“Come si fa un non-consensual blowjob.”

Chiara M. Coscia
8 min readNov 1, 2017

--

Rivedere “American Bitch” nell’ottobre del 2017.

Image by @billythebrave

Nel primo episodio di The Unbreakable Kimmy Schmidt — una comedy di Netflix in cui quattro donne vengono salvate dopo 15 anni di prigionia in un bunker, dove erano state segregate da un guru che le aveva convinte di essere le uniche sopravvissute all’apocalisse nucleare — vediamo Matt Lauer, un presentatore del Today Show, che durante l’intervista all’indomani del salvataggio chiede a una di loro come aveva fatto il guru a rapirla:

“One night he invited me out to his car to see some baby rabbits, and I didn’t want to be rude, so…here we are.”

dice la ragazza, e Matt Lauer risponde:

“I’m always amazed by what women will do because they’re afraid of being rude…”.

Si tratta di una comedy, quindi si ride, eppure questo è uno di quei momenti in cui l’altissimo livello di ironia del genere riesce a puntare un faro su certi meccanismi che spesso facciamo fatica a verbalizzare in maniera chiara. Succede spesso, sì, è vero, che le donne facciano cose che non vogliono fare per paura di sembrare “rude”, “maleducate”.

Ma su questa questione torneremo più avanti, perché non è di Kimmy Schmidt che si parla in queste righe, ma di un’altra donna, Hannah Horvath, o Lena Dunham, o entrambe, e di uno specifico episodio di Girls. Di recente, infatti, per chissà quale strano motivo, mi è capitato di ripensare spesso al terzo episodio della sesta e ultima stagione della serie TV di Lena Dunham, andato in onda qualche mese fa. Il titolo dell’episodio era “American Bitch”.

Ci sono diverse ragioni per cui ogni donna che abbia mai visto “American Bitch” si sia sentita più o meno spiata in casa, colpita nel vivo, a disagio, arrabbiata, appassionata, ma mai, dico mai, divertita, come divertente può essere qualunque altro episodio di Girls.

(Proverò a mettere insieme le frasi senza farmi trascinare dal momento caldo, perché a scrivere le cose a caldo si finisce per partorire articoli su Trainspotting 2 in cui poi sembra che viene fuori che non ti è piaciuto, ma alla fine non è proprio così.)

“American Bitch” è quello che si dice un episodio bottiglia, l’episodio riempitivo della stagione in cui, dell’intero cast di Girls, vediamo solo Lena Dunham/Hannah Horvath. A distanza di mesi e dopo averlo rivisto posso dire con certezza che una delle cose più mature che Lena abbia mai scritto e interpretato. Quello che ha fatto è stato mettere in scena una questione più ampia di come il successo influenza il modo in cui alcuni uomini decidono di comportarsi con le donne che incontrano in contesti professionali.

Vediamo Hannah andare a casa di Chuck Palmer, uno scrittore pluripremiato, famosissimo e ricco, di cui lei è anche una fan sin da ragazzina. Chuck l’ha invitata a casa sua, e capiamo subito che l’invito ha una ragione molto precisa: Hannah ha scritto un articolo su un “niche feminist site” dopo che lui è stato accusato di molestie sessuali da una sua fan. Nello specifico, la fan in questione ha scritto di Chuck online, accusandolo di averla costretta a fargli a non-consensual blowjob.

Consenso. Di questo stiamo parlando.

Girls S06E03

Chuck si presenta alla porta con un’aria afflitta, ci sembra un poveraccio affetto da OCD, eppure entrando in casa sua vediamo alcuni elementi, materiali e non, che lo disegnano contemporaneamente come una scrittore di successo, un ex marito paziente, un padre premuroso. Degni di nota: una foto con Toni Morrison in bella vista, un quadro di Woody Allen appeso al muro, quella che sembra decisamente essere una pergamena di laurea in bagno.

Vediamo Chuck muoversi nella costante continua e narcisistica auto narrazione, mentre Hannah, finché resta sulla difensiva, sembra condurre il gioco e sembra essere consapevole delle manipolazioni di Chuck. I toni, i gesti, tutto ciò che va oltre il detto, tutto è perfettamente narrativo esattamente come le singole frasi. “It’s a witch hunt, and I am the witch!” dice a un certo punto lui, e contemporaneamente Woody Allen ci guarda dal quadro, e sembra che proprio in quel momento gli sia spuntata una sorta di aureola dorata intorno alla testa. E “I’ve tried everything. Different types of meditation.”, dice lui, e intanto, quasi impercettibilmente, fa un gesto onanistico con la mano.

In sostanza, quello che fa Lena (sì, Lena) in questo episodio è mostrarci come avviene, come succede, come sia possibile che ci si ritrovi a fare “a non-consensual blowjob”. Quando Chuck lo chiede a Hannah: “By the way, how exactly does one give a non-consensual blowjob?” l’idea che ha lei all’inizio della cosa è un’idea filtrata attraverso lo stesso meccanismo di victimblaming che spesso sembra essere l’immediata e comoda risposta semplificatoria: vieni forzata con la testa in basso, soffocata, trattenuta. Non può essere successo diversamente, no?

Non è così semplice ovviamente, la sessualità è già di per sé qualcosa di complicato, ma, come sostiene Ijeoma Oulo, “sexual assault it’s never about sex”. Si parla di potere, e Hannah lo sa, “the power imbalance”, lo sbilanciamento di potere è qualcosa che lui non può non aver tenuto in considerazione. Tuttavia, Hannah non ha chiaramente mai avuto a che fare con un non-consensual blowjob, almeno non ancora.

