Detox

Detox yourself… from the allure of life on the Net.

nazzareno mataldi
12 min readOct 28, 2014
  1. Se c’è una cosa che più di ogni altra ti senti di rimproverare a internet, forse è l’eccessiva immediatezza: il troppo poco tempo che in genere passa tra l’insorgere di un bisogno — di esprimersi, comunicare, commentare, informarsi, interagire — e il soddisfacimento di quel bisogno, pigiando il tasto Invia, con conseguenze non sempre esemplari. Ci fosse uno scarto temporale maggiore tra l’insorgere del bisogno e il suo soddisfacimento, tutto sarebbe meno che un male. Ammirazione, allora, per chi pigia quel tasto Invia con estrema parsimonia e accortezza, sforzandosi di dilatare i tempi più che accorciarli, complessificando e arricchendo l’espressione di sé, non semplificandola, non banalizzandola in sterili e ripetitive caricature. Ammirazione, insomma, per chi continua o ha ripreso a fare un uso sapiente del blocco di carta, che sia per scrivere o prendere appunti, che sia per disegnare, che sia per incollare ritagli e fotografie.
  2. La Library of Congress che sta archiviando l’intera Tweetosfera per renderla accessibile agli storici di domani (se mai saranno capaci di ricavare qualcosa da questo mare sterminato di dati non strutturati). Tu che cancellando quasi tutti i vecchi tweet ti illudevi di fare una meritoria opera di pulizia, l’equivalente di accendere un bel falò purificatore.
  3. Galeotti i blog, nella loro epoca d’oro, per gli intrecci di conoscenze e amicizie — e, qua e là, amori — resi possibili. E prima ancora le mailing list. E andando ancora più indietro, per qualcuno forse anche BBS, IRC, ICQ e bacheche elettroniche varie. Per tanti utenti internet della prima o seconda ora, insomma, i social media arrivano ben ultimi come canali di interazione online. Da qui, probabilmente, anche un certa resistenza — per i più avveduti — a non farsene prendere troppo, con l’idea di avere già dato. Un’idea del “già dato” che però non vuole significare non stare e non interagire e non giocare più in rete. È solo la consapevolezza di un bisogno di prendere e vivere tutto con maggiore maturità, più in linea con la propria età anagrafica — dopo che l’arrivo di internet ha fatto sì che i non nativi digitali ridiventassero, per tanti aspetti, tutti un po’ bambini o adolescenti, in certi casi anche molto più di chi lo era o lo è veramente. E d’accordo che, anche a prescindere da internet, la società ha visto negli ultimi decenni una diffusa infantilizzazione degli adulti, parallela a una crescente adultizzazione degli adolescenti e degli stessi bambini. Ma ciò non toglie che sia opportuno, per così dire, darsi qua e là “una regolata”.
  4. Detox, detox, detox yourself… from the allure of life on the Net. Facilissimo a dirsi. Ma un’impresa pressoché impossibile, mancando di carattere. Perché appena ci ricaschi, dopo ogni piccola pausa, trovare la forza di staccare e mantenere una giusta distanza diventa sempre più complicato. A oggi la cosa più semplice, malgrado il pessimo punto di partenza, è stato ridurre al minimo le email, lette e scritte. La passione per giochi, chat e cavolate varie per fortuna non c’è mai stata. Ma sottrarsi al richiamo di questo o quel link, questa o quella foto o frase, che fatica. E se la domanda è “Ma sottrarsi perché? Basta fare tutto con la giusta misura”, la risposta è che la “giusta misura”, anzi proprio l’idea di “giusto”, varia da persona a persona, è tra le cose più soggettive che ci siano (oltre a variare da momento a momento). Non esiste, quindi, un modo “giusto” e univoco di rapportarsi alla rete: dipende dalle persone. C’è chi riesce a viverla serenamente (e buon per lui/lei), e chi la vive in modo conflittuale, amandola e odiandola di pari passo perché crea in lui/lei una forte dipendenza che ne esalta allo stesso tempo i lati migliori e peggiori. E se senti di appartenere alla seconda categoria, senti anche il bisogno di periodiche “disintossicazioni” o prese di distanza, per riguadagnare una giusta misura, la tua giusta misura del momento.
