Medicina digitale. Nuove frontiere per la salute?

Alessandro Campailla
14 min readAug 17, 2021

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La questione dei dati della ricerca

Una volta che si è tracciato un quadro complessivo, per quanto superficiale, delle innumerevoli implicazioni che lo sviluppo della medicina digitale prevede, in qualità di operatori sanitari possiamo puntare l’attenzione sul merito della questione medica e sollevare elementi di discussione critica.

La prima domanda che si impone riguarda i problemi etico-legali che investono, in particolar modo, i sistemi di supporto di decisione clinica. In particolare riguarda l’attendibilità delle decisioni cliniche supportate da AI. Probabilmente l’enormità di dati e il tempo brevissimo che l’AI impiega per scegliere rendono altamente improbabile l’errore statistico, tuttavia dobbiamo ricollegarci all’articolo citato poc’anzi sull’overdiagnosis e l’overtreatment, per renderci conto di come il processo nel caso dell’AI assuma dimensioni prevedibilmente parossistiche. Non è nemmeno escluso che l’AI possa sbagliare, soprattutto a fronte di risposte cliniche non previste, o di fattori individuali che non possono esser valutati dalla macchina e talvolta nemmeno dal medico stesso. Inoltre, risalendo ancor più alla fonte delle informazioni che nutrono i sistemi dei dati, numerosi sono gli studi in ambito statistico-medico condotti da autorevoli commentatori che affrontano la questione della loro “bontà”.

Per esempio, Richard Smith, già direttore del British Medical Journal, in un editoriale del 2014 a commento di un articolo dello scienziato statistico Doug Altman, riattualizza le difficoltà della ricerca medica e ne svela le possibili fonti di scarsa validità generale[17]. Altman è stato uno dei pionieri della ricerca statistica per quanto riguarda le revisioni sistematiche e le metanalisi[18], sostenendone la forza e la validità, pur sottolineando la necessità di ottenere studi completi e con una robusta significatività statistica. Smith ribadisce nel suo editoriale, datato al 2014, che i problemi rilevati da Altman hanno attraversato il ventennio che va dalla nascita dell’Evidence Based Medicine fino ad arrivare a quei giorni, non troppo lontani dalla nostra attualità, e questo rende a suo avviso la ricerca medica ancora di scarsa qualità. Citando gli studi di Johan Ioannidis[19], uno tra i più rinomati studiosi di statistica medica al mondo, si addentra nei problemi che potrebbero rendere inattendibili i dati della ricerca in una percentuale dell’80% sul totale degli studi non randomizzati e sul 25% di quelli randomizzati. lo stesso Ioannidis conclude affermando che gran parte di ciò che i nostri medici ci prescrivono è sbagliato.

Quella di Smith non è l’unica voce autorevole che mette in guardia dall’inconsistenza dei dati della ricerca.

Un editoriale del 2015 ancor più caustico, a firma di Richard Horton, a quel tempo redattore capo della prestigiosa rivista The Lancet, rincara la dose, il suo commento vale la pena di essere citato:

Tantissimo di ciò che viene pubblicato è sbagliato. […] Perché questo simposio sulla riproducibilità e l’affidabilità della ricerca biomedica tenuto a Londra presso il Welcome Trust la settimana scorsa ha toccato uno degli argomenti più delicati della scienza oggi: l’idea che qualcosa sia fondamentalmente andato male con una delle più grandi creazioni umane. […] Molta della letteratura scientifica (in ambito biomedico, n.d.r.), forse la metà, può semplicemente essere falsa [20].

Tenendo conto di queste autorevoli posizioni torniamo alla considerazione del ruolo delle fonti utilizzate nella guida dei trattamenti medici. Queste, da cui sia il medico che la macchina traggono informazione, sono sia cliniche che storiche: le prime sono rappresentate dai dati “freschi” ricavati dell’osservazione umana, guidati dall’abilità e dall’esperienza clinica dell’operatore; le seconde sono invece ricavate da diversi tipi di indagini: studi clinici randomizzati; studi osservazionali; per esempio le serie di casi, il caso singolo o il caso-controllo; ma soprattutto i dati vengono estratti dalle revisioni sistematiche e dalle metanalisi.

