l’indispensabile contributo del mondo che si colloca fuori dalle amministrazioni pubbliche. Quando parlo del contributo del «privato» mi riferisco a tutte le potenzialità della sussidiarietà orizzontale: il singolo cittadino che «dà una mano», le associazioni di volontariato, il terzo settore, le fondazioni e le associazioni, le imprese sociali, le imprese for profit.
Le sponsorizzazioni delle imprese sono importanti, ma la gestione sostenibile di musei e patrimonio culturale richiede un ruolo più attivo, propositivo e continuativo dei partner privati. Non ci si può illudere di poter sostituire il crollo della spesa pubblica con fantomatiche risorse private. Ci vuole più dialogo e più cooperazione, più co-progettazione e più corresponsabilizzazione gestionale. Occorrono un cambio di mentalità e responsabilità condivise.

3. Bisogna promuovere forme di gestione mista pubblico-privata I musei devono avvalersi della cooperazione continuativa del mondo pubblico e di quello privato. E’ necessario costruire sistemi territoriali, reti, nuovi soggetti gestionali in grado di integrare istituti che sinora erano autonomi.
Ognuno deve fare la propria parte. I governanti devono continuare a supportare gli istituti culturali e le loro attività, dare indirizzi e obiettivi chiari a chi ha la responsabilità della gestione, garantirne l’autonomia, valutarne i risultati. Chi gestisce deve avere autonoma responsabilità di azione, etica, professionalità e capacità di coinvolgimento di tutti i soggetti pubblici e privati disponibili. Gli organi del Ministero devono essere messi in grado di svolgere le loro funzioni di controllo e di tutela dei beni.

4. Occorre più pluralismo, più partecipazione, più sussidiarietà, più professionisti museali e più volontari
Occorre rendere più concreta la sussidiarietà. È la partecipazione dei cittadini e delle comunità, la sinergia tra azione pubblica e azione privata che garantiscono nel tempo la sostenibilità dei musei e del patrimonio culturale. 800.000 italiani organizzati in 30.000 associazioni sono attivi nel volontariato culturale e offrono uno straordinario contributo al Prodotto Interno Lordo del nostro paese. Questo incredibile impegno è sottostimato, sottovalutato e poco o nulla supportato.
La metà dei musei italiani è gestito da volontari. Come Presidente di ICOM evidenzio che un museo senza professionisti è impossibilitato a vincere le sfide del presente e del futuro. E aggiungo che professionisti e volontari sono due facce di una stessa medaglia, ciascuna necessaria, nel proprio ruolo e con le proprie competenze. Nel 2011 i volontari erano 16.400, poco più di un terzo dei 44.000 addetti che lavorano nei musei italiani. Non so quale sia il rapporto aureo tra professionisti e volontari nella gestione di un museo, ma so per certo che la loro copresenza è indispensabile.

5. Una grande riforma fiscale a favore degli istituti e delle attività culturali Sono necessarie norme che favoriscano fiscalmente ogni forma di partenariato e di sostegno alle attività culturali. In tutto il mondo i benefici fiscali sono lo strumento principe per promuovere il sostegno privato alla gestione del patrimonio: dalla donazione e dalla sponsorizzazione al lavoro svolto gratuitamente, dal partenariato alla compartecipazione nella gestione. Ma ci vuole meno burocrazia e procedure più semplici.
Il paradosso italiano è che il no profit dà allo Stato, in termini di tasse dirette e indirette, molto di più di quanto riceve. In altre parole, è il no profit che finanzia lo Stato e non viceversa. Che in queste condizioni la sussidiarietà continui a crescere è il vero miracolo italiano.
L’art bonus previsto dal recente decreto legge del Ministro Dario Franceschini sembra andare nella direzione giusta; il futuro prossimo ci dirà se si tratta di un piccolo segnale di un cambio di mentalità, oppure solo di un episodio che, come avvenuto in passato, lascerà inalterato lo scenario.

6. Le donne e gli uomini che lavorano nei musei sono il capitale da valorizzare I musei italiani vivono gli anni più drammatici dalla Seconda Guerra Mondiale. Sono le persone, la loro intelligenza e il loro entusiasmo, che fanno vivere i musei anche senza contributi pubblici. I professionisti e i volontari sono un tesoro che non possiamo permetterci di disperdere. Far fronte alla crisi e al cambiamento richiede competenze complesse, innovazione, creatività. Non bastano più le tradizionali competenze disciplinari. Ad esse si aggiungono competenze interdisciplinari, trasversali, manageriali, e la capacità di lavorare in équipe. Sono necessari network interdisciplinari e interprofessionali; occorre superare i confini tradizionali tra gli istituti e tra le discipline.

Condizioni queste, indispensabili per attrarre i privati”.

Segue:

Museo del razionalismo : sogno e utopia

[4 di 4]

--

--