  5. Per lungo tempo sul tuo blog ti sei attenuto alla regola ferrea di non più di un post al giorno e non più di venti al mese: in parte per non dare a chi leggeva l’idea che stessi sempre lì ad arzigogolare e perdere quantità esagerate di tempo dietro a questa o quella fissazione; ma soprattutto per disciplinare un po’ di più te stesso (per quale altro motivo, altrimenti, quasi di punto in bianco avresti mollato le mailing list, nelle quali pure eccellevi?). Insomma, per non sbracare e scadere. Che poi la regola l’aggirassi di continuo appoggiando i post in eccesso o non giudicati degni della vetrina principale su un blog spalla, minore, è un altro discorso. Ma sul blog ufficiale non si sgarrava: facevi magari i salti mortali, scartando o accorpando periodicamente i post di troppo per lasciare lo spazio a qualcuno nuovo o viceversa reinserirne di vecchi che ti piaceva avere lì in sequenza; alla fine, però, i conti dovevano tornare sempre. Con l’arrivo invece di Tumblr, Twitter e Facebook, sbraco semi totale. Per meglio dire: sulla spinta di un esempio pressoché generale, la tendenza a sminuzzare e dissipare e svariare ha avuto la meglio sull’esigenza di concentrare e consolidare, non divagando e non disperdendo oltre un lecito consentito.
  6. la testa fa tilt / di link in link saltando / la rete va giù
  7. La digitalizzazione: magari avercela avuta almeno dieci anni prima! Il punto è che bisogna mettere in conto anche i risvolti negativi, tenendo sempre ben presente che ogni innovazione e ogni rivoluzione hanno vincenti e perdenti, mestieri e attività che nascono e altri che muoiono, vantaggi che si acquisiscono e altri che si perdono. A livello di crescita individuale internet è sicuramente fantastica; bisognerà però vedere nel più lungo periodo (ancora è troppo presto per dirlo) che effetti avrà avuto nel tessuto sociale, se sarà stata più elemento di arricchimento, condivisione, aggregazione e coesione, o se all’opposto avrà favorito le già forti spinte disgregatrici, il determinarsi di tante micro-nicchie, la perdita di quella massa critica di idee, saperi e costumi condivisi che è indispensabile per la buona tenuta di una società. Cioè, tutta questa frantumazione, le irrefrenabili spinte egomaniache, il costruirsi ciascuno di noi un suo piccolo mondo, il venir meno di tanti vecchi punti di riferimento ancorati alla realtà concreta, materiale, corporea, alla lunga ci avranno fatto più del bene o del male?
  8. Annotavi, probabilmente nel maggio 1992, su un blocchetto di carta riciclata: «La televisione è un guaio. Per quanto uno voglia tenersene lontano, quella sta sempre lì ad ammiccarti, a cercare di distoglierti da occupazioni più “serie”. Molto meglio la radio, anche se stai senza far niente sdraiato sul letto a guardare il soffitto, puoi sempre pensare e immaginare a modo tuo. Con la tv è un’altra cosa, sei schiavo delle immagini che ti vengono proposte, spesso nemmeno belle oppure falsate e illusorie e che addormentano il cervello. Il cinema è diverso, uno va là di propria scelta e cerca di ricavarne impressioni, sensazioni, stati d’animo modificati. Ci si va per ridere e anche per piangere; per assentarsi da sé o per ritrovare sé nell’oscurità della sala tra i vuoti delle poltrone e le voci e i suoni dallo schermo; o anche per il bisogno di vivere un momento di solitudine collettiva, di veder scorrere via due ore, di uscire, semplicemente, e inoltrarsi per le luci della città di notte». Vent’anni dopo rimpiangi la passione per il cinema di allora e, spesso e volentieri, maledici che il posto della tv sia stato, per tanti versi, preso da internet. Non che la rete addormenti il cervello (l’opposto, indiscutibilmente; lo tiene cioè in uno stato di costante e frenetica attività. Alla lunga tutt’altro che un bene, fuori di dubbio) o ti bombardi di immagini falsate e illusorie (cioè, un po’ sì, ma meno di certa tv commerciale di anni addietro). Ma che ci abbia rinchiuso ancora di più dentro le nostre case, dentro le nostre stanze con uno o più computer stabilmente connessi a una linea Adsl, è difficile da negare. È indiscutibile che con internet abbiamo guadagnato molto in termini di informazioni, conoscenza, libertà e interazioni, solo per dirne alcune. A eseguire però un calcolo minuzioso anche delle perdite e dei cambiamenti in peggio nei nostri modi di fare e di essere, chissà se il bilancio sia davvero così positivo.
  9. Rileggersi ad anni di distanza nelle cose scritte in rete e, nonostante la discutibile logorrea, avercela non tanto con il cosa quanto con il come. Con la fretta, in particolare; con la smania; con la cura insufficiente, malgrado tutte le apparenti attenzioni. E nella scrittura, in rete come altrove, è proprio questo il peccato maggiore, imperdonabile: la foga, la precipitazione, la sciatteria, la sufficienza. Senza una cura adeguata, anche il testo animato delle migliori intenzioni non è degno che di scarsa considerazione. Né più né meno che, da sempre, ogni cosa al mondo.
