Doppia pagina con l’articolo di Silvia Sfligiotti “La collezione è di tutti”, da «Progetto grafico» 23, primavera 2013.

Tecnologie aperte

Le ragioni di un numero

redazione progettografico
Progetto grafico
Published in
6 min readDec 12, 2016

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In un momento in cui l’innovazione tecnologica tocca più che mai profondamente gli ambiti professionali legati al design, alla comunicazione e all’editoria, ci è sembrato importante riflettere sul rapporto tra tecnica e grafica.

Di Massimo Banzi, Serena Cangiano e Davide Fornari

Questo articolo (here in English) è stato pubblicato su Progetto grafico, rivista internazionale di grafica edita dall’Aiap, Associazione Italiana design della comunicazione visiva. Il numero 30, “Tecnologie aperte”, è a cura di Massimo Banzi, Serena Cangiano e Davide Fornari. Sul sito dell’Aiap è possibile abbonarsi o acquistare il numero.

In un momento in cui l’innovazione tecnologica tocca più che mai profondamente gli ambiti professionali legati al design, alla comunicazione e all’editoria, ci è sembrato importante riflettere sul rapporto tra tecnica e grafica.
La democratizzazione e la semplificazione delle tecnologie del publishing digitale si estendono al mondo dell’elettronica, della robotica e dei sistemi di computazione fisica: oggi più di ieri, i graphic designer possono costruire i loro strumenti di progettazione e sperimentare nuovi linguaggi.

Il design computazionale ha un ruolo di primo piano in questo nuovo scenario, spostando il baricentro della progettazione verso lo sviluppo di regole «estetiche» che configurano l’artefatto grafico, sia digitale sia cartaceo. Nonostante la creazione di strumenti di progettazione sia un dominio da sempre esplorato nell’ambito della comunicazione visiva, l’accessibilità a risorse condivise in internet abilita sempre più il grafico ad appropriarsi della tecnica. Le tecnologie open source e le risorse tecnologiche condivise dal movimento dei maker mettono le macchine di produzione digitalizzata alla portata dei progettisti grafici. Questi sono gli ingredienti di una rivoluzione, ma anche i pilastri di una ripresa della comunicazione visiva basata su pratiche diffuse, condivise, ma soprattutto aperte.

“Viktor”, macchina per la scrittura open source, progetto di Jürg Lehni e Alex Rich, 2008, sulla copertina di «Progetto grafico» 21, estate 2012.

Uno degli argomenti che rimane nascosto nelle riflessioni sulla relazione tra tecnologia e design è molto spesso quello relativo al senso di appropriazione degli artefatti tecnologici di cui fruiamo in diversi ambiti del nostro vivere quotidiano. Movimenti come quelli del fai da te elettronico e dei maker suggeriscono come la tecnologia non debba rappresentare necessariamente un mero strumento del fare, una scatola nera dai meccanismi incomprensibili, ma piuttosto una materia che, qualora sia aperta e sviluppata collaborativamente, possa conferire ai designer nuove responsabilità e capacità. Il fruitore diventa in questo contesto conoscitore e inventore della sua tecnologia di cui ha il controllo in tutti i suoi aspetti, dall’hardware al software, alle interfacce: grazie alle tecnologie di prototipazione rapida open source c’è modo di «ripensare» le tecniche di stampa a caratteri mobili; bracci robotici industriali si trasformano in pennelli automatizzati per tracciare segni su grandi superfici.

Quale impatto trasferisce alla professione del graphic designer e in generale all’evoluzione dei linguaggi della comunicazione visiva il senso di appropriazione della tecnologia abilitato dall’accesso a risorse aperte?

Un secondo fattore di notevole importanza anch’esso strettamente connesso al discorso dell’appropriazione è invece l’emergere di una progettazione aperta che in diverse forme — co-design, design partecipativo, open source design — propone la collaborazione come metodologia efficace da applicare durante le diverse fasi, dall’ideazione alla realizzazione finale di un artefatto fisico o digitale. Quali effetti produce la diffusione di queste pratiche nella comunicazione visiva? Il design open source — che implica la produzione di una documentazione pubblica di un artefatto, così che chiunque possa studiarlo, modificarlo, distribuirlo, realizzarlo e venderlo — può essere un paradigma interessante per il graphic designer? Può offrire l’opportunità di generare nuovi linguaggi e processi tramite collaborazioni e scambi di risorse via internet?

Cosa succede invece quando la comunicazione visiva partecipa a questi processi di open design, facilitando l’apprendimento o la progettazione condivisa e mediata da tecnologie? Stiamo assistendo alla rinascita della grafica per il fai da te attraverso la realizzazione di tutorial, di manuali digitali e cartacei per insegnare l’uso dell’elettronica, della programmazione e dell’assemblaggio di prodotti open source.

