Confini / SVIZZERA

Il lusso di scegliersi
i profughi

Terre di mezzo
5 min readJun 19, 2015

Isaias vive a Zurigo, ora. È uno dei profughi che è riuscito a farsi accogliere dalla Confederazione elvetica. Scappato dall’Eritrea, ha vagato per l’Africa e l’Europa per alcuni anni. Fino a quando ha incontrato gli attivisti di “Europa senza frontiere”, che giusto un anno fa, il 14 giugno, hanno organizzato il No border train. Circa 200 persone, tra migranti e attivisti, sono saliti su un treno della Sbf, la compagnia di bandiera svizzera, in partenza da Milano. Obiettivo: bucare la frontiera. Il No border train è un guanto di sfida lanciato contro i governi europei. “Volevamo denunciare le ipocrisie delle frontiere interne dell’Europa, che ha i confini solo per i migranti. Se paghi un trafficante duemila euro per passare in macchina, passi le frontiere senza problemi”, spiega Nicola Grigion, di Melting Pot Europa, un progetto che dal 1996 racconta l’immigrazione e l’asilo in Italia e che è stato tra i principali promotori dell’evento. A un anno di distanza, Grigion non è più parte dell’avventura di Melting Pot, per divergenze con gli altri colleghi e fa il consulente per il Servizio centrale dello Sprar. L’idea di No border train è nata sulla scorta di “Io sto con la sposa”, film di Gabriele Del Grande, Antonio Augugliaro e Khaled Al Nassiry, che racconta la storia di un convoglio nuziale di copertura, nel quale si nascondono cinque profughi siriani in cerca di protezione in Svezia.

Gli attivisti di No border train alla stazione di Milano Centrale

Hanno scelto la Svizzera perché è considerata un Paese ostile: i dati Eurostat 2013 affermavano che in dalla confederazione sono state respinte 10.205 richieste di asilo politico su 16.595. Ma nel 2014 le cose sono cambiate. Secondo l’Istituto statistico europeo, il 71 per cento delle domande d’asilo sono state accolte. E così la Svizzera è ora al secondo posto per richiedenti asilo per milione di abitanti (605, di più fa solo la Svezia con 1.355). In tutto sono 15.500 i titolari di una protezione ottenuta nel 2014, a cui si aggiungono altri 9.400 che non hanno potuto rilasciare la domanda di asilo ma hanno comunque beneficiato di un permesso di soggiorno annuale, senza decreti di espulsione. La Svizzera, paradossalmente, è anche uno dei primi Paesi dove si fa l’accoglienza dei profughi nelle case private (un centinaio nei cantoni Basilea e Argovia, mentre in Ticino si chiudevano le porte in faccia ai transfrontalieri italiani). A questi si aggiungono 500 siriani inseriti in un piano di resettlment (accoglienza in un Paese terzo) condotto insieme all’Unhcr. Di questi, 216 sono già arrivati direttamente dalla Siria. Gli altri prenderanno un aereo per Berna entro la fine del 2015. Il progetto di resettlment è iniziato nel 2011 ed è costato finora 12 milioni di franchi svizzeri. Entro il 2018 il Paese si vuole impegnare a prendere altre 3 mila persone.

Insomma, la Svizzera può concedersi il lusso di scegliersi i profughi.
Per gli altri non c’è spazio. Non a caso, il 6 giugno 2015, 52 profughi sono stati rispediti alla stazione ferroviaria di Domodossola.

Torniamo negli scompartimenti del No border train, nel giugno del 2014. Albert ha due occhi grandi e rossi. Stanchi. Ghanese, è arrivato in Italia nel 2011, con l’Emergenza Nord Africa. È stato accolto dalla Caritas di Padova, che dopo tre anni però non ha potuto più tenere tutti i migranti che sono arrivati con l’emergenza. Non ha permesso di soggiorno: non è mai riuscito a trovare un lavoro, nonostante i corsi per diventare operaio specializzato. “Sono costretto a spostarmi altrove, spero di poter trovare una buona soluzione”, racconta. La famiglia aspetta le sue rimesse. Charity ha un figlio di 18 anni in Nigeria, dove è nato. Non lo vede da quando ne aveva 10. È dal 2002 che le sue impronte digitali circolano nei database dei “clandestini” approdati nella Fortezza Europa. La prima volta passa da Ceuta, la seconda arriva in aereo in Olanda, la terza a Lampedusa, via mare. Era il 2011: “Sono stanco. Per me il problema non è nemmeno il lavoro. Ho bisogno dei documenti, voglio tornare in Nigeria”, racconta. Ha fatto a Roma domanda di asilo politico e da nove mesi attende una risposta. Difficile poter scrivere un lieto fine alla sua storia: quand’era in Spagna è stato fermato dalla Guardia civil per possesso di droga. Ha scontato qualche mese di carcere e il precedente rende impossibile una pratica d’asilo. Nella sua stessa situazione sono la maggior parte dei migranti. Per loro la Svizzera resterà solo un sogno.

Il treno arriva alla stazione di Chiasso. La gendarmeria aspetta i migranti.

Il treno arriva alle 17.30 alla pensilina di Chiasso. Ci sono gli uomini della Gendarmeria, insieme alla Polizia comunale e cantonale ad attendere il No border train. I legali di Melting Pot trattano con i gendarmi all’ufficio immigrazione. Vogliono che le autorità svizzere accettino la volontà di tutti di chiedere asilo politico. Una richiesta simbolica, che solo per tre migranti si trasforma nell’avvio concreto di una pratica. Tra questi c’è Isaias. Il gruppetto si dirige al Centro di registrazione e procedura di Chiasso, dove si rilascia la domanda d’asilo. “Ci stiamo comportando come sempre accade, non c’è nulla di straordinario. Delle 900 persone che abbiamo fermato alla frontiera nell’ultimo mese (maggio 2014, ndr), in 850 hanno deciso di fare domanda”, spiega Davide Bassi, portavoce del Corpo guardie di confine della Regione IV.

Gli attivisti di No border train sulla pensilina della stazione di Chiasso

Al centro di accoglienza, gli attivisti di No border train parlano con i richiedenti che stanno oltre le recinzioni. “Nessun problema”, dicono quelli oltre le sbarre. Sono lì da 20 giorni, dopo essere passati dall’Italia. In tutto ce neresteranno 90, tempo necessario per la pratica d’asilo. Gli ospiti “sono liberi di andare in giro durante il giorno e hanno un regolamento interno da rispettare”, conclude Bassi. La partita Svizzera-attivisti si chiude con un pareggio: le autorità elvetiche ne escono con eleganza, gli attivisti portano a casa l’attenzione dei media locali e tre domande depositate. E intanto, a Bruxelles, la partita più importante, quella per introdurre delle quote di profughi in tutti i Paesi dell’area Schengen, è ancora in bilico. E i bookmakers danno per certa una schiacciante vittoria della Fortezza Europa.

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