Laboratorio Lapsus
7 min readFeb 28, 2016

Anno domini 1861: le espressioni del potere politico nella seconda metà del secolo XIX

Ciclo di articoli a cura di Margherita D’Andrea, tra Storia e Diritto dell’Italia Liberale.

Il liberalismo è un movimento post-rivoluzionario. E’ un fenomeno complesso, che si evolve per “assorbimento”: da una parte, lo spirito della rivoluzione nega l’antico Regime, l’assolutismo, la feudalità; dall’altra, questo stesso spirito si amplia e muta sino a ricomprendere al suo interno fattori, in altra forma, della vecchia tesi storica che trovava nel re e nella sua giustizia assoluta l’essenza e il fenomeno del buon governare (1). I fattori in questione si possono compendiare in un concetto, essenzialmente: conservatorismo.
Nella seconda metà del XIX secolo, il conservatorismo si espresse in due caratteri evidenti: l’accentramento statuale (che si giustificò con la necessità dell’ ordine e dell’unità politica, e arrivò ad una legittimazione giuridico- etica dello Stato stesso (2)); e l’ attitudine oggettivamente antisociale (che si espresse attraverso gli strumenti del diritto penale, della prevenzione di polizia, dell’esecuzione carceraria e, caso tutto italiano, attraverso l’uso delle Forze armate in funzione d’ordine interno).
Chiariamo un punto. Quello che la classe dirigente si trovò a dover comporre non era esattamente un compromesso privo di rischi. Saldare e mantenere il giovane ordine borghese, e al contempo tenere fede all’ideologia della libertà individuale dallo Stato, collettore silenzioso delle espressioni di pensiero dei singoli, con l’unico limite del rispetto della legalità, non era un’operazione indolore dal punto di vista della conservazione pacifica di un sistema che non si interessava di gestire l’arretratezza in cui vivevano le masse, ghettizzate nei vicoli brulicanti di miseria delle città, o immobilizzate in una condizione di feudalesimo agrario.
La classe dirigente liberale italiana era divisa essenzialmente in due anime. Quella più statalista amava la Francia, e una concezione etica dello Stato; l’anima liberista, invece, viaggiava in Inghilterra, attraversando le dottrine classiche del liberalismo, l’idea del decentramento amministrativo, la logica del restringimento delle competenze e delle ingerenze dei poteri centrali. Questa seconda anima era prevalsa fino al momento dell’unificazione, nel 1861 (3). Poi accadde che la minoranza dirigente preferì assumersi direttamente, attraverso i prefetti, il compito di formare il nuovo Stato d’ Italia. Questo, peraltro, andava inglobando terre, le province ex borboniche, che né conoscevano né avrebbero successivamente conosciuto (per la dannosa repressione degli anni settanta che le interessò, e che fomentò il ribellismo) la modernità dei diritti. Terre assolate ed esotiche, oltre le cui radure più impervie loschi figuri, per senso comune, si dovevano nascondere preparando la rivoluzione (4). Insomma, la società civile, in specie quella meridionale, venne considerata più come oggetto da plasmare che come soggetto da rappresentare.
I moderati conservatori (Destra storica), al governo dal 1861 al 1876, erano per lo più amministratori e diplomatici. Avevano idee romantiche e idealistiche, e ritenevano indispensabili, per raggiungere la meta dell’esercizio della libertà e il conseguimento dell’interesse generale, eccezionali doti di rettitudine, capacità, coerenza (5). Per questo, ritenevano necessario mantenere ristretto il corpo elettorale, poiché solo la minoranza era in grado di individuare e quindi scegliere gli uomini migliori.
I progressisti della Sinistra storica erano di cultura illuminista, giacobina e mazziniana. Utilizzavano metodi cospirativi, avevano un’esperienza politica maturata nell’ambito della massoneria (6), particolare sensibilità a motivi religiosi e morali di tipo filantropico, certamente maggiore attenzione allo scontento delle masse, sebbene il parziale cambiamento sociale fosse tendenzialmente considerato non tanto come fine politico, quanto come mezzo per evitare il conflitto di classe.
La divisione e la contrapposizione fra moderati e democratici assunse in Italia un carattere molto acuto. Per esempio, la caduta del governo Minghetti, nel 1876, generò un tale sconcerto che si parlò di una «rivoluzione parlamentare», piuttosto che di una normale alternanza governativa. (7)
Tuttavia, l’attitudine reciproca alla veemenza dialettica non era il seguito di una netta contrapposizione progettuale, in tema di politica interna.
Anzi, partendo da Mazzini in poi, sino alle varie venature della sinistra più misurata, meno ideologica, meno decisamente repubblicana, la separazione di idee scolora. Sebbene, insomma, il metodo della lotta fosse feroce, tuttavia dal punto di vista degli obiettivi generali di politica interna — per esempio, mantenimento dell’ordine pubblico, o accentramento del potere nelle mani governative-, le forze politiche andavano in una direzione simile. Qui, l’esempio dell’alternanza governativa Minghetti –Depretis è calzante: il secondo, Sinistra storica, continuò bellamente l’operato del primo, sciogliendo numerose riunioni e associazioni per manifestazione di idee democratiche e repubblicane (8). Persino il ministro Zanardelli, tra i membri più illustri della Sinistra storica, fautore del buon codice penale del 1889, sostenne l’illegittimità del grido in piazza: «viva la repubblica»; o della bandiera rossa (simbolo repubblicano) indossata pubblicamente. Più in là, nel 1900, il grido «viva la costituente» avrebbe portato alla condanna giudiziaria.
Questa fluidità di struttura politica è all’origine del trasformismo parlamentare, una condensa informe di elementi alleati e avversari, dapprima nemici campali e successivamente in stato di reciproca grazia in virtù di appoggi elettorali, favoritismi amministrativi locali, concessioni varie ed eventuali; e in danno, ovviamente, della libertà di giudizio nei confronti dell’esecutivo.
Non è difficile immaginare come l’instabilità di questo sistema, col fantasma del pericolo per lo Stato che l’opposizione extracostituzionale (composta prima da repubblicani e radicali, poi anche da socialisti e cattolici) rappresentava, potessero spingere l’uomo comune borghese a nutrire l’aspettativa dell’uomo forte, capace di restituire ordine, moralità, sicurezza, reprimendo le rivolte di «masse fanatizzate dalla rivoluzione e dalla reazione» (9).
Né è difficile immaginare come un simbolo del disagio delle masse non rappresentate fosse il brigante fuorilegge, o il mito dei grandi Paesi d’Oltreoceano, verso i quali si indirizzava in grandissima prevalenza il movimento migratorio.
E’ vero che la classe dirigente tentò di attenuare la sfasatura tra lo Stato e la sensibilità popolare, con strumenti come l’istruzione elementare e il servizio militare (10); ma con questi stessi strumenti si preferì diffondere i principi di una visione sostanzialmente gerarchica della società, con un’ottica proiettata su simboli come «il Re», «la Patria», «gli Eroi» della tradizione militare, della vita civile e della scienza.
E’ chiaro che il dissenso, anche se pacifico, era un’espressione di civiltà che non poteva essere tollerata.

