Medicina digitale. Nuove frontiere per la salute?

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Ovviamente Schwaub non è il solo a propagandare tecniche di editing genetico, ormai in stato di sperimentazione avanzata in vari campi, da quello agronomico a quello umano. Per esempio uno studio sponsorizzato dalla DARPA (il ramo del pentagono che si occupa di ricerca) e dalla Bill e Melinda Gates Foundation intitolato “Volani genetici all’orizzonte: promuovere la scienza, orientarsi nell’incertezza e allineare la ricerca ai valori comuni”, ammonisce così:

Tra i possibili fini del rilascio di un organismo modificato con un volano genetico c’è quello di causare l’estinzione di una specie bersaglio o la drastica riduzione della sua popolazione”[1].

Il pericolo rappresentato dalle nuove tecniche di editing genetico potrebbe non essere percepito dall’utente medio che, abbagliato dal luccichio della tecnologia, si limiterebbe a nutrirsi dell’illusione che queste offrono. L’attività di accumulazione dei dati alimenta una rete interconnessa che viene continuamente implementata, mentre utilizzo di tali dati perfeziona sinergie sempre più sofisticate che includono manifestazioni estremamente differenti: da facebook all’agricoltura di precisione, fino alle politiche sanitarie. L’intelligenza artificiale è la chiave per la realizzazione di tali sinergie e se il progetto di renderla egemone sui processi tecnologici è maturo fin dagli anni 80, lo sviluppo delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) ha raggiunto soltanto in tempi recenti la capacità di calcolo necessaria al suo pieno dispiegamento.

Come si è già detto, l’AI per apprendere ha bisogno di dati e la diffusione del 5G permetterà di acquisirli con una velocità mai realizzata prima.

La stessa tecnologia […] renderà la città simile a un singolo corpo interconnesso così come la nostra pelle è legata al nostro corpo. Riunendo ogni singola raccolta e trasmissione di dati verranno replicati gemelli digitali sempre più fedeli agli originali[1],

tra cui le persone, i loro comportamenti, desideri, gusti, perversioni, in sostanza la psiche. L’obiettivo è quello di creare infiniti avatar interconnessi e rappresentare un doppio digitale del mondo intero, la cosiddetta Matrix. Facciamo alcuni esempi alla portata della nostra quotidianità:

Un esempio di AI è Alexa e tutti gli assistenti vocali. Gli assistenti vocali raccolgono continuamente dati sui nostri comportamenti, sui nostri gusti, sulle nostre abitudini. Alexa è solo un’Intelligenza Artificiale (IA) e non ha coscienza, ma questo non le impedisce di imparare. Dispone di un sistema neuro-mimetico che le permette di paragonare miliardi di modelli di comportamenti e di desideri per classificare e trovare le risposte giuste, ma ancor di più per prevedere le domande dell’utente. Più acquisisce dati più le sue risposte sono precise e prevedono i nostri desideri. Alexa serve noi o siamo noi a servire Alexa? Alexa è il cavallo di Troia della trasformazione digitale del nostro essere. Da una parte estrae contenuti mentali e informazioni biologiche, che vengono mantenute in gigantesche memorie digitali, facendo finta di servirci, in realtà serve Amazon”[2].

Lo scopo di questi sviluppi dell’IA è quindi l’anticipazione dei bisogni e tale assunto solleva diversi interrogativi di ordine etico, morale e deontologico, dal momento che appare chiaro, quasi banale, che i bisogni siano del commerciante e non dell’individuo.

