Confini / BRENNERO
Respinti dalla “trilaterale” e accolti dai “cittadini liberi”
Jonas viene dall’Eritrea: “Ho lasciato il mio Paese perché dopo la scuola non trovavo lavoro”, spiega in un buon inglese. È scappato per un desiderio e non per la guerra. “Ora ho 20 anni: è da sette che viaggio. Ho trascorso alcuni anni a Khartoum in Sudan, dove facevo le pulizie, e poi altri in Libia, prima di attraversare il Mediterraneo”. Quindi, la risalita dello Stivale, passando per Roma. Ora è fermo alla stazione del Brennero, penultima casella prima della fine del gioco dell’oca. Il premio: rifarsi una vita, in Germania.
“Sono senza soldi e senza documenti”, ripete più volte.
Non sa esattamente dove si trova. Non sa precisamente nemmeno che cosa sia una frontiera: dalle sue parti sono disegnate sulla sabbia. Insiema a lui c’è Jonathan, 32 anni, dal Camerun, fortuito compagno di sventura. Rapper, ha lasciato la sua città perché le sue rime infastidivano il governo. Tutto quel che sta vivendo è linfa per le sue canzoni, i cui testi sono raccolti in un quaderno marroncino, trasformatosi in una personale versione dell’Odissea.
L’ultimo ostacolo che impedisce a entrambi di proseguire il viaggio si chiama “pattuglia trilaterale”. “Sono composte da un poliziotto italiano, uno austriaco e uno tedesco -spiega Mario Deriu, segretario provinciale del Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (Siulp)-. Sono nate nel 2001 per scoraggiare i borseggiatori e per dare un segno dell’unità d’intenti degli Stati europei”. Da dicembre 2014 hanno cambiato obiettivo: «Su tutti i treni internazionali diretti a Monaco di Baviera c’è una pattuglia trilaterale che ha il compito di identificare e bloccare i migranti irregolari. È una missione impossibile, perché prima o poi tutti riescono a passare”. Sono circa 70 gli agenti impiegati quotidianamente in questo compito, che complessivamente costano 1.400 euro al giorno solo di indennità (oltre quindi allo stipendio). Forse sono soldi che potrebbero essere spesi meglio.
Sui treni ci sono pattuglie di tre agenti: uno italiano, uno austriaco e uno tedesco. Costano 1.400 euro al giorno, ma i migranti riescono a passare comunque.
Jonas, per esempio, una volta che la “trilaterale” l’ha fatto scendere dal treno su cui era salito, ha passato la notte all’addiaccio a Trento e poi è rimontato su un convoglio regionale, meno controllato. Con quello ha superato il confine, ma in Austria è stato trovato nascosto nei bagni della prima stazione ed è stato riportato in Italia, in virtù di un accordo bilaterale con il nostro Paese che consente alle forze dell’ordine di Vienna di rispedire senza particolare formalità i migranti privi di documenti, fermati in un raggio di 30 chilometri dal confine.
La stazione di Bolzano è diventata un punto di riferimento per i migranti. È da lì che tentano e ritentano di attraversare il confine. “Quanti ne passino è impossibile dirlo -spiega Deriu-. Ogni anno in questa zona vengono identificati tra i 5mila e i 7mila migranti che provano a passare la frontiera illegalmente. Alcuni camminano lungo i binari o accanto all’autostrada”. In alternativa, ci sono i trafficanti, che chiedono cifre spropositate per portare le persone oltre confine in auto o in furgone. “Se lo possono permettere i siriani perché hanno maggiori risorse economiche”, prosegue il funzionario di Polizia.
“Da dicembre a maggio i volontari hanno assistito 3.500 persone. Tutte ripartite nel giro di poche ore”.
Durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative del 10 maggio, la Lega Nord ha organizzato manifestazioni di protesta contro i migranti e le urne sembrano averla premiata, visto che ha raddoppiato i consensi rispetto alla tornata precedente, toccando un sorprendente 11 per cento. Quella dei militanti del Carroccio, però, non è stata l’unica reazione della comunità bolzanina.
C’è anche chi la stazione ha deciso di frequentarla non per lamentarsi, ma per dare una mano. I volontari sono circa un centinaio: metà legati all’associazione Volontarius, che collabora con il Comune e gestisce anche due centri di accoglienza, e metà riuniti in un gruppo spontaneo chiamato “Cittadini liberi”. Da dicembre a maggio hanno assistito circa 3.500 persone. Tutte ripartite nel giro di poche ore, al massimo di una notte. Lungo il binario 1 incontro quattro volontari: un uomo sulla settantina, col pancione, i pantaloni della tuta e il cartellino della Volontarius e tre giovani “cittadini liberi” con la pettorina blu elettrico con la scritta «Aid worker», anche in arabo.
Anna e Mirko sono studenti. Seduti su una panchina, addentano un kebab, lui con le guance ancora glabre, lei con il velo islamico a coprirle il capo. Jessica, trentenne con i capelli raccolti e le All Star ai piedi, risiede a Trento ma lavora nel capoluogo altoatesino e quando un’amica le ha proposto di diventare volontaria ha accettato:
“Se fossi nelle loro condizioni mi farebbe piacere trovare qualcuno che mi aiuti”
Mentre chiacchieriamo viene segnalato l’arrivo di un convoglio da Milano. La giovane donna si affretta verso la banchina e scruta con attenzione le porte dei treni, con alcuni poliziotti italiani che fanno lo stesso pochi metri più in là. Attende l’arrivo di profughi e migranti, ma dall’Intercity scendono solamente turisti e pendolari. “Gli immigrati arrivano soprattutto al mattino e ripartono subito -spiega -. Facciamo giusto in tempo a dar loro cibo e vestiti e a fargli fare un controllo medico, che c’è sempre, per tutti, a tutte le ore”. I “Cittadini liberi” si sono anche autotassati per pagare una donna delle pulizie che tenga puliti i gabinetti della stazione. Il suo lavoro si aggiunge a quello del personale delle Ferrovie dello Stato, ma in questo modo si riesce a tenere i servizi sempre in buone condizioni. Un vantaggio sia per i migranti che per i viaggiatori. Un eccesso di zelo? Forse. Oppure un dettaglio rivelatore dell’identità del gruppo che, da qualche tempo, ha eletto al suo interno dei rappresentanti per dialogare meglio con le istituzioni e il terzo settore. “Abbiamo assistito a una mobilitazione dal basso che ha toccato tutta la provincia. Questi cittadini liberi sono stati veramente una sorpresa -commenta Monika Weissensteiner, ricercatrice della Fondazione Alexander Langer, che sta monitorando dal settembre scorso la situazione-. Una delle poche sorprese positive di questa cosiddetta emergenza immigrazione”.
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