A cura di Margherita D’Andrea

Note

1) U. Allegretti, in “Profilo di storia costituzionale italiana, individualismo e assolutismo nello stato liberale”, ed. “Il Mulino”, sostiene che il liberalismo è una realtà sintetica, frutto di un processo nel quale l’assolutismo figura come la tesi, e l’illuminismo «nelle sue spinte più profonde ed innovative, la rivoluzione, come l’antitesi che scatena la lotta per abbattere la tesi, ed in un primo tempo sembra abbatterla del tutto. Ma qualcosa della tesi trapassa sempre nella sintesi, di più o di meno secondo la forza rispettiva, soggettiva ed oggettiva, della tesi e dell’antitesi. […] La sintesi, pertanto, è un prodotto diverso secondo il tipo di composizione che si raggiunge tra le due forze in lotta. Ebbene, il liberalismo è questa sintesi in cui molto della tesi viene recuperato: molto dell’ ancien règime, del suo Stato, della sua cultura». p. 27.

2) Secondo la teoria della Costituzione in senso materiale, elaborata da Mortati nel 1940, l’unità politica è raggiunta quando un partito si afferma sugli altri, e dunque un progetto di società si afferma sugli altri. La costituzione, in tale senso, è il risultato di un’idea di Stato imposta dal gruppo sociale dominante, organizzato politicamente in partito. Ebbene, pure se il concetto di partito implica lo scopo di una parte, e cioè di una classe o di un blocco sociale, esso, per Mortati, non può che essere “totalitario”, nel senso che corrisponde ad un’idea politica generale, ad una concezione della società, per dirla con parole sue ad una “Weltanschauung politica”. Cfr. C. MORTATI, La costituzione in senso materiale, Giuffrè 1940.

3) Cfr. R .Romanelli, L’Italia liberale (1861–1900), Il Mulino, Bologna, 1979.

4) Cfr. Mario Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano in Storia d’Italia. Annali XIV, legge, diritto giustizia, Torino 1997, pp. 487 ss.

5) Cfr. G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, Bari 1949, in particolare pp. 345 ss.

6) Cfr. G. GALASSO, Le forme del potere, classi e gerarchie sociali. In particolare dopo il 1870 la massoneria si diffuse moltissimo, in parallelo al montare dell’ondata anticlericale, e vi appartenne praticamente tutto il gruppo dirigente, sia al governo, sia all’opposizione; p. 556.

7) La passionalità, la virulenza con cui già Cavour attaccava Mazzini sono evidenti solo che se ne diano pochi esempi: nel discorso del 16 aprile 1858, questi parlava dei mazziniani definendoli «cerveaux brulès», e sosteneva «doversi mutare le spade in pugnali, le imprese in attentati, le battaglie in assassinii»; nel discorso per il plebiscito nel Sud del 2 ottobre 1860, che «Dio e il popolo» sono «il cupo e il mistico simbolo dei settari». Mazzini dal canto suo nel 1870 dichiarava «s’io prima non v’amava, or vi disprezzo». Cit., in U. ALLEGRETTI, Dissenso, opposizione politica, disordine sociale: le risposte dello stato liberale, p. 735.

8) Nel 1874, ad esempio, il governo Minghetti sciolse una riunione neppure pubblica e fece arrestare 28 repubblicani, che però la magistratura rapidamente mandò assolti, mentre i prefetti accompagnarono questa repressione preventiva con provvedimenti di scioglimento di numerose associazioni repubblicane.

9) E. Ripepe, p. 109.

10) Pure fu importante nell’accorciare la distanza tra il paese legale e il paese reale la riforma del sistema elettorale del 1882, che abbassando la soglia di accesso, dette il diritto di voto a un quarto della popolazione maschile adulta, cosa che contribuì a dar voce ad una più ampia costellazione di forze e di interessi sociale.

Indice
1) Introduzione.
2) Anno domini 1861: le espressioni del potere politico nella seconda metà del secolo XIX.
3) La nuova società civile tra modernità e arretratezza sociale (postilla sulla questione meridionale).
4) Chiesa, dogma e lotta di classe.
5) Bibliografia.

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