L’anticipazione del bisogno che in generale anima lo sviluppo dell’AI e di quello che viene spacciato per intento progressista e inclusivo — termine oggi tanto abusato quanto effimero che sta ad indicare le promesse di partecipazione allargata, offerta dal web e i suoi strumenti — si realizza invero su un rinforzo regressivo dell’individuo e della società. Infatti, se il sistema è in grado di fornire all’uomo sempre ciò di cui ritiene che questi abbia bisogno, sulla base di una dettagliatissima analisi delle preferenze e dei desideri, ma anche delle capacità economiche e biologiche, cercherà di mantenere elevato il suo grado di soddisfazione con il minimo sforzo, garantendosi che la sua capacità di spesa lo induca consensualmente a rimanere connesso ai consumi, di intrattenimento, alimentari e sanitari ponendolo in costante relazione con l’ecosistema digitale che lo circonda. Tuttavia in questo modo non gli permetterà di sperimentare la spinta alla crescita economica, psicologica e spirituale che scaturisce da uno stato di necessità o dalla curiosità. Lo stesso progetto neoliberista digitale, sempre per dichiarazione del WEF[3], si orienta verso l’abolizione della proprietà privata, che fino ad oggi è stato uno degli strumenti principali di mobilità e ascesa sociale.

L’AI si preannuncia quindi come un seno elettronico ben temperato che ci mantenga in un “centro di gravità permanente”, polarizzato sul consumo dei beni, sempre meno comuni e sempre più privatizzati, tra cui la salute. È illusorio pensare che lo stato vegetativo sociale a cui vuole tendere un sistema siffatto non produca malattie mentali, oltre ad un contesto di disuguaglianza sociale sempre più accentuato. Non per nulla gli analisti economici citati sopra, nel loro studio sulle professioni a basso rischio di estinzione, includono gli assistenti sociali, in particolar modo quelli impegnati nell’ambito delle malattie mentali e dipendenze. Si deve prestare ancora attenzione al fatto che non si parla di tecnici della cura bensì di tecnici dell’assistenza alle cronicità.

AI e medicina

Le attuali applicazioni dell’AI riguardano una serie di ambiti che coinvolgono ampi settori della vita delle persone, elencati nella tabella 3.

Le basi su cui poggia la rivoluzione digitale della società, rappresentate dagli strumenti dell’Information and Communication Thecnology (ITC), abbracciano ulteriormente il campo dell’e-health o salute digitale[1] ma anche e in misura sempre maggiore, delle m-health[2]. Queste tecnologie saranno guidate e integrate dalle potenti capacità delle intelligenze artificiali (AI), ovvero sistemi informatici in grado di apprendere dall’esperienza.

Nel campo della salute vengono prodotte sempre più numerose m-health app per il riconoscimento dei possibili portatori di malattie, alcuni esempi sono rappresentati da strumenti che analizzano le bande di frequenza della voce associando a queste uno stato patologico o sintomi specifici, altre sono predisposte per il riconoscimento oculare, altre effettuano il tracciamento dei contatti di soggetti contagiati da un virus, solo per citare le più popolari.

La medicina digitale e i suoi sottoprodotti, sono definiti dall’intelligenza artificiale e dalle ICT necessarie ad implementarla, dai dati e dalle applicazioni che tali tecnologie sono e saranno in grado di dispiegare allo scopo di agire sulla salute pubblica e individuale.

Per avere un quadro d’insieme delle applicazioni informatiche in Digital-health diamo un’occhiata all’elenco riportato nella tabella 4.

Le caratteristiche necessarie ai supporti digitali per fornire le prestazioni indicate richiedono innanzitutto un’alta capacità di connessione, quindi il potere di mettere velocemente in rete quantità enormi di dati sanitari e biometrici; oltre a questo è opportuno che possiedano una relativa facilità di accesso sia per i professionisti che per gli utenti, ne è un esempio il fascicolo sanitario elettronico facilmente consultabile dal paziente da una postazione internet e da tutti i professionisti che ne possono avere accesso interessati alla sua storia clinica. I devices inoltre devono essere maneggevoli, come uno smartphone; integrabili con programmi semplici di messaggistica; indossabili, come uno smartwatch o una maglietta intelligente; devono infine prevedere un efficace scambio di dati; garantire la privacy e la «sicurezza informatica».

