ChatBot, quando il futuro è già presente

Storia e sviluppi dei software intelligenti in grado di simulare una conversazione umana.

Elisa Iacovo
Innovation Eye
3 min readFeb 9, 2019

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Dal film “The Imitation Game”, 2014

È il 1927. Il visionario Fritz Lang fa il suo ingresso nelle sale cinematografiche con Metropolis. Qui appare, per la prima volta nella storia del cinema, un robot umanoide — Maria — a cui sarà affidato il compito di guidare la rivoluzione operaia contro i soprusi del ceto dominante. L’idea che sta dietro la figura dell’androide è la stessa che ha guidato la teorizzazione e progettazione dei ChatBot.

Nati come prodotto dell’Intelligenza Artificiale, i ChatBot sono assistenti non umani che utilizzano algoritmi matematici per restituire un dialogo strutturato all’utente. Nonostante la disciplina si aggrappi alla teoria del sillogismo aristotelico, la datazione della tecnologia è assai meno longeva. Nel 1936 Alan Turing progetta “The Imitation Game”, noto anche come “Test di Turing”, in cui un esaminatore umano, ponendo delle domande in forma scritta, deve identificare la natura del rispondente, se uomo o macchina; se la macchina supera il test viene riconosciuta come intelligente.

Nel 1966 è la volta di Eliza, progettata dal pioniere dell’intelligenza artificiale Joseph Weizenbaum, primo vero archetipo di ChatBot, ideato per simulare il comportamento di uno psicoterapeuta che permette di far progredire la conversazione in modo significativo. La storia dei ChatBot prosegue passando da Clippy, il Personal Digital Assistant di Microsoft Office con le sembianze di una graffetta rimasto in vita dal 1997 al 2007 (quando viene sostituito a favore di un’interfaccia più intuitiva) fino ad arrivare alla svolta di Siri, apparso per la prima volta su un iPhone 4s nel 2011.

Dal punto di vista tecnologico distinguiamo due categorie:

- I bot intelligenti, che apprendono e immagazzinano dati nel corso delle esperienze comunicative con l’utente;

- I bot semplici, sviluppati per rispondere a domande dirette e dirigere la conversazione in modo lineare.

App di messaggistica istantanea (IM) e social network offrono oggi un terreno fertile per lo sviluppo di queste tecnologie. Telegram, online dal 2013, a partire dal 2015 ha integrato una serie di Bot con funzionalità differenti che permettono, tra le altre, anche transazioni economiche per servizi di vario genere. Sulla stessa onda ha deciso di muoversi Facebook. Il colosso dei social network nel 2016 ha annunciato il rilascio su Messenger di oltre 100.000 bot eterogenei che supportano i pagamenti tramite PayPal.

Presenti ormai in tutti i settori, i ChatBot ricoprono un valido campo d’azione nel marketing e business online: molte aziende hanno integrato i software nei propri siti web per assicurare un’interazione immediata con i clienti e un’esperienza di vendita più intuitiva. Un report realizzato in collaborazione tra Drift, SurveyMonkey Audience, Salesforce e Mycleaver rivela come la chiave di volta dei ChatBot sia l’assistenza fornita 24h legata ad una tempistica di risposta praticamente istantanea. Tra gli altri vantaggi, la drastica riduzione dei costi aziendali e l’automazione dei processi: i ChatBot agiscono come dei database che immagazzinano i dati d’acquisto dei clienti e propongono loro soluzioni più efficaci e adeguate alle loro esigenze, generando un ritorno netto dell’engagement.

Da un punto di vista strettamente sociale, invece, la scelta di nomi quasi sempre femminili per queste tecnologie alimenta un dibattito, quello sul paradosso di genere, che non è ancora stato abbattuto. A tal proposito, uno studio condotto da Forrester Consulting per conto di Amdocs nel settembre 2017 rivela come, sebbene quasi la metà degli intervistati non esprima preferenze di genere, il 36% dei rispondenti preferisca interagire con Bot dai tratti femminili dotati — in ordine — di gentilezza, attenzione, serietà, simpatia e intelligenza. Secondo il report 2018 di Grand View Research, infine, il mercato globale del ChatBot dovrebbe raggiungere 1,25 miliardi di dollari entro il 2025.

Fritz Lang non si era poi sbagliato: il futuro è sempre più presente. A portata di mano. O di bot.

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