Performance e competizione: ode alle cose fatte al tuo ritmo e non per impressionare o battere qualcun altro

La cultura Occidentale contemporanea si basa profondamente su questi due concetti: performance e competizione. Dobbiamo essere sempre produttivi, sempre primi, sempre al top. In questo modo, ci garantiamo di essere al di “sopra” di qualcun altro, che sia in una classifica sportiva o in un organigramma aziendale.

La domanda che mi pongo, granitica nella sua banalità, è: cui prodest?

A che pro, a chi giova, ci rende felici questa brama continua dell’eccellenza, della promozione di carriera, della velocità, dell’efficacia, del successo inteso alla maniera di “American Psycho”? O ci rende solo più insicuri, frustrati, costantemente alla ricerca di approvazione e di un nepente al dolore per il nostro tempo perduto, per le passioni e gli affetti trascurati?

Performance sportiva, vita e tempo: lento è sempre peggio?

Ci stavo riflettendo giusto stamattina mentre facevo una delle attività che amo di più al mondo: scarpinare in montagna. Su un sentiero ben noto della bellissima zona del biellese, proiettati in alto verso un poggio avvolto nelle nuvole su un percorso oggettivamente ripido, mi sono chiesta se stessi andando al mio passo. Avevo il fiatone, i quadricipiti doloranti e una voglia pazza di fermarmi: a bere, ad ammirare la valle assolata sotto di noi, a fare foto ai meravigliosi fiori spontanei — genziane, crochi, qualche dente di leone — di cui il pendio era ricco.

… almeno una foto alle genziane, però, mi sono fermata a farla :)

E invece no, procedevo il più velocemente possibile, angustiata all’idea di essere la zavorra, dato che chiudevo la fila, di essere la più lenta del gruppo, che sfigata, ma perché non riesci ad andare più rapida, perché non sei mai la prima della “cordata”?

Perché se il ritmo dovessi darlo io, andremmo molto più piano — mi sono detta.

Ma questo è male? Andare piano, in generale, nella vita, è sempre un male?

La voglia di fare le cose più rapidamente, in modo più performante, di “risparmiare tempo”, come se fosse una moneta da scambiare, come se non scorresse comunque, ce l’abbiamo tutti.

Se il cartello che indica il sentiero dice che ci vogliono 2 ore e 30 minuti ad arrivare in cima, la prima cosa che pensi è: io posso farlo in 1 ora e 45 minuti, vuoi vedere?

E inizi a correre, a faticare, per non darla vinta… al cartello.

Ditemi se non c’è del malessere in tutto questo. Bella la sfida contro i propri limiti, c’è chi vive di questo ovviamente, chi fa lo sportivo di mestiere, ad esempio.

Ma per me, che vivo questa attività come uno sfogo, un momento di relax, di fuga nella natura, beh: forse il parametro della velocità, dell’efficienza, non ha alcun senso.

Anche perché finire prima il percorso si traduce, invariabilmente, con il tornare a casa prima. E tornare a casa prima significa che poi accendo il PC, lavoro o mi metto a scrivere i miei sproloqui che — ok, in parte è un’ottima ed economica psicoterapia — non ha molto senso, dato che stare seduto davanti a un computer è ciò che faccio per tutta la settimana lavorativa.

Forse era meglio metterci di più, sedersi in un prato e osservare il cielo per un’ora… ma io per prima non ci riesco, dopo pochi minuti di pausa voglio ripartire, voglio arrivare, voglio concludere. Perché? Perché abbiamo questa fretta interiorizzata ormai, questa spinta costante a spuntare cose da una to-do list.

Competition is a way of life (purtroppo)

E poi c’è l’altro tema: non si tratta, infatti, solo di una lotta contro i propri stessi limiti ma, spesso, di una vera gara contro “gli altri”. Anche se una gara non è.

Se ci pensate, ci mettono in competizione fin dalla più tenera età: quale infante ha parlato o camminato prima, chi ha i migliori voti a scuola, chi fa più “il bravo”, chi finisce prima l’università, chi viene paragonato a fratelli/sorelle, chi si sposa/moltiplica entro una certa età.

Come se la nostra vita fosse fatta di tappe da bruciare, di fasi da completare necessariamente in un certo lasso di tempo, pena la squalifica, come in un videogioco o come il passaggio ai cancelli nelle gare di trail running.

La nostra vita, però, non è il Tor des Géants.

Eppure sei sempre lì, a paragonarti agli altri, a valutare te stesso non sulla base di ciò che ti rende/renderebbe felice ma sulla base di canoni altrui, di parametri socialmente riconosciuti, di tempistiche stabilite da altri.

Non ho una soluzione a tutto questo, non so come rallentare, non ancora, ma vorrei provarci. Vorrei riuscire a non fare passeggiate con il mio cane fatte di “muoviti, andiamo” e piccole tirate di guinzaglio.

Vorrei imparare dalla mia amica discendente dei lupi, la mia splendida Australian Shepherd di 3 anni, a fermarmi ad annusare l’aria o a contemplare l’orizzonte, se ne ho voglia, per ricordarmi che — in realtà — esistono solo il qui e l’ora.

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Greta | Consulente Digital MKTG & Comunicazione

Da 14 anni nel settore Comunicazione&Marketing, focus sul Digital. Strategia Comunicazione | Media Relation | Blog | Contenuti | Eventi | Social | Formazione