  10. Tutti questi tuoi pensierini-ini-ini, per fermare i quali hai bisogno di fogliettini-ini-ini. Sapessi dire di più, scriveresti su dei quaderni grandi, magari a righe. Scarabocchi invece blocchetti di carta grigiolina, riciclata, sottile. Appunti quelle due o tre frasi che ti vengono di getto, poi agglutini un po’, esaurisci un lato del foglietto, lo pieghi, prosegui sull’altro. Finito anche questo, tra una cancellatura e un’aggiunta, hai bello che finito di scrivere. Stacchi allora il foglietto, lo lasci riposare per qualche ora o giorno. Lo rileggi ogni po’ di tempo. Se ti soddisfa, ne fai un post-ino-ino; se no, lo stracci. Alla fine, è sempre così
  11. A mettere in fila tutto quanto uno legge, sente, vede, linka, cita, scrive, pensa, fa, che cosa viene fuori? Oibò, un gran stordimento.
  12. Ci si espone anche al ridicolo (che sia in una cerchia ristretta di “amici” o tra perfetti sconosciuti poco conta) con quello che via via si appunta online, per fissare/condividere quanto passa per la testa in un dato momento, sia significativo e apprezzabile o (ed è il più delle volte) no. Ma come dice Claudio Magris in un passo di Danubio, con il semplice gesto di annotare qualcosa ci sentiamo forse meno sperduti e soli e, per certi versi, la vita finisce per apparire meno insulsa e vuota, ricavandone così ogni volta quella piccola spinta indispensabile per andare avanti.
  13. Le nuove coordinate che periodicamente cerchiamo, venute a mancare le vecchie, per consunzione o abbandono.
  14. Questo bisogno reiterato di cambiare (pure blog), questo non arrivare mai a un’espressione compiuta e stabile di sé: che non siano anche una spia della natura camaleontica e di fatto irrisolta di ogni traduttore?
  15. Il problema di trovare la sintonia fine, che sia nella resa di un testo e in altri contesti o discorsi.
  16. Una benedizione la rete, con tutte le sue possibilità, ma anche una dannazione, una condanna, senza mai un vero punto fermo, stabile. E se le idee sulla carta sono difficili da modificare (Weinberger dixit), quelle sulla rete sono in vorticoso divenire, come noi che ne siamo parte.
  17. La necessità — sul fronte tecnologico — di essere moderni, aggiornati, al passo con i tempi. Ma anche la voglia e la tentazione, insopprimibili, di essere vagamente, blandamente rétro. Il vizio ricorrente, allora, di due passi avanti e uno indietro. E, in certi momenti, il bisogno di stare quanto più fermi, indolentemente. Come dopo una nevrastenica, schizzata corsa in avanti — o all’indietro.
  18. Il bisogno continuo di ritararsi, esplorare e mappare nuovi territori, sperimentare e progressivamente correggere il tiro, anche a rischio di tornare poi in parte sui propri passi.
  19. Alla fine si riduce quasi tutto a una questione di scelte, a che cosa meriti di più l’investimento del nostro tempo e delle nostre capacità.
  20. Bisogna saper scegliere nella vita: essere dentro o essere fuori. Stare lì lì sulla soglia a osservare, una volta un po’ dentro e una volta un po’ fuori, non si può. Soprattutto, bisogna capire quando è ora di cambiare: marcia, stile di vita, sport, passatempo ecc. Nella vita, come correndo, non si può andare sempre dello stesso passo e sugli stessi percorsi; pause e variazioni, come accelerazioni e frenate, fanno parte del gioco.
  21. Il bisogno di rarefare e allungare, di darsi il tempo e il modo di capire, meditare, esprimere. Perché non siamo centometristi e il pensiero va riscaldato, allenato, propiziato.
  22. Non basta leggere, come non basta pensare, come non basta fare. Non basta, ma è necessario. Come è necessario innanzitutto studiare, imparare, osservare, ascoltare, imitare e anche un po’ (tanto) meditare.