1) Se consideriamo il primo asset della rivoluzione digitale in medicina, la connettività, constatiamo che implica soprattutto soluzioni che migliorano l’efficienza del sistema e se si escludono le terapie digitali o il teleconsulto[3]non comportano evidenti benefici misurabili direttamente sugli esiti clinici[4]. Per esempio, la connessione di dati e banche dati può aiutare la ricerca clinica o la condivisione di informazioni sanitarie su reti estese, anche all’estero; facilita i servizi farmaceutici transfrontalieri; permette l’elaborazione di modelli predittivi sull’andamento delle malattie croniche e rende più rapida la geolocalizzazione in caso di incidenti.

2) Per quanto riguarda il secondo asset, l’Internet delle cose, si traduce prevalentemente in ciò che viene chiamata “Salute digitale mobile” o m-health che, in generale, fornisce sistemi di monitoraggio di base. Elabora sistemi di AI per la predizione di particolari malattie in base alla rilevazione di parametri biometrici, come per esempio polisomnografi in grado di prevedere lo sviluppo di malattie come Morbo di Parkinson e la demenza a corpi di Levy. Fornisce inoltre il monitoraggio dei parametri in caso di malattie croniche, pensiamo al tradizionale Holter[5] e ai suoi update tecnologici. Lo sviluppo delle app mobili di AI intende “incoraggiare” il cambiamento di comportamenti e l’autogestione attraverso sistemi di biofeedback e interattività con il supporto digitale attraverso sistemi per il tracciamento di una quantità di dati biometrici rilevati da numerosi devices (tablet, smartphone, smartwatch, fitness trackers, wearables, smart textile). Il mercato è fiorentissimo e ne esistono ormai centinaia di migliaia.

Un primo lecito dubbio riguarda il pericolo che si determina nel prevedere una malattia in base alla rilevazione di parametri fisiologici e la possibilità che si esprima davvero. In sostanza la previsione dello sviluppo di un processo patogeno sulla base di segni subclinici a volte non percettibili all’occhio umano non è garanzia di diagnosi futura. Su un altro versante si potrebbe affermare che l’obiettivo di questi dispositivi apparentemente studiati per il monitoraggio dei parametri vitali di base e quindi per ottimizzare la prevenzione delle malattie, potrebbe nascondere anche altri obiettivi. Per esempio, la psicologa Shoshana Zuboff nel suo libro Il Capitalismo della Sorveglianza ha riportato uno studio pubblicato sul Journal of American Medicine, dal quale emerge che numerose app commercializzate per il monitoraggio della malattia diabetica in realtà nascondevano altre funzioni di tracciamento, intrusione ai dati personali, utilizzo di questi a fini commerciali e altre violazioni dei profili di privacy degli utenti[6].

3) Il terzo asset, la Robotica, riguarda dispositivi per chirurgia avanzata e chirurgia in remoto con realtà virtuale; robotica protesica; algoritmi per il supporto decisionale clinico e l’assistenza clinica (CDS) che affiancano i trattamenti medici, forniscono un monitoraggio attivo, calcolano e/o diagnosticano e sistemi di assistenza per le persone anziane[7].

Pro e contro: una ricognizione

Alcuni esempi ci informano della possibilità che l’AI possa sostenere processi in maniera efficace e certamente evitare o limitare effetti negativi legati ad alcune malattie.

La storia di Wendy Mitchell ne è un esempio[8]. Questa donna, colpita da morbo di Alzheimer, ha trovato notevole beneficio nell’utilizzo dell’assistente digitale Alexa, nel regolare la sua malattia e compensare la perdita di memoria in vari momenti delle sue giornate, per esempio nel momento di assumere i farmaci, o nel ricordare impegni quotidiani. Su questa base si potrebbero per esempio immaginare programmi di training cognitivo più efficaci del tradizionale nodo al fazzoletto.

Sofisticati sistemi robotici, come il robot chirurgo Da Vinci, hanno raggiunto notevoli livelli di precisione in grosse chirurgie ortopediche e in grossi interventi internistici.