A questo punto si aprirebbe la discussione sulla validità di questo tipo di studi e sui bias a cui sono normalmente soggetti, addentrandoci così nel campo statistico-medico, ma in questa sede ci limitiamo ad evidenziare che la risposta dell’AI dipende in larga misura da questo tipo di dati e dalla loro qualità. E seppur vero che le stesse tecniche statistiche consentono di correggere l’errore legato ai bias, si potrebbe nutrire qualche dubbio circa l’effettiva generalizzabilità dei risultati e dei trattamenti che ne scaturiscono, quando non siano condotte con estremo rigore e restituiscano indici di significatività degni di attenzione.

Che la medicina possa ricondursi esclusivamente ad un processo di comparazione statistica viene contraddetto già dalla fisica, ancora classica, che si affacciava sugli sviluppi della nuova fisica dell’inizio del 900. Già nel 1873 James Clerk Maxwell, il noto scienziato che scoprì le equazioni che governano il comportamento dei campi elettromagnetici, osservò che

in moltissimi sistemi fisici o sociali esiste una grande quantità di energia potenziale (in senso proprio per i sistemi fisici e in senso metaforico per i sistemi sociali) […] osservando che, nei sistemi di qualunque tipo (fisici, economici, sociologici, ecc.) l’esistenza di singolarità mette in evidenza i limiti associati a una descrizione deterministica dei fenomeni, in quanto nei pressi della singolarità diventa impossibile predire accuratamente l’evoluzione del sistema. Anche se, infatti, continua a valere il principio di causalità per cui stesse cause devono produrre identici effetti, nei pressi di un punto singolare non è più vero che cause simili diano effetti simili. In altre parole microscopiche e impercettibili variazioni delle condizioni di partenza possono provocare enormi differenze negli eventi successivi, le cui conseguenze sono generalmente irreversibili [21].

In sostanza non sappiamo se un sistema di intelligenza artificiale, che apprende sulla base delle sequenze storiche e dei dati freschi, sia in grado di formulare la possibilità di cogliere la singolarità di qualsiasi evento biologico o psicologico che interviene in un organismo complesso, dal momento che lo sviluppo di una singolarità è imprevedibile e dalle potenziali infinite traiettorie.

Queste considerazioni portano a concludere che la medicina rimane, anche con l’ausilio dell’AI, una scienza radicalmente deterministica, che non contempla le emozioni tantomeno la spiritualità dell’esser umano e questo, con o senza macchine, ne depotenzia il portato e l’efficacia. Tuttavia anche il più distratto gesto clinico è in grado di suscitare singolarità, proprio in virtù dell’interazione in prossimità di due sistemi complessi quali sono il medico e il paziente che insieme, per determinanti come il tatto o lo sguardo, o la fretta e finanche il disprezzo, e ognuno, come anche altri elementi umani capaci di imprimere una direzione alla dinamica di cura, può configurare un evento singolare.

La perfezione che un atto medico artificiale pretende di conferire alla diagnosi o alla cura è tanto irreale quanto velleitaria, dal momento che l’imperfezione che nasce dall’incontro in vivo rispecchia il reale bisogno degli attori al loro livello di maturazione e comprensione della realtà in quel momento. Il processo di guarigione non può mai dirsi un processo lineare.

