C’era due volte

Racconti nei racconti e metaletteratura: dall’Onnipotente a Roberto Gerilli

Marginalia
7 min readNov 23, 2016

Quando l’esimia direttora mi ha proposto di scrivere un pezzo sulla metanarrazione, mi è venuta in mente Brunella Gasperini, scrittrice e giornalista che tristemente oggi si conosce pochissimo. Ci ho pensato perché Brunella eccelleva nell’arte di scrivere “in io”, ovvero in una prima persona intenta a osservare il come e il perché delle cose scritte — sue — nel momento in cui le scriveva. Era un genere particolare di metanarratrice.

Illuminata dalla sua guida, ho iniziato a documentarmi sul concetto di metanarrazione, scoprendo che il termine ha significati e usi differenti condizionati da quel prefisso, “meta”, che dalla sua origine greca eredita le diverse sfumature del concetto di “dopo, oltre”.

Per prima cosa mi sono imbattuta nella definizione della teoria critica: una metanarrazione è una sorta di schema onnicomprensivo che ordina e spiega la conoscenza e l’esperienza. Lo è la storia dell’umanità secondo il Cristianesimo, per esempio, che interpreta tutta la vita dell’Uomo, da Adamo in avanti, alla luce del progetto creativo di un Dio onnipotente.

C’è poi la definizione di “racconto nel racconto”, ovvero quello che si trova ne Le mille e una notte, quando Shahrazād, la protagonista, sussurra all’orecchio del sultano una storia dentro l’altra, creando altri mondi all’interno del proprio.
Lo stesso dicasi per l’Odissea, i poemi epici o la Divina Commedia: seguendo le vicende dei loro personaggi, Omero e Dante incontrano uomini e donne le cui vite formano una parentesi nella narrazione principale.

Tra i maestri del genere vanno citati Ludovico Ariosto con l’Orlando furioso e Jorge Luis Borges con le sue labirintiche Finzioni, e in tempi più recenti A.S. Byatt, autrice di romanzi meravigliosi, tra cui Persuasione e Il libro dei bambini, nei quali le storie dentro le storie fioriscono e si intrecciano come tralci di glicine su porcellane inglesi.

Metaracconto è anche quello dell’autore che sceglie di nascondersi con uno stratagemma dietro a una diversa persona: Manzoni presentò I promessi sposi come resoconto di vicende narrate “in uno scartafaccio” rinvenuto per caso; lo stesso fecero il polacco Jan Potoki ne Il manoscritto ritrovato a Saragozza e Walter Scott in Ivanhoe. Più vicino a noi, un esempio brillante lo diede Umberto Eco con Il nome della rosa, nel quale si divertì a inserire se stesso come ultimo anello di una catena che, partendo da un monaco del XIV secolo e passando per copisti e traduttori, avrebbe condotto quel certo manoscritto nelle sue mani perché potesse dargli lettura, redazione e pubblicazione definitiva.

È però nel suo terzo significato che la parola assume i contorni più affascinanti: laddove viene definita come una narrazione che ha come oggetto se stessa e dove i piani finzionale e reale si mescolano.

L’esempio più classico è quello de La storia infinita, di Michael Ende: il protagonista è un ragazzino che legge una storia di cui si troverà a un certo punto a essere personaggio, e mentre seguiamo le sue avventure anche noi veniamo coinvolti nella possibilità che questo ciclo possa continuare a ripetersi, trasformandoci a nostra volta in oggetti letterari.

Un gioco a incastri che solletica la mente e apre abissi parossistici di perversa soddisfazione. L’espediente piacque a scrittori insospettabili (un romanzo all’apparenza innocuo come Piccole donne sarebbe in realtà l’opera che la protagonista Jo arriva a scrivere dopo aver affrontato gioie e dolori della vita) e a celebrità come Paul Auster, che dalla Trilogia di New York in poi è di volta in volta autore, narratore e protagonista dei propri romanzi, e inserisce qua e là personaggi presi a prestito da altri (nello specifico, da Siri Hustvedt, sua moglie, che ha fatto altrettanto nei propri scritti).

Dell’aspetto più sperimentale del “meta” si innamorò Italo Calvino, che con Se una notte d’inverno un viaggiatore scelse come protagonista il Lettore, alle prese con l’ultimo libro di Calvino stesso: un libro impossibile da finire perché, a causa di un errore di stampa, a ogni sedicesimo del volume la storia ricomincia da capo. Il Lettore si mette alla ricerca di una copia non difettata, ma trova solo esemplari che iniziano sempre in modo diverso e si bloccano sul più bello. Vagando incontra un anziano scrittore che nel suo diario analizza la propria crisi intellettuale, e sarà lui a fornire la chiave per l’interpretazione del romanzo.

Meno sperimentale nella forma, ma altrettanto efficace negli esiti, fu Luigi Pirandello, che in Sei personaggi in cerca d’autore inscenò la rivoluzionaria presa di coscienza di creature (i personaggi appunto) per definizione prive di arbitrio personale. I sei del titolo sono attori scartati per la rappresentazione sceneggiata da Pirandello che si impadroniscono della scena e iniziano a raccontarsi da sé.

