A lezione di post-proibizionismo in Svizzera e Portogallo
di Corallina LC
Prima dell’attuale ondata legalizzatrice — grazie alla quale la coltivazione, il consumo e il possesso di cannabis sono adesso legali in posti come Uruguay e Colorado (e si apprestano ad esserlo in altri come il Canada e la California) — ci sono state le “politiche post-proibizioniste” coraggiosamente adottate da alcuni governi tra la fine dello scorso millennio e l’inizio di quello in corso.
Da questi primi approcci alternativi alla questione tossicodipendenze c’è tanto da imparare, soprattutto per quanto concerne l’importanza di riconoscere la riduzione del danno come principio fondante in materia di droghe.
Il successo della “eroina di stato” in Svizzera
Innanzitutto c’è stata la Svizzera, che sin dall’inizio degli anni ’90 ha iniziato a distribuire gratuitamente metadone e siringhe, a creare le prime stanze di iniezione sicura e, soprattutto, a istituire prima delle sperimentazioni e poi dei veri e propri programmi nazionali di somministrazione controllata di eroina.
I medici lo chiamano “Heroin Assisted Treatment” (HAT) mentre i critici preferiscono la terminologia sensazionalistica “eroina di stato”; in ogni caso, trattasi di un “trattamento di secondo grado” pensato per intervenire su soggetti con forme gravi e radicate di tossicodipendenza — in altre parole, coloro che erano prima considerati come “irrecuperabili”.
Ed i risultati sono, lettura scientifica alla mano, univocamente positivi.
Un esperimento per ridurre i danni dell’epidemia di eroina
Andiamo con ordine.
Tutto iniziava per una rigorosa applicazione del pragmatico principio di riduzione del danno: lo scopo era infatti proprio l’urgenza di contrastare l’epidemia dilagante di tossicodipendenze e HIV che allora affliggeva in maniera davvero violenta il paese, soprattutto nella città di Zurigo.
Una questione gravissima, che ha costretto le autorità svizzere a un radicale ripensamento del proprio approccio al problema delle droghe.
In altre parole, lo stato elvetico ha dovuto prendere atto sin dalla prima metà degli anni ’90 — in consistente anticipo rispetto agli altri paesi europei — del fallimento dell’approccio criminalizzatorio ed ha quindi avuto il coraggio di (iniziare a) rivoluzionare le proprie politiche sulle droghe.
I risultati positivi su salute e sicurezza
All’inizio i programmi sperimentali riguardavano poche centinaia di persone; oggi, a distanza di vent’anni, nel paese vi sono una ventina di centri autorizzati alla distribuzione della sostanza, che si occupano di circa 1500 tossicodipendenti all’anno — salvando così centinaia di vite.
I risultati positivi del nuovo approccio (che tratta i tossici come malati anzichè come criminali) sono evidenti: in primo luogo in termini di miglioramento della salute pubblica — oggi il 70% delle persone con problemi di dipendenza è in terapia e le morti da overdose sono state ridotte di più del 50% — ma anche nel senso di un impatto sul fenomeni collaterali come la criminalità.
Dato questo successo, l’approccio è stato poi esteso anche a sostanze diverse, arrivandosi nel 2013 alla tanto attesa decriminalizzazione (parziale) della marijuana — ed all’estensione di programmi di somministrazione controllata di eroina anche in altri paesi (come Paesi Bassi, Regno Unito, Germania, Spagna, Danimarca e Belgio).
Una rivoluzione (ancora) soltanto parziale
La rivoluzione, si badi, resta però soltanto parziale: la Svizzera ha sì avuto il coraggio di sperimentare forme anche radicali di riduzioni del danno, riconoscendo tale principio come uno dei “pilastri” delle proprie politiche in materie di droghe — ma allo stesso tempo non ha (ancora) avuto il coraggio di abbandonare in toto la pretesa repressiva e intraprendere con piena convinzione la strada della regolamentazione.
Un importante passo avanti potrebbe però essere la prossima possibile sperimentazione della legalizzazione della cannabis nel cantone di Ginevra (voluta dalle autorità come misura necessaria a contrastare il preoccupante business del narcotraffico).
Prove di decriminalizzazione totale in Portogallo
A distanza di pochi anni dal coraggioso esperimento svizzero, un modello diverso di politica post-proibizionista è stato proposto in Portogallo: qui, nel 2001, è infatti stata implementata una legge che ha decriminalizzato l’uso di tutte le droghe, dall’erba all’eroina.
Cosa vuol dire “decriminalizzare”
Per essere più precisi: in Portogallo oggi la detenzione di bassi quantitativi di sostanze stupefacenti — 1 grammo di eroina, ecstasy o anfetamina; 2 grammi di cocaina; 25 grammi di cannabis — è tuttora proibita, ma l’infrazione del divieto dà luogo a una semplice violazione amministrativa.
Coloro che vengono trovati in possesso di sostanze stupefacenti possono essere tutt’al più condotti davanti alla cosiddette “commissioni dissuasive” — composte da un esperto legale e due operatori socio-sanitari — che possono valutare l’inserimento (comunque non imponibile contro la volontà del soggetto) in programmi di recupero o la comminazione di una multa. In realtà, però, la maggior parte dei casi che vengono segnalati dalla polizia a tali commissioni vengono “sospesi” ed i soggetti non ricevono quindi alcun tipo di sanzione.
