Il Dilemma Morale del Calabrone sul Po — Introduzione
Ho chiamato la mia tesi di laurea “Il Dilemma Morale del Calabrone sul Po”.
Ho scritto nei ringraziamenti “Ringrazio la commissione che mi darà il massimo del punteggio” — anche se qualche buon’anima me l’ha fatto cancellare prima di consegnarla.
L’ho scritta quasi tutta in prima persona.
“da Michele Grazioli” è la fonte principale dell’opera.
Parla di un argomento ma in realtà è un’allegoria perché sta descrivendo un’altra cosa.
Nessuno dei due argomenti è collegato direttamente al mio corso di laurea.
Non pensavo di potermi laureare così presto quindi non avevo pensato di scriverla, salvo poi farla in un paio di notti.
Pare che mi abbiano dato davvero il massimo del punteggio per la tesi.
Ma — di gran lunga — la cosa più stramba è che è già passato un anno anche se sembra una vita fa. E, per festeggiare, ho deciso di pubblicarne l’introduzione.
“Prego Dott. Grazioli, La aspetta nel suo ufficio”.
Sarebbe importante sottolineare (e forse superfluo, ndr) che dottore ancora non lo sono, ma un imprenditore discretamente noto nel Nord Italia mi aspettava e non amo fare tardi.
“Ho sentito dottore che Lei è un esperto di intelligenze artificiali”.
Esperto forse è troppo, ma era da qualche anno che mi dilettavo in quel settore.
“Mi hanno parlato molto bene di lei”.
Non che non mi faccia piacere, ma cominciare una trattativa con un complimento non è da industriale navigato e questo mi insospettiva.
“Arriviamo al dunque, vorrei un’intelligenza artificiale per mio fratello perché vede, lui è un po’ tardo e non ci arriva tanto”.
Grazie e arrivederci.
Introduzione
Non è probabilmente necessaria questa storiella per capire che la comunicazione presuppone che gli interlocutori condividano un dizionario comune, ma sicuramente significativo è rendersi conto che, in un contesto in cui si fa un gran parlare di Big Data, Machine Learning e Intelligenze Artificiali, in pochi sanno realmente di cosa si sta parlando, ed è più probabile essere considerati fan di Matrix piuttosto che tecnici.
Sono spesso stato considerato “strambo” ma non l’ho mai visto come limite; ho sempre visto i numeri dietro alla quotidianità, ma non sempre mi hanno creduto. Nel momento in cui il mondo si ferma e si cela dietro un comodo paraocchi chiamato fortuna, tocca allo “strambo” provare ad aggiungere il soggetto e trasformare il caos in funzione.
Molti ragazzi scelgono di frequentare un’università (e in particolar modo la Bocconi) per trovare un buon lavoro e per costruirsi un futuro solido; una scelta responsabile e se vogliamo una massimizzazione del rapporto investimento/rischio. Ma cosa succederebbe se esistesse un’equazione in grado di definire con una precisione molto alta (ammettiamo sopra il 90%) la risultante del percorso? Si inseriscono alcuni parametri (giusto per rimanere nell’esempio, voti agli esami, certificazioni, luogo di provenienza, sport praticati, ecc.) e si ottiene una serie temporale con stipendio, benefit, settore, posizione e magari qualche accenno alla vita privata.
Il rapporto investimento/rischio diventerebbe meno favorevole, tendente al neutrale quanto più l’equazione è precisa; una situazione che da favorevole si trasforma in problematica quanto più il modello funziona. E allora, come definire una previsione senza che questa si influenzi da sola fino a rendere la stessa previsione inutile?
Ho scelto di frequentare la Bocconi e più specificatamente il corso di Economia e Management perché l’equazione potevo anche averla trovata, ma senza parlare la giusta lingua non sarei stato in grado di condividerla con chi realmente ha le conoscenze e le competenze per sfruttarla. E ho scelto quindi di mettermi alla prova in questo lavoro finale per verificare se realmente ho fatto mio quel dizionario necessario per parlare in termini economici di un modello matematico.
Il dilemma Morale del Calabrone sul Po
Sono sempre stato affascinato dall’aforisma secondo cui “il calabrone ha una struttura alare in rapporto al suo peso non adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso”. L’ho preso negli anni della mia infanzia e prima adolescenza come motto e come stimolo per provare a testare i miei limiti, ma forse anche un po’ come scusa per fare sempre di testa mia. Bene, è stato per me un piccolo shock scoprire che tramite riprese ad altissima velocità il mito è stato sfatato e la portanza generata da un battito 5 volte più rapido di quello del colibrì è più che sufficiente per volare.
Ho provato allora a cambiare prospettiva, e da un discorso di tecnica ho cominciato a pensarlo come un problema morale; fino a che punto si spinge la conoscenza dell’ambiente intorno a noi? E soprattutto, come chiamare quello che non comprendiamo?
Un po’ tutti amiamo la nostra “comfort zone”, e definire ciò che non comprendiamo come prodotto del Fato ci fa comodo; ci piace la razionalità, la controllabilità, e abbiamo una scusa pronta per tutti quei fenomeni in cui non è chiara la connessione causa effetto. E, in fin dei conti, questo ci rende un po’ più “santi” di quello che siamo.
Ho ritrovato questo modus operandi anche in università rispetto alla descrizione del fenomeno azienda: si tende a parlare in positivo di aziende medio-grandi, a formare manager per multinazionali, a portare casi di aziende quotate non per un’effettiva superiorità assoluta rispetto ad aziende di dimensioni più contenute, ma piuttosto per una maggiore conoscibilità del fenomeno e delle relazioni causa-effetto che ne decretano il successo o il fallimento.
Dunque, mi sono detto, perché non provare a definire un modello in grado di analizzare relazioni di causalità non lineari e applicarlo al tessuto delle PMI in Italia? Perché non provare a creare uno strumento di analisi che renda non più necessaria la moralità in decisioni che ad alto livello di astrazione non sono altro che matematiche?
Forse da giovane ho avuto troppo tempo di pescare e di pensare guardando il fiume mentre per ore nessun pesce sembrava apprezzare la mia esca; in fin dei conti, c’era un filo che, per quanto trasparente, un leggero riflesso lo lasciava: perché avrebbero dovuto abboccare?
Non sarà un lavoro semplice, ma tanto vale provare ad uscire un po’ dall’ordinarietà per lasciare uno strumento che ad altri risulterebbe più utile che a me, perché non sempre il pescatore più bravo è quello che prende più pesci.
What Else?
Quando ero piccolo mi vantavo di riuscire a leggere 3 libri al giorno e di vedere in mezz’ora film da due ore; in realtà, l’unica abilità che mi riconosco è quella di saper saltare le parti giuste.
In questo caso, si può trovare la conclusione qui. Tutto il resto si può saltare, anche perché saltandolo si può addurre al fatto che le Reti Neurali siano solo Black Box e che quindi solo i livelli di input e di output siano importanti.
In caso contrario, mail@michelegrazioli.com