Il progetto di sviluppo della medicina digitale prevede allora una rarefazione dei contatti tra medico e paziente. Le persone anziane sono spinte a restare al proprio domicilio e questo limita in generale il movimento e i rapporti umani. Ma non solo, limitando i contatti tra persone insiste sulla perdita di senso e sul raffreddamento emotivo, implica isolamento e prevedibile aumento della depressione, a fronte della sola socializzazione veicolata dai social media. Ma ancor più, silenziosamente e subdolamente, l’efficienza promessa dall’AI, basata sull’idea di certezza e di sicurezza, potrebbe annullare ogni legame sociale basato sul concetto di fiducia, che invece caratterizzava il rapporto tradizionale con il proprio medico di famiglia fino a tempi non lontani.

Oltre agli aspetti relazionali mediati dalla mancanza dell’incontro, non trascurabili, per quanto sfuggenti, dobbiamo considerare quelli legali che riguardano la disciplina dei rapporti in senso giuridico tra medico e paziente e che solitamente preoccupano maggiormente il medico. Per chi volesse approfondire le implicazioni che potrebbero svilupparsi in quest’ambito si consiglia la lettura del testo citato in bibliografia[22], che tratta l’argomento in maniera approfondita.

In qualità di psicologo sono principalmente interessato alla ridefinizione di alcuni aspetti dell’anthropos che la digitalizzazione della cura e della vita in generale, vorrebbero conferire all’umanità. Il coronavirus ha indubbiamente accelerato questo processo e al tempo stesso ha rinforzato un approccio alla cura che si intreccia ulteriormente con la medicina statistica. Il modello di progresso che viene proposto nel campo della medicina telematica presuppone alcune radicalizzazioni di fondo del rapporto medico-paziente, del rapporto con i concetti di salute e malattia e del concetto stesso di identità individuale. Seguendo un personale approccio culturale propongo alcune direttrici psicologiche e sociologiche di analisi di questo cambiamento.

Freud alla fine dell’800 scopre e definisce il concetto di inconscio. Afferma e dimostra che buona parte della vita emotiva si svolge in un luogo non accessibile alla coscienza dell’individuo, ma non solo, scopre anche che questa organizzazione della struttura psichica influenza in larga parte le scelte e la vita di ognuno di noi. Definisce in questo modo il campo della psicopatologia della vita quotidiana come dominato dalla nevrosi.

In seguito Jaques Lacan, identificando alcune crisi sociali e psicologiche della contemporaneità, tra le quali evidenzia quella del capitalismo, mostra l’annichilimento dell’inconscio sotto la spinta all’omologazione sociale, che porta alla morte del desiderio e alla compulsione del godimento fine a sé stesso, come si evidenzia nella clinica psicoanalitica contemporanea caratterizzata in larga parte da quadri compulsivi e depressivi.

Seguendo questo solco Franco Basaglia negli anni 70, all’interno di un ampio movimento socioculturale di ispirazione socialista, ha individuato nei sistemi formativi e culturali dell’intellighenzia medica e burocratica, la causa della natura coercitiva dei sistemi di cura e del loro fallimento.

Con l’AI assistiamo ad un ulteriore passaggio: l’inconscio viene dislocato su un hard disk. Come anche il medico e i processi che fino ad oggi avevano poggiato sul contatto e sulla fiducia, deprivandoli totalmente di senso. L’umano ne viene espropriato portando all’estremo quanto evidenziato da Lacan.

La dissociazione cartesiana sulla quale ci siamo crogiolati negli ultimi 400 anni giunge al culmine con l’intelligenza artificiale, mente e corpo non solo e non più separati in casa bensì scissi in senso definitivo, duplicati attraverso il gemello digitale ed è facile immaginare chi possa prendere le redini delle pulsioni e dei desideri. “L’altro me” digitale potrebbe sancire la separazione definitiva e irreversibile del corpo dalla mente.