Quella dei personaggi che acquistano una forma di autocoscienza è peraltro una delle operazioni di sdoppiamento più affascinanti della letteratura: il don Chisciotte di Cervantes, nella seconda parte dell’opera, scopre di essere finito nel libro di uno sconosciuto “autore moro”, che ne avrebbe raccontato le avventure. Quando lo viene a sapere si informa con scrupolo su come e con quale grado di verità (una verità che noi sappiamo essere fittizia) siano state rese sulla pagina.

Flann O’Brien, romanziere irlandese della prima metà del Novecento, nel 1939 diede alle stampe Una pinta d’inchiostro irlandese, scritto-matrioska nel quale i personaggi si ribellano ai capricci del loro creatore e si alleano per zittirlo.

Nella trilogia di Esbat, pubblicata tra il 2009 e il 2011, Lara Manni racconta di un’autrice di manga che si trova a tu per tu con il suo protagonista, deciso a sconvolgerle la vita e a ottenere un finale diverso per la propria storia. E se consideriamo che in realtà quello di Manni è un eteronimo, e che il romanzo è nato come fan-fiction ispirata a un longevo anime giapponese, il gioco si complica ancora.

E qui veniamo al nuovo upgrade nell’evoluzione della metascrittura, quando i personaggi escono dai confini dei libri che li hanno visti nascere e proseguono le loro vite altrove.

È successo a Chirù di Michela Murgia, romanzo la cui pubblicazione è stata preceduta, accompagnata e seguita da una pagina Facebook gestita dal protagonista, che ha svelato dettagli non presenti nella narrazione principale, e a Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, che non solo ha voluto portare al cinema la storia del giovane triestino inventato insieme a Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, ma ha immaginato per lui tre storyline diverse, sovrapponibili ma non uguali, destinate a tre diversi media (film, libro, graphic novel).

Strada simile è stata percorsa di recente da Chuck Palahniuk con il seguito di Fight Club, uscito come graphic novel per riprendere il filo della vita piuttosto assurda di Tyler Durden attraverso un linguaggio diverso (tocco di classe gigionesca: la presenza di Palahniuk stesso nei panni di un insegnante di scrittura creativa).

Infine si è cimentato con il genere, e siamo proprio ai giorni nostri — nostri nel senso di Speechless — anche Roberto Gerilli, prima con Questo non è un romanzo fantasy, pubblicato da Plesio Editore, e ora con la sua ultima fatica Vietato leggere all’Inferno, dove il ricorso al metanarrativo diventa più esplicito. Qui Gerilli costruisce un meccanismo efficace e spassoso dentro il quale, fra un’Italia e una Londra piuttosto simili a quelle contemporanee (tranne che per il non-insignificante dettaglio che la lettura è illegale), due antieroi finiscono col provocare un terremoto nel mondo dell’editoria.

Eleonora e Amleto percorrono il libro da un capo all’altro ragionando su cosa significhi poter leggere e volerlo fare anche a costo di mettere a repentaglio la propria sicurezza; si sballano a forza di capitoli, citano, vivono di letteratura e decidono che l’unico modo per evitare un presente fatto di TV e testi sacri approvati dal Governo è quello di diventare scrittori e dare alle stampe “il romanzo dei romanzi”. Una volta terminati l’opera e (forse) l’impresa, i due si ripresentano attraverso un sito internet e un account Instagram dove continuano a mescolare le loro identità fictional con la realtà nella quale vivono i lettori delle loro avventure.

La rivoluzione di Eleonora e Amleto è quella di ostinarsi a leggere e scrivere in una società che ha bandito la lettura e che rifiuta la trasmissione della conoscenza attraverso pagine di carta e di bit. Una società, a ben pensarci, non così distante da quella in cui noi “irrecuperabili sniffainchiostro” ci muoviamo oggi.

Siamo proprio sicuri che quelli immaginari… siano loro?

Quello che hai letto è il terzo articolo di una serie che racconta alcune curiosità e retroscena sul romanzo Vietato leggere all’inferno, pubblicato da Speechless Books e scaricabile gratuitamente online.
Nell’attesa del prossimo, che uscirà dalla penna di Alessandra Zengo, puoi recuperare gli altri due: Leggi… e fa ciò che vuoi di Pia Ferrara e Ho scritto un libro e forse morirò di Roberto Gerilli.

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Psicologa prestata alle lettere che l’hanno ceduta al giornalismo che l’ha sbolognata al copywriting che l’ha volentieri regalata al content management, Chiara Chinellato colleziona identità lavorative che alla fine si riassumono così: rielabora parole e pensieri (altrui, e qualche volta anche suoi) per trasformarli in contenuti più chiari e ordinati. La sua piramide dei bisogni fondamentali si sostiene su libri, gatti e wi-fi.

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