Infine, l’informazione, i dati e gli algoritmi sono elementi di un codice e di una sintassi che determinano nuovi modi di comporre e produrre artefatti. La programmazione nella comunicazione visiva è un fatto non nuovo se pensiamo all’incontro fruttuoso tra computer e design a partire dagli anni Sessanta, ma cosa implica l’utilizzo del codice informatico come «pennello» che permette di generare grafica piuttosto che progettarla? L’esplosione sul web di sistemi e interfacce che abilitano i grafici a disegnare «per parametri» e «variabili» apre un intero scenario di design computazionale che investe la materia di base della comunicazione: la tipografia. Qual è il contributo del design computazionale al design della comunicazione visiva?

Doppia pagina con l’articolo di Dave Crossland “E se tutte le strade italiane diventassero della Fiat o della Ford?”, da «Progetto grafico» 22, autunno 2012.

Spostando il punto di vista, le possibilità del fai da te e l’accesso orizzontale agli strumenti del design rendono la progettazione grafica un atto aperto a tutti, anche estranei al mondo del design. I risultati, in questo caso, sono un’espressione estetica che non necessariamente risponde al contesto culturale in cui si manifesta. Corriamo quindi il rischio che gli strumenti scavalchino il contesto che li ha resi prima necessari, poi possibili e adesso solo fini a se stessi? Com’è possibile per un progettista grafico servirsi del design computazionale e contribuire alla riflessione culturale? Per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo raccolto due interviste a personaggi chiave come Casey Reas — uno dei due autori del linguaggio di programmazione Processing — e Theo Watson — tra gli sviluppatori del software openFrameworks, che tanti di noi usano per la prototipazione di interfacce e siti web.

Le tecnologie aperte sono già comparse su «Progetto grafico» fin dalla copertina del numero 21 dell’estate 2012, il primo della nuova serie, che raffigurava Viktor, una macchina per la scrittura aperta progettata da Jürg Lehni e Alex Rich per una mostra del 2008. Il numero 22 dell’autunno 2012, dedicato al tema «Spazio comune», raccoglieva numerosi contributi sul tema della partecipazione e delle comunità di designer, con un articolo di Dave Crossland dedicato alla tipografia open source. Nel numero 23 della prima-vera 2013 Silvia Sfligiotti presentava la mossa a sorpresa del Rijksmuseum di Amsterdam, che ha messo a disposizione del pubblico un gran numero di asset dai propri database. Nel numero 26 dell’autunno 2014 l’articolo di Luigi Farrauto e Giovanni Profeta analizzava il potenziale comunicativo delle tracce lasciate dai dispositivi personali connessi in rete. Il numero 28 dell’autunno 2015, dedicato al tema del Publishing, raffigurava in copertina una scheda Arduino, parte di un progetto elaborato da studenti del Piet Zwart Institute di Rotterdam, e includeva un gran numero di progetti «aperti» non ripresentati però in questa occasione.

Abbiamo invece analizzato il panorama dei progetti legati alla comunicazione visiva, selezionando, in funzione rappresentativa, sperimentazioni — in alcuni casi al loro primo esordio in assoluto — divise in tre sezioni: materiali di base, macchine da stampa e semilavorati, progetti e sistemi.

Il mondo dell’open source riguarda da vicino anche la comunicazione visiva in Italia. Gianni Sinni presenta il programma Italia Login, che porterà la pubblica amministrazione italiana ad un radicale ripensamento dei propri servizi online. parcodiyellowstone racconta Peer-to-Peer Design Strategies, un framework di metodologie e strumenti per massimizzare la collaborazione fra parti nelle varie fasi di progetto. Luciano Perondi, Roberto Arista e Alessio D’Ellena discutono i risultati di una sperimentazione di pedagogia del type design portato avanti da tre scuole italiane. D’Ellena e Arista hanno inoltre analizzato due realtà fondamentali per la grafica open source, rispettivamente lo studio belga Open Source Publishing e il sistema di strumenti aperti per il type design di Galassia Robo.

Silvia Sfligiotti è l’autrice di un report dal mondo delle istituzioni che hanno deciso di mettere a disposizione degli utenti gli asset nei loro database di immagini sotto le licenze più varie, ma dalle infinite possibilità per chi si occupa di graphic design.

Da questo numero in poi «Progetto grafico» rilascia i propri contenuti — testi curati dalla redazione e dagli autori — con licenza Creative Commons Attribuzione-Non Commerciale-Condividi allo stesso modo (cc by nc sa), fatti salvi i diritti di autori terzi che hanno concesso immagini per questa pubblicazione.

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