Non per nulla la telemedicina propone una cura senza corpi nel momento in cui abolisce la presenza del medico. Il paradosso si estende ulteriormente considerando che la malattia è un prodotto della relazione dell’uomo con l’ambiente, con sé stesso e con gli altri e un tale progetto ne distruggerebbe i presupposti vitali. Il progetto di una medicina digitale, per quanto animato dall’intenzione di razionalizzare la spesa pubblica e di curare meglio le malattie, inciampa sul seguente paradosso logico molto rischioso:

se escludiamo l’altro, e in questo senso intendiamo estesamente la realtà che ci circonda, dal processo di cura, per converso sarà necessario escluderlo anche dalla patogenesi delle malattie, per cui arriveremo alla malattia come prodotto di processi diversi da quelli che conosciamo attualmente, non tanto di cause, che come sappiamo possono mutare al mutare delle condizioni ambientali e del rapporto tra uomo ed ecosistema, bensì l’ambiente verrà incluso sempre più ingegneristicamente nell’eziopatogenesi, per esempio attraverso un uso selettivo degli ogm, che eviteranno il replicarsi di un batterio in un seme ma depriveranno lo stesso del suo potere energetico naturale insito nella complessità della sua struttura e delle relazioni che intrattiene con tutto il resto, modificando pericolosamente la patocenosi che si realizza tra organismi.

Allo stesso modo l’era della biologia sintetica produce virus e vaccini in laboratorio sulla base di simulazioni all’AI [23]. Così la scienza potrà ambire a trattare le malattie sempre più secondo schemi stimolo-risposta, seppur altamente ingegnerizzati, in cui agenti eziologici verranno creati e selezionati dall’uomo stesso per mezzo delle intelligenze artificiali.

È il trionfo di un paradigma ipermeccanicista che sottrae alle malattie il naturale substrato biologico e relazionale dell’informazione e lo trasferisce sul Cloud o su una memoria artificiale, dal momento che l’ambiente verrà sempre più sottoposto al medesimo controllo infinitesimale da parte dell’algoritmo e dell’ingegneria genetica, come anche tutte le variabili ad esso afferenti.

La malattia e la cura viaggeranno in tal modo sul web e dipenderanno dalla capacità dell’algoritmo di definirle e costruirle in maniera perfetta, senza deviazioni casuali date dall’incontro delle complessità ambientali, ma soprattutto psicologiche individuali. La psicologia dell’uomo, come tratto antropologico e come disciplina teorica, viene brutalmente esclusa dal nuovo paradigma medico in quanto non ne viene apprezzata l’esistenza e la sua forza epigenetica. In un senso che si rivela unico e coercitivo il concetto di identità umana viene ridotto all’estremo e insignificante polo del codice genetico.

Rigettando questa prospettiva, dobbiamo ricordare che l’identità dell’uomo è data a partire dal rispecchiamento in un altro esser umano, quindi dalla percezione della presenza reale e simbolica dell’altro, pertanto questa assenza dal campo della cura presenterà necessariamente la sua contropartita.

Non possiamo prevedere cosa e come possa diventare un essere umano senza essere umano, un uomo il cui inconscio venga dislocato su un server. A prima vista questa desolante prospettiva sembra aprire il campo ad un ulteriore salto della futura clinica psicologica, probabilmente sbilanciata sul versante dei disturbi cognitivi, dell’apprendimento e depressivi.

La cura è tuttavia un concetto differente da quello di gestione delle cronicità, per quanto queste rappresentino un serio problema. Dobbiamo considerare che la diagnosi e la cura scaturiscono innanzitutto dalla relazione tra occhio umano, osservazione clinica e segno nel suo contesto ambientale.

Il campo della diagnosi, che è sempre stato semeiologico e semantico, viene a perdere la sua fisionomia, perché si avvia alla definitiva rinuncia all’interpretazione del segno, processo peraltro già in atto da tempo, come anche abbiamo potuto constatare nella gestione domiciliare della COVID-19 che, espropriata del primo intervento medico, rimpiazzato paradossalmente da tachipirina e vigile attesa, vorrebbe arrivare a ridefinire il concetto stesso di cura.