Sistemi di stampa 3D sono già in grado di riprodurre segmenti ossei in materiale biocompatibile, impiantabili. Nel 2014, presso la Peking University Third Hospital è stato effettuato il primo intervento di sostituzione di una vertebra cervicale colpita da tumore, realizzata con tecniche di stampa 3D[9]. In un futuro non lontano interi organi o apparati potrebbero seguire la stessa via di sviluppo. Ovviamente l’utilizzo di queste apparecchiature necessita di personale altamente specializzato e i costi di queste tecnologie rischiano di renderle inaccessibili all’interno del sistema delle cure pubbliche, mentre in un futuro non troppo distopico è prevedibile che sistemi di AI possano operare in autonomia con un minimo intervento umano.

Un altro campo di applicazione dalle grandi promesse riguarda la robotica protesica, che se consideriamo al netto dei costi potrebbe avvicinare le prestazioni degli apparecchi a quelle umane, mentre la neurotecnologia promette che il controllo del movimento protesico possa essere effettuato attraverso sistemi di ibridazione neuromimetici e biocompatibili.

Un elevato livello di precisione è stato raggiunto e migliorerà ancora per quanto riguarda i sistemi di confronto di immagini tomografiche, che su campioni smisurati di immagini può restituire validi supporti decisionali nella diagnosi radiologica in diversi campi, ne è un esempio il sistema di supporto diagnostico Watson di IBM[10], per quanto sia oggetto di numerose critiche[11]. In sintesi, il campo medico trarrà notevoli avanzamenti dalla crescita scientifica nel campo dell’AI e alla luce delle attuali conoscenze possiamo dire che l’effectiveness[12] complessiva restituita dai nuovi sistemi diagnostici e terapeutici dovrà essere commisurata alle reali necessità di salute che viene richiesta e non offerta.

In tal senso commentatori attenti mettono in guardia dalla smania tecnologica in medicina e dalle trappole che potrebbe nascondere nel suo evolversi verso sistemi sempre più sofisticati.

In un contributo del 2015, pubblicato dal presidente della fondazione GIMBE sulla rivista Evidence, si sottolinea come l’evoluzione tecnologica, alla quale si associa indissolubilmente il concetto di Evidence Based Medicine, oltre a portare ad un notevole fiorire di studi abbia anche determinato il fenomeno di eccesso di diagnosi (overdiagnosis) ed eccesso di trattamento (overtreatment)[13].

Non solo le tecnologie determinano la principale voce di spesa delle amministrazioni sanitarie, ma sono associate a quello che lo stesso autore definisce un eccesso di medicalizzazione, per cui persone che prima dell’evoluzione tecnologica non sarebbero mai state diagnosticate o trattate avrebbero continuato a vivere una vita tranquilla, pur in presenza di un processo patologico asintomatico. Questi eccessi portano a “curare” anche i casi meno gravi, migliorando la percezione di successo dei trattamenti e, al tempo stesso, su questa base incoraggiano il rilancio degli investimenti nel campo tecnologico. Il presidente della fondazione GIMBE parla di un vero e proprio circolo vizioso che si alimenta anche in assenza di vere prove di efficacia.

Un altro bias evidenziato nel report è relativo all’associazione tra hi-tech e fiducia illimitata, dove “nuovo è meglio di vecchio”, “molto è meglio di poco”, mentre una diagnosi precoce, nella percezione della categoria medica e dei pazienti, è sempre meglio di una tardiva. Ulteriori problemi potrebbero provenire dalla pretesa dei pazienti ad ottenere l’esame più sofisticato per patologie che in realtà non avrebbero necessità di indagini a tal punto sofisticate. In sostanza l’articolo conclude che la tecnologia, non più il medico, guida la definizione della malattia.

Ho davanti il caso di una coppia in età già avanzata, lei affetta da Sclerosi Multipla (SM) con seri sintomi clinici e una risonanza magnetica quasi negativa; lui con diagnosi di SM, senza alcun sintomo ma al contrario con una Risonanza Magnetica talmente tempestata di lesioni da non credere che potesse essere libero da implicazioni cliniche. Dati i tempi in cui assistetti a questa apparente contraddizione diagnostica — in cui forse il furore terapeutico era ampiamente mediato dall’abilità diagnostica del medico e non di meno dalla sua capacità di assumersi la responsabilità di un trattamento ma anche di un’astensione dal somministrarlo — il marito poté condurre una vita libera da pesanti interventi farmacologici. L’interessante articolo procede descrivendo gli effetti collaterali dell’innovazione tecnologica in medicina, da cui si estrae una sintesi.

