Ripple vs R3 — la causa da 12 miliardi

F.G. Mariani
3 min readJan 13, 2018

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Finiamo questa serie di articoli focalizzati su Ripple con una breve digressione riguardo la causa legale che da tempo vede scontrarsi Ripple e R3, che potremmo descrivere come un consorzio di banche, fondato nel 2015, con l’obiettivo di sviluppare e utilizzare progetti su blockchain chiaramente finalizzati a facilitare ed economicizzare, insomma, blockchainizzare su ampia scala il mondo bancario.

Saldi tutto l’anno per R3

Per farla breve, nel 2016 Ripple ha stretto un accordo con R3, una stretta di mano finanziariamente succulenta dal momento che garantiva e fino alla decisione del giudice tutt’ora garantisce che R3 possa disporre di 5 miliardi di unità di XRP al modico, e in senso direi poco ironico, prezzo di $0.0085; se considerate il valore attuale di XRP dovrebbero già esservi rimbalzati gli occhi sullo schermo. Ricordiamo che 5 miliardi di unità di XRP di fronte a una disponibilità complessiva di 100 miliardi, di cui 55 attualmente in mano alla società e quasi 39 miliardi circolanti, sono una cifra irrisoria. Ma attenzione, perché involontariamente Ripple rischia di far fare un sacco di soldi a quello che è un suo diretto avversario.

Giocare sporco

Ora, la domanda sorge spontanea: perché mai dovrebbero fornirgli 5 miliardi di unità a un prezzo che francamente non sappiamo nemmeno come si pronunci? Perché in cambio R3 doveva far da “apriporta” ad eventuali partnership di Ripple con delle banche o comunque istituzioni finanziarie facenti parte della sua cerchia. Il problema è che, e questa è l’accusa di Ripple, al momento dell’accordo R3 sapeva con largo anticipo che molte delle istituzione promesse in matrimonio avevano intenzione di recedere e abbandonare R3 senza troppi convenevoli. Ora, fate attenzione, perché tra i i sedicenti addii o meglio le promesse non mantenute da David Rutter (R3 CEO) ci sono proprio loro: Goldman Sachs, J.P Morgan e Morgan Stanley! Ora capite perché nel mio precedente articolo ironizzassi sul fatto che nonostante sia divenuto uno degli uomini più ricchi del mondo, il buon Brad Garlinghouse (Ripple CEO) non sorridesse manco sotto gas esilarante. Praticamente è come se R3 gli avesse promesso Federico Fellini e fosse arrivato Silvio Muccino, uno ci rimane male.

Le sfortune non vengono mai da sole

Ripple vuole recedere dall’accordo e ha incassato una vittoria parziale già ad ottobre. Ma attenzione perché il mare non si è affatto calmato. Ripple accusa R3 anche di aver approfittato dell’accordo per sviluppare la propria tecnologia blockchain che andrebbe a porsi come un diretto concorrente di Ripple. In Italy we would say “cornuti e mazziati” e avremmo ragione. Il progetto di R3 si chiama Corda e potrebbe avere un buon successo considerato che R3 dichiara intorno ai 60/70 istituti finanziari tra le sue fila.

In summa

Sto dietro il progetto Ripple da un po’ di tempo e posso dire di averne sentito di ogni sorta. Il qualunquista si limitava a definirla “la cripto delle banche”, quelli più audaci vociferavano che fosse addirittura in mano alla J.P Morgan. Rimane il fatto che l’immaginario collettivo vede Ripple affiancata a realtà dell’alta finanza che, forse, non sono poi così scontate e chi fa analisi fondamentale deve tenere in conto questi dettagli. Come si muoverà Ripple? Che tipo di partnership possiamo immaginarci? Altre banche adotteranno il RippleNet o gli accordi si muoveranno in maniera più decisa verso le società di Money transfer? Vedremo, per aspera ad astra, diceva qualcuno…

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F.G. Mariani

… Graduate Philosophy; ICO Advisor, Blockchain Consultant & Speaker; FX e Crypto Trader; Indipendent Writer