La malattia, dal mio punto di vista, superando il suo etimo originale di mala actio (azione cattiva) è invece intesa come affectio (relazione, necessità), caratterizzata da tropos (volgimento, direzione, percorso, metafora) e in tal senso chiede di esprimere visibilmente uno o più significati. Al contrario l’egemonia della medicina digitale esaspera la tendenza meccanicistica inaugurata dalla medicina dei protocolli, riducendo ulteriormente il campo dell’osservazione clinica a casus (incidente, caduta) e a collezione di casi, senza alcun legame complesso, per quanto estremamente tracciabile dalla macchina. Quando andiamo dal medico e gli presentiamo la nostra lombalgia e questi ci risponde che è lo stress: è un caso! Generalmente ci basta, ma in cuor nostro sappiamo che questo casus è determinato dal percorso che ci ha portato fino a quel momento e da tutte le affectiones (relazioni) macroscopiche e nascoste, che ne hanno punteggiato il percorso, anche se tendiamo a rimuovere questa storia.

Può l’AI conoscere la funzione delle relazioni strutturali, che conferisce al tutto la sua trama non visibile? Non lo sappiamo, forse questo è possibile in senso puramente matematico, ma perdendo il legame emotivo di questa matrice.

La dislocazione dell’inconscio su un server, la limitazione e l’abolizione del corpo del medico, la delega all’AI disegnano paradossalmente un futuro di disaffecctio, ovvero disconnessione, in un mondo iperconnesso, dove ciò che conta è la sola soddisfazione dei bisogni primari: fame, sete, sesso virtuale e silenziamento dei sintomi dolorosi, puntualmente calcolata, anticipata prevista e soddisfatta dall’ibridazione tra l’uomo e l’algoritmo di AI in un rapporto di rinforzo reciproco.

L’avvento di una medicina telematica, in questo modo, trancia di netto qualsiasi ragionamento sul senso che l’uomo ha sempre cercato nella malattia e nella morte, ma soprattutto annulla il significato relazionale della sofferenza, che è il primum movens dell’atto medico.

Se pensiamo alla possibilità che le persone anziane o i malati cronici, i gravi disabili possano, in un futuro non lontano, essere assistiti nei loro bisogni più fondamentali esclusivamente da assistenti digitali o robotizzati, ci domandiamo che fine farà l’umanità, identificata nel suo elemento distintivo della solidarietà, dell’amore reciproco e del calore che veicola. Dobbiamo pensare che gli elementi che la macchina elude, come il tuning, il conflitto, la rassicurazione, ma soprattutto il tatto umano; sono considerati elementi insostituibili della cura e, in generale, della relazione tra persone. In questa elusione, ciò che la scienza medica si ostina a non vedere è la complessità della natura, la sua conformazione frattale e le corrispondenze tra sistemi diversi, che disegnano un ologramma in connessione, stabilito attraverso risonanze su piani di grandezze diverse ma affini.

Per esempio, il baricentro del corpo umano disegna alternativamente, ad ogni passo un segmento spiraloide che si interrompe ad ogni distacco monopodalico per continuare nel successivo attacco sul lato opposto del corpo, la sua continuità realizza una doppia elica idealmente uguale a quella del genoma, non sappiamo se questa corrispondenza possa realizzare sinergie funzionali più complesse, ma certo sorprende. Gustav Jung ha indicato questi fenomeni con il termine “sincronicità” e la natura ne è completamente permeata. Questa meraviglia la medicina non vuole considerarla ed è la stessa meraviglia che si realizza nel momento in cui un medico accoglie e ascolta e non solo riceve e ausculta.

È possibile che l’uomo attraversi il cambiamento, come ha sempre fatto, adattandosi alle rivoluzioni del tempo e della tecnica, è possibile che accetti la trasformazione della propria identità e riesca a modificare il concetto stesso di evoluzione, esasperando su base artificiale quello già elitario di selezione naturale. È possibile che in tutto ciò la medicina riuscirà a sconfiggere certe malattie, ma certamente ne produrrà altre. Non possiamo nemmeno dire se la trasformazione della cura in senso digitale apporterà benefici al genere umano tali da non farci rimpiangere l’imperfezione e il caso, che ancora oggi governano l’evoluzione umana. Forse tutto questo processo ci darà l’illusione di avvicinarci alla divinità e la vertigine di controllo che ne potrà derivare potrà permetterci di sperimentare un senso di onnipotenza mai sperimentato prima…forse. Ma al tempo stesso ci esporrà alla Húbris e alla perdita del calore del cuore.

