Rispondo ad una domanda difficile in cui ci sono la genitorialità e la scelta antispecista.

Mi è capitato di rispondere ad un’amica in merito alla questione di crescere i figli in una famiglia vegan, o in cui solo alcuni dei membri lo sono. Non è stato facile mettere insieme un punto di vista chiaro che riassumesse anche quello che era stato il mio personale processo, così lo pubblico qui, nella speranza che qualcun altro possa trovarlo utile.

fé!
6 min readSep 16, 2023

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Premessa: questo articolo non affronta il tema da un punto di vista nutrizionale perché non sta nella domanda cui si cerca di rispondere e perché la materia è stata affrontata ormai largamente ed esiste una lunga letteratura a riguardo. Una dieta vegana è compatibile con tutte le fasi della vita di una persona e nel discorso che segue la cosa si da per scontata.

Domanda

Come fai con i bambini, rispetto alle tue scelte alimentari? Io non riesco a optare del tutto per la scelta vegan, perché non voglio imporla al piccolo, e diventa impossibile per me conciliare i menu e rinunciare a tutto ciò che è a tavola.
Tu come fai?

L’imposizione

La parola imposizione è spesso presente quando si parla di scelte che riguardano la sfera dell’etica, non solo nelle discussioni sullo specismo. Ci confrontiamo su temi che inevitabilmente coinvolgono anche il nostro vissuto e non possiamo quindi fare a meno di metterci in discussione e dover guardare sotto una luce differente i nostri valori. Non sempre è un processo piacevole, anzi, è spesso accompagnato da un senso di disagio dal quale è più che normale ci si voglia sottrarre. In questi termini uno dei due interlocutori sente di essere esposto contro il suo volere.

Pur riconoscendo in parte che quel disagio esiste ed è motivato dobbiamo pure considerare che la parola imposizione sia tuttavia abusata e profondamente esagerata per descrivere un processo di dialogo in cui non avvengono costrizioni fisiche di nessun tipo ne si chiede di risolvere il dabitto tramite minacce o contropartite. Si tratta di esporre una certa realtà, portarla fuori da una zona in cui di solito è tenuta nascosta e confrontarla con i propri principi morali.

Il problema quindi non viene da fuori, è interno alla coscienza di ognuno di noi.

L’educazione

Quando si parla di genitorialità, crescita ed educazione dei figli la parola imposizione diventa ancora più fuorviante e confusionaria. Basti pensare che viene usata in modo diverso a seconda dell’oggetto cui ci stiamo riferendo. Un genitore prende infatti continuamente decisioni che influsicono sulla vita dei propri figli e lo fa anche senza condividerle con loro. Non c’è niente di male in questo. Qualunque cosa faccia, qualsiasi decisione prenda potrebbe essere considerata, per sua stessa natura, una imposizione.

Dovremmo invece considerare, nella sua complessità, la parola educazione. Se da un lato il processo educativo presuppone la presenza di un’autorità è anche vero che la relazione tra questa autorità ed il bambino non è la mera modellazione di un pezzo di argilla o il riempimento di un contenitore di concetti, regole, abilità o valori.

Ciò comporta la consapevolezza di avere di fronte una persona con le proprie inclinazioni, ragionamenti, volontà e desideri con cui instaurare un dialogo onesto.

La scelta

Lo specismo è la prima forma di discriminazione che ci hanno insegnato e, di generazione in generazione, la passiamo ai nostri figli. Imparano ad attibuire un valore diverso alla vita degli altri basandosi cioè sull’appartenenza di specie sia considerando l’uomo e l’animale, sia operando un’ulteriore separazione tra diversi tipi di animali.

È sbagliato abusare, picchiare o far del male ad un cane o un gatto. Vedere un bambino che si prende cura di un animale ed instaura con lui un profondo rapporto di amicizia ci riempie il cuore di gioia e ci fa beare della loro capacità empatica. Ma è giusto e moralmente accettabile abusare, sfruttare ed uccidere un pollo (la stragrande maggiornaza dei bambini non sa che il pollo è una gallina), un maiale, una mucca ecc.

Perché questo scollamento sia possibile si ricorre a vere e proprie capriole verbali, omissioni, mezze verità o palesi bugie, da una parte convinti che un bambino non abbia la capacità di processare quel tipo di informazione, dall’altra terrorizzati dall’eventuale decisione che potrebbe prendere di fronte ad una certa rivelazione.