L’intera puntata va avanti in un unico ambiente chiuso, la casa di Chuck, nella quale ci sentiamo sempre più imprigionati, come una mise-en-abyme attraverso il dialogo di ciò che è successo tra Chuck Palmer e Denise, l’universitaria che ha subito la molestia: del discorso che fanno, delle mosse di Denise, dei suoi atteggiamenti e della sua lusinga siamo assai consapevoli, sempre più, perché lo vediamo accadere davanti ai nostri occhi. “She wants to feel that she exists” dice Hannah, e sta parlando esattamente di come, in una situazione di sbilanciamento di potere, ci si possa ritrovare a fare cose anche solo per sentire di far parte di un mondo più grande, più alto, più altro, o anche solo perché non si vuole essere “rude”. Tuttavia, Hannah ascolta la versione di Chuck, sembra credere alla sua contrizione, resta anche lei, a poco a poco, sempre più invischiata in quella rete fatta di “sei intelligente Hannah”, “questa che hai scritto è una frase divertente Hannah”, “da dove vieni Hannah?”.

Ecco, è qui che Chuck capisce che, nonostante la sua intelligenza e il suo spirito di osservazione, può comunque giocare con Hannah, e che sarà lei a perdere. Sono le lusinghe tranquillizzanti a trascinare la ragazza nella camera da letto.

Nel finale, Hannah riesce a fare quello che Denise non era riuscita a fare. Dice di no (non prima di aver detto quasi di sì, tuttavia). Eppure abbiamo visto tutti, signore e signori, cosa succede, come succedono, come possono avvenire in maniera tutt’altro che violenta e senza spargimenti di sangue e grida e abiti strappati, le molestie sessuali. Succedono (anche/soprattutto) perché esiste un meccanismo di consenso implicito, introiettato, pervasivo.

Girls S06E03

Quando ascoltiamo Chuck, che racconta la storia delle varie ragazze che lo ammirano come scrittore, lo adulano, vanno alle sue presentazioni, e lui le invita in camera e improvvisamente boom!, queste ragazze hanno una storia da raccontare, una parte di noi sa, da subito, che lo stiamo vedendo accadere proprio davanti ai nostri occhi.

Di tutte le aggressioni, le molestie, le avance e gli abusi di potere perpetrati ovunque ci sia uno sbilanciamento di piani (e c’è sempre uno sbilanciamento di piani, ideologico, culturale, o banalmente in termini di forza fisica), quello che più mi colpisce è la ripetitività del pattern. Che sia un massaggio, un pene appoggiato sulla coscia, un’allusione più o meno implicita a cosa potrebbe o no accadere se o se non. Queste modalità sono copioni ripetuti, e mi pare che spesso l’attenzione non venga, non abbastanza almeno, riportata su chi agisce tale potere, ma sempre e solo su chi lo subisce.

La puntata si apre e si chiude circolarmente, con Hannah che entra e esce dal palazzo di Chuck, nella scena finale si perde tra una schiera di donne inquadrate di spalle, che entrano percorrendo lo stesso percorso di cui lei, per niente unica, è appena stata protagonista.

A un certo punto dell’episodio Hannah dice a Chuck: “I want to make people laugh about the things in life that are painful”, quasi citando alla lettera Nora Ephron. Eppure non c’è niente da ridere qui. Non c’è niente da ridere perché quella che dice questa frase è in realtà Lena Dunham, mentre Hannah finisce per diventare, prima di ritornare in sè, un po’ la cool girl di Gillian Flynn.

Oggi più che mai, abbiamo spesso voglia di urlare, al punto da metterci in imbarazzo da sole, e invece teniamo a bada questa cosa dello schieramento definito, proprio perché ci imbarazza, proprio perché non vogliamo essere lagnose, capricciose, maleducate. E a volte ce ne stiamo fermi tutti, come i bambini che assistono al bullo che picchia il compagno a scuola. Ogni volta che la paura di apparire “rude” prende il sopravvento, siamo bystanders, oltre che potenziali vittime.

Introiettare la cultura patriarcale che ti spinge a fare di te tutto quello che pensi sia la norma, e per norma si intende uno sguardo intrinseco maschile con il quale noi osserviamo tutto, tutte, tutti, significa assistere a scene del genere quotidianamente. Significa, sempre, non agire, al fine di “minimizzare il danno”, come scrive Giusi Marchetta.

Questa è la cultura occidentale: una cultura in cui nel momento esatto in cui si subisce un abuso il comportamento dell’abusato diventa l’unico inquisito, qualunque esso sia, in un delirio paradossale in cui questo/a, pare, abbia avuto tante e diverse scelte possibili davanti.

Lasciatemi dire una cosa: l’unico a scegliere, a scegliere davvero, è chi impone il suo potere sull’altro. A vincere è, sempre, il bullismo conclamato di una certa occidentalità.

Vorremo essere tutte Carrie Fisher e spedire minacciosi pezzi di corpi in piccole scatole Azzurro Tiffany (sì, un colore che ha un suo nome e cognome) a chi ci terrorizza e pensa di avere il potere di farlo. Ma il più delle volte siamo noi stesse lingue tagliate e chiuse dentro le scatole più belle che riusciamo a procurarci. A volte, in questo assurdo mondo, questa è la scelta più semplice e autoconservativa.

--

--

Chiara M. Coscia

I’m a close watcher: apro le serie TV per guardarci dentro (una vita SUB-ITA)