Decriminalizzazione come strategia di riduzione del danno
Lo scopo della decriminalizzazione (analogamente a quanto già avvenuto in Svizzera) era quello di incidere sul fenomeno — in preoccupante crescita negli ultimi anni prima della riforma — delle morti di overdose e della diffusione di HIV, AIDS, tubercolosi ed epatite tra i consumatori di droghe per via venosa.
Nel corso degli anni ’90 la questione delle dipendenze in Portogallo aveva infatti acquisito le dimensioni di una vera e propria emergenza nazionale — con 100.000 tossici su una popolazione totale di 1o milioni — e l’approccio tipicamente repressivo delle autorità era palesemente fallimentare.
Su suggerimento di una commissione di esperti, le autorità pubbliche hanno quindi dovuto riconoscere come la criminalizzazione e la marginalizzazione sociale dei tossicodipendenti, lungi dal costituire una soluzione, stessero di fatto peggiorando un problema drammatico.
Una riforma olistica
Non si può peraltro non notare come la decriminalizzazione sia stata accompagnata dall’investimento in programmi di prevenzione, trattamento e re-integrazione sociale fondati sul principio di riduzione del danno. Parallelamente alla ri-definizione delle politiche nazionali sulla droga, si è infatti attuata una importante riforma del sistema sanitario e una consistente espansione dello stato del welfare (inclusiva del riconoscimento di un reddito minimo di cittadinanza).
Quella messa in atto in Portogallo a partire del 2001 è stata insomma una vera e propria riforma olistica delle politiche socio-sanitarie e ciò ha sicuramente influito (in maniera positiva) sull’impatto della decriminalizzazione.
La decriminalizzazione fa bene alla salute
Quando João Goulão — conosciuto come “l’architetto della riforma portoghese delle politiche sulla droga” (prima come leader della commissione di esperti e ora come direttore dell’agenzia governativa per le tossicodipendenze)— annunciò per la prima volta il piano d’azione del governo nel 2000, furono in moltissimi a manifestare grandi preoccupazioni, al grido di: la decriminalizzazione porterà sicuramente ad un aumento dell’uso di sostanze.
E invece non è andata affatto così: gli scenari apocalittici dipinti dagli oppositori alla legge non si sono concretizzati, anzi. Tanto che, a distanza di più di un decennio, nessuno chiede che si torni indietro.
Il motivo è molto semplice: dati alla mano, il nuovo approccio pare proprio aver funzionato bene.
Contro ogni aspettativa, il Portogallo è infatti oggi uno dei paesi con il minor numero di morti per overdose in Europa — con 3 casi ogni milione di abitanti contro una media europea di 17 — e con il più basso tasso di consumo delle (pericolosissime) Nuove Sostanze Psicoattive.
In generale, i livelli di consumo sono più bassi di quelli degli altri paesi europei e risulta ridotto in maniera significativa rispetto al passato l’uso di sostanze tra i giovanissimi (e cioè tra i 15 ed i 24 anni).
Non solo: si è pressoché azzerato il numero di nuove diagnosi di HIV e AIDS — nel 2000, se ne contavano rispettivamente più di 1500 e 620 all’anno; nel 2013, i nuovi casi erano meno di 80 per entrambe le malattie — come anche quello dell’epatite, ed è invece letteralmente raddoppiato il numero di tossicodipendenti in terapia (nonostante l’accesso ai trattamenti resti completamente volontario).
In breve? I consumi sono rimasti nella norma e, anzi, sono stati ridotti (soprattutto nelle fasce d’età più sensibili); quasi nessuno muore più di droga e le persone con problemi di tossicodipendenza ricevono i trattamenti di cui hanno bisogno.
Insomma: in termini di salute pubblica, un successo innegabile.
La decriminalizzazione fa bene alla società ed alla sicurezza
Decriminalizzazione vuol dire anche riduzione della marginalizzazione sociale — non a caso, Goulão ha dichiarato che “riduzione del danno significa non lasciare indietro nessuno”. Secondo uno studio del 2015, l’impatto è notevole anche qui: l’adozione della nuova strategia portoghese sulle droghe avrebbe determinato una riduzione pro capite del 18% dell’ingiustizia sociale.
A ciò si aggiunge il drastico calo nel numero di arresti per droga — ridotti infatti di quasi un terzo, da circa 15.000 a meno di 6000 — come anche, conseguentemente, nella percentuale di detenuti che sono in carcere per crimini di droga: se prima tali soggetti rappresentavano quasi la metà della popolazione carceraria (per la precisione, il 44% nel 1999), oggi sono decisamente di meno — e cioè meno del 21%, stando ai dati del 2012.
Bastano tre parole: riduzione del danno
Oggi il dibattito sulle politiche sulla droga è più fervido che mai, e l’esigenza di contrastare l’abuso di sostanze stupefacenti ha dato nuovo stimolo alla legalizzazione (quantomeno) della cannabis in diversi stati.
La strada per arrivare alla totale regolamentazione è sicuramente ancora lunga, ma non si può negare che in materia si stiano facendo degli importanti passi avanti.
Per questo oggi più che mai è fondamentale ricordarsi che un approccio alle droghe centrato sulla riduzione del danno produce risultati ben più concreti dei roboanti divieti del proibizionismo. Con l’augurio che l’esempio di Svizzera e Portogallo possa essere il punto di partenza per modelli ancora più coraggiosi di ripensamento delle politiche sulla droga.
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