La penetrazione delle Corporation nel campo della salute delle persone

Le grandi aziende informatiche come Google, facebook, Microsoft o Amazon, o le aziende di Cloud, hanno sviluppato potenti sistemi di AI ed entrano, come si è già detto, direttamente in gioco nel determinare i bisogni delle persone, tra cui quello di salute. Non soltanto nel rapporto tra singolo utente connesso al web e sistemi di profilazione, ma dirigono in maniera determinante il bisogno di dati delle agenzie governative, dei sistemi sanitari, dei sistemi di istruzione, dei sistemi di sicurezza e di polizia, come anche dei comportamenti delle persone, affermando così la dipendenza degli Stati (e delle persone) dalla loro attività di accumulo e utilizzo dei dati stessi. È evidente che in questo modo si concede a settori dell’industria privata di eleggersi a regolatori di processi pubblici.

Per fare un esempio: in un senso Google fornisce le tecnologie per trattare i dati sui quali montare l’impalcatura della digitalizzazione della sanità pubblica, della PA e della vita privata delle persone, in un altro senso rende il processo dipendente da questi dati e in un altro ancora li estrae incessantemente a fini commerciali trattenendoli e riutilizzandoli attraverso gli algoritmi dell’AI. In sostanza poiché il massimo guadagno di queste aziende proviene dai dati, ovvero dalla quantità incessantemente crescente che riescono ad estrarre da tutte le loro attività di tracciamento dei nostri comportamenti online e offline, il loro ingresso nelle istituzioni crea un vincolo perverso destinato al lucro e alla determinazione da remoto dei nostri comportamenti, in ogni ambito della vita. Di questi dati, come è ovvio, sono estremamente gelose come anche delle tecniche di estrazione e negli anni a partire dal 2001 la velocità di acquisizione e lo sviluppo della tecnologia sono state molto più rapide della velocità di normazione e legislazione[14].

Per dare un’idea della dipendenza che le amministrazioni hanno sviluppato nei confronti di queste grandi aziende, basta riportare le parole del capo del WEF il quale, senza nascondere le velleità del sistema ultraliberistico basato sull’innovazione digitale, afferma che:

I governi devono altresì acquisire consapevolezza che è in atto una transizione del potere decisionale da attori pubblici a soggetti privati e da istituzioni consolidate a network spesso non ben definiti. Le nuove tecnologie — e i gruppi e le interazioni sociali che queste favoriscono — garantiscono praticamente a chiunque una capacità, impensabile fino a pochi anni fa, di influenzare altre persone. I governi sono tra gli organismi istituzionali più influenzati dal carattere sempre più transitorio ed evanescente che sta assumendo il potere politico[15].

Agli Stati non rimane che limitarsi di consentire l’abbattimento degli ostacoli che si frappongono davanti a questi propositi, cosa che peraltro è già in corso, per poi dissolversi gradualmente in organizzazioni sovranazionali completamente gestite dalle corporazioni economiche. Questi spazi di deregolamentazione, in accordo con l’ultra velocità degli aggiornamenti tecnologici, hanno permesso a queste aziende di navigare in uno spazio a-normativo e continuare a trarre profitto dalla privacy dei cittadini. A tal proposito scrive ancora Zuboff:

Gli archivi di surplus comportamentale di Google attualmente comprendono qualunque elemento del mondo digitale: ricerche, email, messaggi, foto, canzoni, chat, video, luoghi, schemi comunicativi, atteggiamenti, preferenze, interessi, volti, emozioni, malattie, social network, acquisti e così via. Le nostre vite offrono nuovo surplus comportamentale ogni volta che hanno a che fare con Google, Facebook e in genere con ogni aspetto dell’architettura informatica di internet. La pervasività globale dei computer è di fatto stata riconfigurata come un’architettura dell’estrazione dal capitalismo della sorveglianza.

