Cosa sta succedendo sull’isola di Mauritius

Gaetano Gorgone
5 min readAug 11, 2020

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Fonte satellite Maxar

Un titolo che fa molto Il Post, una testata a cui mi ispiro molto, una delle poche in Italia che fa informazione seriamente e con questo tipo di aperture vuole realmente spiegare quanto sta succedendo. Sono contento di aver colto l’occasione di citarli in questo incipit per il mio primo pezzo su Medium, perché quella è proprio la direzione che vorrei seguire. Detto questo, parlare di un evento che mi sta a cuore e che, al contempo, ha ricevuto minore visibilità rispetto a quanta effettivamente ne meritasse, mi sembra doveroso. Chi mi conosce, sa che io e l’ambiente abbiamo un rapporto estremamente profondo e assolutamente non superficiale e “di facciata”. Non è un caso se il consiglio relativo a questo tema è arrivato tramite le mie storie di Instagram (da buon 2004, quale sono), da parte di un mio compagno di classe, che ha potuto appurare la mia partecipazione attiva alle manifestazioni contro il cambiamento climatico (FFF e non solo). Su questo potrei aprire un capitolo a parte, ma non mi dilungherò, visto che ho qualcosa di più interessante da dire.

Ho sempre l’impressione che la catastrofi naturali, nel nostro paese suscitino meno interesse di cosa si dicano a cena Ibrahimovic e Diletta Leotta. Il punto è che non credo (e spero) sia soltanto una mia impressione…

Fate voi…

Quello che sta accadendo in Mauritius meriterebbe più di un repost sui social, accompagnato da qualche faccina triste e da un paio di hashtag. In un paradiso terrestre, degno di essere etichettato come tale, che probabilmente conoscerete per qualche viaggio a tempo perso su Google Earth o simili, una nave cargo giapponese, incastratasi nella barriera corallina ormai più di due settimane fa, ha creato un danno abbastanza grave da costringere il governo del posto a dichiarare l’emergenza ambientale. La portarinfuse asiatica, denominata MV Wakashio, era una bomba ad orologeria da 4 tonnellate di carburante, che qualche giorno fa, in seguito all’incidente, è iniziato a fuoriuscire. La perdita ha raggiunto dimensioni considerevoli e va arrestata al più presto, in quanto, qualora la nave si spezzasse e/o l’intero suo contenuto si riversasse in acqua, ci sarebbero i presupposti per devastare e far scomparire uno dei fondali, e forse degli ecosistemi, più belli del nostro pianeta. Le immagini che ci giungono dall’Oceano Indiano non sono però incoraggianti. Sembra quasi che un enorme octopus, da film di fantascienza, si stia divertendo a spruzzare inchiostro accanto al relitto del container. In realtà, il quadro è ben più serio e reale: è stato vietato l’accesso alle spiagge e alle lagune della costa sud-orientale dell’isola e le conseguenze potrebbero essere molteplici.

Cosa sappiamo del disastro

Il mare mosso, che era stato il principale motivo delle crepe formatesi sul mercantile, ha impedito inizialmente qualsiasi tipo di intervento sul posto, ma adesso aiuti internazionali e volontari si stanno mobilitando. Anche abitanti del luogo stanno provando a mettere una pezza come possono e limitare i danni, già sicuramente permanenti.

La nave si era arenata, e successivamente incagliata, a 2 chilometri dalla costa meridionale orientale della repubblica isolana, a causa del maltempo. L’intero equipaggio era stato evacuato e portato a terra, mentre erano stati scongiurati inizialmente dei rischi di perdite.

Le autorità del posto hanno incaricato i pescatori di tentare di pulire, per quanto possono, le acque, chiudendo l’accesso al pubblico nelle aree di Blue Bay, Pointe d’Esny e Mahebourg. Circa una dozzina di scuole in quell’area sono state chiuse, almeno fino all’inizio della prossima settimana. Gli stessi pescatori, insieme ad altri volenterosi cittadini, si sono organizzati per prendere comunque le giuste precauzioni contro il dilagare della pandemia da Covid-19.

La Wakashio, un’imbarcazione di quasi 300 metri del 2007, stando a quanto riportato dal New York Times e tracciato dal servizio Marine Traffic, era sulla rotta dal Brasile verso la Cina. Il colosso era stato costruito in Giappone, paese che attraverso vari organi sta già cercando di rimediare all’accaduto, ed era battente bandiera panamense. Una fonte non verificata afferma che il carico fosse coinvolto del facoltoso commercio del minerale di ferro, che ha scatenato una guerra fredda sull’export da parte di Brasile ed Australia, nella quale sarebbe coinvolta incolpevolmente l’isola di Mauritius.

Delle 4000 tonnellate di carburante trasportato, oltre alle 200 tonnellate di diesel a bordo, 500 sono state portate in salvo, tuttavia, purtroppo, altre 1000 sono già finite nelle acque mauriziane. La compagnia giapponese, proprietaria della fucina inquinatrice, non ha fatto sapere né se contribuirà alle spese per le pulizie ambientali, né se risarcirà lo stato per il danno commesso. Intanto, sulle conseguenze, già palpabili, in molti si tengono vaghi, forse consapevoli del potenziale dramma, soltanto parzialmente emerso sinora.

I ministri mauriziani fanno sapere che il paese non ha le risorse per affrontare l’emergenza, l’ambasciatore europeo della nazione si è detto preoccupato per la sopravvivenza della biodiversità nella zona. L’economia di Mauritius trae dalla pesca e dal turismo gran parte del proprio sostentamento, alle celebri spiagge paradisiache, si aggiungono delle località famose per i tuffi e lo skydiving.

Non esiste un metodo totalmente sicuro per estrarre il carburante dalle acque, lo ha affermato l’attivista Happy Khambule, manager di Greenpeace in Africa, una delle associazioni più attive in merito alla tragica vicenda. Lo stesso esponente della no-profit, ha riconosciuto la concreta messa a repentaglio dell’incolumità di alcune specie tipiche di quelle lagune.

Che vi stia simpatica o meno, pure Greta Thunberg ha sfruttato la sua visibilità per dare voce a quanto sta accadendo da quelle parti, facendo eco al grido di aiuto lanciato da Fridays For Future Mauritius. L’associazione ambientalista nazionale ha condiviso il link di un crowdfunding affidabile ed aperto a tutti.

La preoccupazione in merito al tema, slegata dall’evento, riguarda il traffico sregolato di questi enormi tir del mare e ai loro carichi costantemente ad alto rischio ed inquinanti. Non solo, quello delle Mauritius non è il primo, né sarà l’ultimo drammatico episodio di questo genere, seppur le dimensioni di questo qui siano davvero spropositate. Nel dicembre 2019, una collisione aveva causato del rilascio di diesel nelle acque delle splendide Galapagos. Qualche mese fa, ancora diesel, in quantità clamorose di 20 mila tonnellate, rimase in un fiume nel Nord-Est della Siberia, in una dei disastri ambientali più catastrofici della storia della Russia (Chernobyl a parte), del quale si è parlato poco o nulla. E non è finita qui, sulle coste dello Yemen, una petroliera in decomposizione minaccia di riversare un milione di barili (!!) di greggio nel Mar Rosso, le Nazioni Unite sono state avvertite e dovranno agire al più presto.

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