Ed è qui che si attua la scelta.

Bisogna essere chiari su questo punto. Non è certo in ballo un giudizio morale su come si debba essere genitori. La maggior parte di noi non è nata vegan, ma in famiglie con genitori amorevoli e preoccupati di non far mancare nulla ai propri figli. Il loro stile di vita era impostato su delle credenze e dei valori in base ai quali hanno scelto di omettere o raccontare diversamente una serie di fatti, sospendendo la possibilità di critica per un bene più grande.

Il punto è: crescere un bambino consapevole di cosa stia mangiando (o vestendo) è una scelta, così come lo è non farlo. In entrambi i casi il genitore decide per il bambino. Decide se coinvolgerlo nella scelta oppure no.

Parlando di bambini è più che comprensibile l’atteggiamento onnivoro alla luce del fatto che sono ancora troppo forti i falsi miti legati al benessere e alla carne per cui un genitore, spinto dalla sacrosanta voglia di fare il meglio per suo figlio, tende a non mettere in discussione pratiche consolidate e tradizioni centenarie.

Chi si è liberato dalle logiche e dalle dinamiche carniste ha cambiato profondamente i propri valori e la propria etica. È assurdo pretendere che questi valori vengano tenuti al di fuori del processo educativo. In nessun altro ambito ci si sognerebbe mai di chiedere ad un genitore di educare evitando di usare le proprie convinzioni e la propria morale. Non desta problemi che una famiglia religiosa condivida apertamente il proprio credo con i figli, figuriamoci qualcuno che a differenza della religione, che richiede una fede verso qualcosa di intangibile, rifiuta un sistema oppressivo e violento realmente esistente, fotografabile, che puoi vedere (ma te lo devi andare a cercare) e toccare (se hai pelo sullo stomaco) ogni giorno.

Liberi e consapevoli

I bambini possiedono una straordinaria capacità empatica nei confronti degli animali, non li vedono come cibo o prede. Un famoso attivista, usava spesso fare un esempio ipotetico: “dai ad un bambino una mela ed un coniglietto e chiamami quando starà giocando con la mela e avrà sbranato il coniglietto”.

Rispettare questa loro natura è uno sforzo che vale la pena di compiere e lo si può mettere in pratica seguendo tre principi.

Il primo è quello dell’onestà. Si può essere onesti, di fronte alla curiosità manifestata, nello spiegare da dove proviene il cibo che è in tavola, senza ovviamente esporlo a contenuti traumatici e raccapriccianti, non ce n’è bisogno. La ciccia non è semplicemente ciccia. È la parte del corpo di un animale che una volta era in vita ed è stato ucciso per essere mangiato. Non serve altro per assecondare, senza nascondere o ingannare, la sua curiosità e la sua capacità di processare e prendere una decisione.

Il secondo principio è quello dell’esempio. I genitori sono modelli di comportamento cui il bambino si riferisce quando si tratta di interpretare il mondo che lo circonda. Essere d’esempio può incuriosire il bambino sul perché si facciano alcune cose anziché altre, o rassicurarlo di fronte a dei dubbi o ancora aiutarlo a capire cosa ci differenzia. Essere solo un esempio significa anche lasciare il proprio figlio libero di decidere o meno se seguire quell’esempio.

Il terzo principio è la sospensione del giudizio. Nel porsi le sue domande, nel rapportarsi ai propri genitori come modelli e di conseguenza proiettarsi anche verso il mondo fuori (altri parenti, amici, scuola ecc) è importante che non subentri il concetto di colpa e di colpevole. Quale che sia la decisione che il proprio figlio intraprende dovremmo sempre privilegiare l’atto della scelta rispetto al contenuto effettivo della scelta. Accettare i suoi pensieri, le sue rimostranze ed i suoi desideri a prescindere dalla nostra visione. Non meno importante è eliminare il concetto di colpa dalle relazioni con gli altri così che anche loro siano liberi di operare le loro scelte.

Nessuno di questi tre principi comporta o prevede una componente coercitiva, non c’è forzatura, non c’è costrizione o ricatto. Genitori e figli sono anzi in relazione e si influenzano tra di loro.

Ogni genitore è un esempio per il proprio figlio, un punto di riferimento nel bene e nel male. Ci limitiamo con non poche difficoltà ad essere questo esempio, al meglio di come vorremmo e a rispondere alle sue domande forse in un modo adatto ad un bambino, ma privo di bugie.

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