Semplici app o toolbar dei motori di ricerca rinviano tutto a Google e affini, ogni dato, ogni click, ogni scroll. A questo scopo Google, Amazon, Apple, Microsoft e facebook, stanno investendo enormi capitali in AI, sempre al fine di estrarre dati. Non stupisce, infatti, che Google e facebook siano tanto interessati alla domotica, ai supporti digitali biometrici e alla ricerca farmaceutica e ostacolino, o meglio censurino, qualunque voce di dubbio sull’efficacia dei vaccini o di certi indirizzi di cura per il coronavirus o altre malattie, interferendo sui processi democratici di informazione e decidendo quali debbano essere le fake news e le notizie invece degne di ascolto.

È noto il coinvolgimento di Google nel progetto ID2020, una partnership mondiale che vede tra i promotori la GAVI Alliance, Accenture, la fondazione Rockefeller e la Microsoft, ma anche soggetti strettamente legati a Google a loro volta appartenenti a gruppi bancari come Lehman Brothers, J.P. Morgan, UBS, OCC. Tale progetto prevede di fornire l’identificazione elettronica attraverso una piattaforma di vaccinazione generalizzata, che doterebbe ogni neonato di un’identità digitale portatile collegata biometricamente attraverso i quantum dots, mentre il riconoscimento avverrebbe “a pelle” attraverso un’app, il tutto riportato in un registro mondiale delle vaccinazioni[16].

Si comprende come la medicina e la sua trasformazione digitale rappresentino, in tal senso, un tassello strategico alla realizzazione di un progetto di controllo di tale portata.

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Bibliografia Part 2

[1] Secondo la definizione data dall’OMS la e-health consiste nell’uso di tecnologie informatiche e di telecomunicazione (ITC) a vantaggio della salute umana (5)

[2] Secondo la definizione dell’OMS la m-heath rappresenta la branca dell’e-health che comprende l’uso delle tecnologie di telecomunicazione mobile e multimediale integrate in sistemi di erogazione dell’assistenza sanitaria, fortemente legate allo sviluppo della tecnologia wireless (6)

[3] Anche qualora si ipotizzassero benefici diretti sulla salute di questi dispositivi, mancano tuttavia studi prospettici di efficacia attendibili che ne attestino l’effettiva utilità.

[4] Longo A., Scorza C. Op. cit.

[5] L’Holter (1961), dal nome del suo inventore Norman J. Holter, è un elettrocardiogramma dinamico che si applica a permanenza per un periodo di tempo abbastanza lungo, generalmente 24–48 ore e che registra gli eventi cardiaci continuativamente.

[6] Zuboff S. Op. cit.

[7]https://ati.ec.europa.eu/reports/product-watch/artificial-intelligence-based-software-medical-device

[8] W. Mitchell, Somebody I Used to Know, Ballantine Books, 2018.

[9] http://www.popsci.com/article/science/boy-given-3-d-printed-spine-implant

[10] https://www.ibm.com/watson-health

[11] Longo A., Scorza G. Op. Cit.

[12] Parametro empirico e statistico che considera l’efficacia di un trattamento o di una misura diagnostica se considerata ecologicamente, in condizioni di realtà, quindi al di fuori di studi controllati o di laboratorio, in relazione alle diverse variabili di praticabilità e sostenibilità che intervengono. Di contro il parametro detto efficacy misura la capacità di un intervento di produrre un effetto desiderato in condizioni non ecologiche, ovvero in situazioni controllate o sperimentali.

[13] Cartabellotta A. (2015). La corsa all’armamento tecnologico: affannosa, costosa e rischiosa. Evidence, Vol. 7, issue 7, 1–6, e1000116. https://www.evidence.it/articoli/pdf/e1000116.pdf

[14] Zuboff. Op. cit.

[15] Scwhaub K. Op. cit.

[16] Citro M. Op. cit.

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Alessandro Campailla
LaTI® — Laboratorio Teatro d’Impresa

Psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista. I miei campi di studio sono: il rapporto mente-corpo-società, nel suo sviluppo storico e in relazione alla clinica