Di una cosa sono certo, che il senso di raffreddamento dei rapporti e del clima sociale che circonda questa promessa di sviluppo è fin d’ora percepibile. Le promesse, in qualche modo le abbiamo già immaginate attraverso i film che la narrativa fantascientifica ha proposto in passato e come tale l’abbiamo sempre immaginata lontana, invece la realtà digitale è penetrata profondamente nel nostro vivere e l’accesso alle tecnologie e alle opportunità potrebbe rivelarsi tutt’altro che inclusivo e salvifico.

Cosa non dobbiamo dimenticare

Vorrei concludere questo contributo ricordando due pietre miliari della psicologia contemporanea, dal momento che sintetizzano perfettamente i bisogni essenziali di costruzione dell’umano che la telemedicina non potrà mai soddisfare.

La prima è rappresentata dall’esperimento di Harry Frederick Harlow risalente agli anni 50, che ha guidato i successivi studi sulla teoria dell’attaccamento. In questo esperimento cuccioli di macaco Rhesus furono messi di fronte alla scelta di afferrare un biberon da un manichino costruito da una struttura metallica oppure abbracciarne un altro dotato di pelouche con caratteristiche più simili alla madre e in tutti i casi le scimmiette non ebbero dubbi nell’abbracciare il pelouche per ricreare la sensazione di calore trasmesso dal corpo materno.

Una seconda pietra miliare è nota come esperimento Still Face, ideato e messo a punto da Edward Tronick negli anni 90 e ancor oggi molto utilizzato sia in campo clinico che in campo di ricerca. Consiste nel sottoporre un bambino molto piccolo a cicli di relazione con la madre, che alternativamente in assenza di tatto propone un viso caratterizzato da una ricca mimica facciale e un altro caratterizzato dall’assenza di mimica. Le reazioni dei bambini sani a quest’ultima condizione attraversano stati che vanno progressivamente dallo stupore incomprensibile, al disorientamento, all’agitazione psicomotoria, fino alla protesta, alla disperazione e al pianto.

Questi esempi indicano con chiarezza i bisogni fondamentali dell’essere umano, che vengono disattesi da un impianto di cura che escluda la presenza, il contatto e la ricerca della vicinanza tra persone. La tecnologia, che fornisce la base per tutti gli avanzamenti costruttivi, economici e sociali della vicenda umana si trova sempre di fronte ad una scelta etica, il mio augurio è che anche in questo caso possano avanzare forze critiche che portino il progresso a risolversi in una direzione favorevole alla vita.

Bibliografia Part 3

[17] https://blogs.bmj.com/bmj/2014/01/31/richard-smith-medical-research-still-a-scandal/

[18] Le revisioni sistematiche e le metanalisi sono due tecniche di studio che ottengono indici di efficacia di un trattamento raggruppando i dati estratti da diversi studi sullo stesso argomento

[19] Ioannidis J.P.A. (23005). Why Most Published Research Findings Are False. Plos Medicine, pp: 0696–0701.

[20] https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(15)60696-1/fulltext

[21] https://it.wikipedia.org/wiki/Singolarità

[22] Longo A., Scorza G. Op. cit.

[23] Tritto J. (2020). Cina-Covid 19. La chimera che ha cambiato il mondo. Ed. Cantagalli, Siena.

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Alessandro Campailla

Psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista. I miei campi di studio sono: il rapporto mente-corpo-società, nel suo sviluppo storico e in relazione alla clinica