Cromofobia: perché abbiamo paura di usare i colori

Total black, total white, o cinquanta sfumature di grigio: viviamo in una società che non sa più utilizzare i colori?

Ludovico Pincini
5 min readMay 20, 2019

Circa tre anni fa compravo (sì, preferisco la carta al Kindle) e leggevo un libro di David Batchelor dal titolo “Cromofobia”. Copertina tutta bianca, ovviamente. Non ho potuto non ripensare a questa illuminante lettura quando di recente mi sono trovato a progettare la palette cromatica per il brand di un cliente, non senza fatica nel cercare di convincere l’azienda a darsi un tono e un posizionamento anche attraverso l’uso dei colori.

Guardandomi un po’ in giro, sia nel panorama del design ma anche e sopratutto nella vita di tutti i giorni, questo episodio mi ha condotto a una riflessione quanto mai attuale.

Da dove deriva questa consuetudine sociale per cui si crede che i colori sgargianti siano popolari, e l’uso di bianchi, neri e grigi sia sinonimo di buon gusto?

Già il buon Winkelmann a suo tempo si era abbagliato ritenendo che le statue greche fossero bianche, e non riccamente colorate come in realtà erano, adducendo al colore bianco attributi di candore e purezza quale ideale della bellezza della classicità. Usando una metafora, diceva che le statue erano «come l’acqua di una sorgente, che tanto meno sapore ha, tanto più viene ritenuta pura».

Statua di Augusto di Prima Porta (sx) e sua ricostruzione a colori (dx).

Questo incidente storico, pietra miliare per gli studiosi dell’arte, è solo una dimostrazione di come i colori e il loro uso siano nella nostra società affetti da un latente pregiudizio di tipo culturale, che mina la credibilità estetica di chi li usa e degli oggetti che danno loro dimora. Ma questo pregiudizio non nasce certo nel Settecento con Winkelmann, perché già Aristotele un paio di millenni prima aveva scaricato il colore a favore del concetto di linea, sostenendo che un disegno a colori, anche con le migliori cromie, non dà mai lo stesso piacere di un disegno in bianco. Da Aristotele a Kant, a guardar bene nei secoli non molto è cambiato.

La serietà culturale e artistica sono sempre state associate a tinte neutre come i bianchi, neri e grigi. Mentre i colori invece vengono associati a un immaginario che può andare dall’infantile, al plebeo, fino ancora a qualcosa che è strano, sospettoso o indice di decadimento morale.

Non è un caso, nota David Batchelor, che nell’universo delle droghe si parli di “discesa nel colore”, di discesa in un mondo psichedelico dove i colori sono portati all’estremo e costituiscono l’universo stesso. Il colore è, per certi versi, provocazione. E lo sanno bene i designer postmoderni, che in opposizione a una freddezza e una monotonia cromatica del modernismo, hanno preferito non lesinare sull’uso dei colori nelle loro opere [vedi sotto]. Una provocazione che anche di recente sta avendo la sua voce grazie al nuovo stile “Experimental Trash” (qua l’articolo), emblema dello scherno e dello sberleffo nei confronti di una grafica tradizionale e cromaticamente piatta.

Casa in stile postmoderno con collezione di oggetti del gruppo Memphis.

Questa paura del colore è impercettibilmente onnipresente, dagli interni sbiaditi delle nostre case fino all’abbigliamento che la società ci impone. La sposa è bianca; lo sposo è sempre grigio, nero, oppure blu scuro. Proviamo ad aprire un giornale? Bene, guardiamo politici, uomini d’affari o chiunque debba incarnare un ruolo che impone compostezza e serietà: colori neutri ovunque, che al massimo concedono dei blu o dei marroni scuri. Non c’è quasi traccia del colore, e dove appare, questo fa storcere il naso.

Siamo riusciti nell’intento di de-colorare la società. Ogni giorno che facciamo una scelta cromatica, fosse anche solo per cosa indossare, rinforziamo il pregiudizio per cui i colori vanno evitati o siano associati solamente ad ambienti poco seri.

Questo stereotipo del mondo occidentale è tanto più evidente se facciamo un confronto con la cultura orientale, dove i coloristi dagli occhi a mandorla, per tutta risposta, sono in grado di sfoggiare una palette cromatica molto più estesa e variopinta della nostra senza sentirsi per questo inferiori.

Se nel tempo il colore è stato relegato da filosofi e artisti a qualcosa di accessorio e secondario, a una cosmesi di qualcos’altro su cui andare applicato, è piuttosto vero il suo contrario. Come i margini bianchi in un libro valorizzano il contenuto, in un progetto visivo il colore dà carattere e sostanza all’oggetto dell’artefatto, facendosi vettore di significati, o ancora a volte essendo esso stesso il cuore del progetto. Si pensi banalmente a un grafico in cui ogni colore indica una qualche misura: la decodifica dell’informazione non può non passare inevitabilmente per il colore, e questo lo rende tutt’altro che accessorio.

Senza dover per forza provocare con l’uso del colore, va tuttavia rotta e combattuta l’associazione di quest’ultimo con l’appartenenza a una cultura bassa e popolare (ce lo insegna perfino Queen Elizabeth). Anzi, saper usare i colori è abilità raffinata e di classe, ma non per questo necessariamente elitaria. L’errore più grande oggi è la paura di sbagliare accostamenti, di avere un’ansia da prestazione cromatica che ci porta a usare tinte neutre e decolorate pur di non doverci esporre al giudizio altrui. Perché chi non si fa notare, alla fine, non sbaglia mai. Lascio qua sotto, a mo’ di monito e un po’ per ispirazione, una mazzetta Pantone con gli outfit della regina, recuperata casualmente dal magico mondo dell’Internet.

Pantone Queen // 60 Years Of Matching Colour

Dobbiamo ridare al colore la complessità e il posto che questo merita nel mondo dell’estetica e delle arti. Bisogna imparare a rigettare con la pratica quotidiana l’equazione per cui colore = bassezza culturale. Che sia un progetto di graphic design o la scelta dell’arredo del salotto, è importante sapere che i colori sono dotati di una grande forza espressiva e che raccontano silenziosamente molto di più di quello che possano fare le tinte acromatiche e le scale di grigi.
Si possono usare i colori anche senza essere esteticamente volgari o cromoarroganti. Si possono usare senza essere inutilmente chiassosi. Non solo si possono, ma si devono usare, per non morire di noia.

Vuoi sapere quali sono i colori più di tendenza del 2019? Potrebbe interessarti questo articolo: I 10 trend che domineranno il graphic design nel 2019

By Ludovico Pincini, graphic designer, Milan
www.ludovicopincini.it

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Written by Ludovico Pincini

Graphic designer based in Milan 🇮🇹 Fighting everyday against ugliness.

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