  23. Il silenzio, il silenzio… un uso — e consumo — più parco delle parole, please! Parrebbe una richiesta e una decisione semplice da ottemperare; nel mondo di oggi, invece, è delle più indicibilmente difficili. Hai così voglia ad annunciare in rete che «dopo il frastuono del di tutto e di più… il silenzio… per qualche settimana mi propongo di staccare totalmente da qui». Basta infatti il minimo cedimento rispetto alla volontà dichiarata di stare un poco più raccolti e quieti — una cortesia, una celia — e una valanga di parole è lì pronta a riversarsi su di noi o a uscire da noi. Il silenzio, perciò, questo miraggio oggidì, questa mèta spesso irraggiungibile, per quanto desiderata o desiderabile, per conseguire la quale bisogna essere decisi a rinunciare a molto, dando allo stesso tempo prova della massima indifferenza e del massimo egoismo. Il silenzio, insomma, che spinto all’estremo non è nemmeno tutto questo gran splendore, ma in tante occasioni ci attrae potentemente e ci trasporta via, finendo al dunque per rigenerarci.
  24. L’idea che si possano — anzi si debbano — diradare periodicamente i contatti e gli scambi, per meglio arrivare a conoscersi, ad autodefinirsi. L’idea, anche, che in tante occasioni ci si possa — anzi ci si debba — sganciare da internet, dai cellulari, dalle reti e dai dispositivi digitali, per cercare di ritrovare e ristabilire un contatto migliore con il reale, oltre che con se stessi. L’idea, infine, in fondo, che tutto questo interagire a distanza, attraverso canali elettronici, spesso non serva a granché, non producendo nei fatti vere modificazioni dell’io e del noi, se non in chiave spesso deteriore, con la mera illusione di assistere a un cambiamento serio, di sostanza, quando in realtà lo è quasi soltanto esteriore o comunque non tale da incidere in profondità e con effetti duraturi e rilevanti nella vita pratica, dove le stratificazioni del passato sono dure da scalfire, erodere e progressivamente rimuovere, disegnando con il tempo il profilo di nuove valli, pianure, colline e montagne. L’idea, insomma, in concreto, che ci sia ancora moltissima strada da fare, più dentro che fuori di noi.
  25. Don’t be lifeless, don’t be lazy, don’t be stupid! Move, ride your bike, hike, climb, dive, swim, run, walk or play — if you can. And you can! Love, above all, things and people and places you’re passionate about!
  26. Sono stanchi i tuoi occhi, iniettati di sangue la sera, e incrinato l’umore, provato, prolungando le sedute davanti a un computer. E l’eccitazione per tutto quello che leggi e che scrivi o traduci non ti ripaga della luce naturale che perdi, dei colori di fuori che non vedi, dei suoni che non senti, dei sorrisi, le carezze, gli abbracci e i baci che non ricevi e non dai.
  27. Le sere e le mattine che rivuoi quanto più per te, via dalla smania di stare incollato a uno schermo a controllare le ultime news, gli ultimi aggiornamenti di stato, gli ultimi post, le ultime email promozionali.
  28. Una forma di resistenza non lasciarci schiacciare dal presente, dalle sue ombre limacciose, dalle sue idiozie ricorrenti, dalle sue perduranti malattie. Una forma di resistenza anche non indulgere in nostalgie vane e false idealizzazioni passatiste. Una forma di resistenza leggere e studiare e pensare e argomentare e ideare e progettare e realizzare. Una forma di resistenza immaginare e sviluppare una storia o soltanto fissare un’impressione, un pensiero, un’immagine. Una forma di resistenza cercare di allungare il respiro di tutto ciò che facciamo. Una forma di resistenza sforzarci di amare ogni giorno un po’ di più.
  29. È la disciplina che manca, verrebbe da dire; un darsi e rispettare delle regole, un metodo, una prassi. Ne rifuggiamo, invece, ne facciamo a meno, volutamente e no, improvvisando e tamponando alla meglio le tante falle, ricorrenti, insistenti. Ma non dovremmo farcene un vanto.
  30. L’obiettivo professato, da ultimo, è giorno dopo giorno abbassare il livello di inquinamento emozionale e mentale, grazie a un ridotto input informativo, e recuperare così una maggiore fluidità del pensiero. Provarci si può, si deve. Riuscirci esige tuttavia una disciplina che, per come siamo fatti o come siamo diventati, è di per sé un’impresa. Ma disciplina è anche sforzarci di trovare una linea di continuità tra le idee, i pensieri, i ragionamenti che si accendono nella nostra testa e, se siamo nella vena giusta, poi portiamo avanti. Non si può cioè scrivere — anche su un blog, di fatto — tutto quello che viene in mente, come viene in mente, ma è necessario che si delinei e sviluppi una sequenza. Senza, siamo sempre lì, eternamente alla mercé delle bizze del momento. E soddisfatti/felici, alla fin fine, solo così così.

Già pubblicato su nazzarenomataldi.com, a partire dal 22 gennaio 2013. Prosegue idealmente qui su L’ossessione.

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nazzareno mataldi

freelance literary translator, with strong roots in farming, and, in his spare time, this and that