Telelavoro (Smart Working) parziale: i problemi della libera scelta.

Vincenzo Lavorini
6 min readAug 7, 2021

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Nel momento in cui scrivo questo articolo molte imprese si sono convinte di quanto si guadagni in termini di efficienza con il telelavoro (o “Smart Working”, come stranamente definito da molti), e stanno dunque riflettendo su come regolamentare tali politiche per il post COVID-19.

(English translation is at this link)

Avendo utilizzato il telelavoro sia come dirigente di una squadra, sia come lavoratore, ho notato alcune differenze rispetto al lavoro in ufficio che, se mantenute a lungo, possono causare squilibri tra colleghi.

Le alternative

Sebbene esista la possibilità di lavorare al 100% sia da remoto che in ufficio, questo articolo si focalizza sulla soluzione ibrida, ossia il telelavoro parziale: qualche giorno a settimana da remoto (sostanzialmente, da casa), e qualche giorno in ufficio.

Tale soluzione si presta a grandi personalizzazioni: quanti giorni a settimana? Quali? Stabilire una politica comune per l’intera azienda, o lasciare che ogni dipartimento/squadra/lavoratore decida in autonomia?

Ad un primo impatto si potrebbe tacciare la scelta come semplice: stabiliamo delle direttive lasche e lasciamo decidere squadre/dipartimenti/lavoratori.

Ma tale elasticità apre scenari non banali, se ragioniamo nel medio-lungo termine.

Installazione domestica. [CC 2.0]

I vantaggi della presenza in ufficio

I vantaggi del lavoro da casa sono ormai lampanti. Forse un po’ troppo, e nel loro abbagliarci distraggono la nostra vista dai benefici del lavorare in ufficio.

Primo tra tutti: la socialità. Gran parte della comunicazione tra esseri umani avviene tramite gesti, toni, sguardi, ed altri mezzi non verbali. Inoltre, la nostra simpatia verso una persona dipende anche dal suo comportamento con gli altri, ed anche dai suoi comportamenti al di fuori delle comunicazioni. Si capisce quindi quanto sia più facile conoscere i colleghi e conseguentemente stringere con loro amicizia standogli fisicamente vicino piuttosto che a casa.

Socializzare meglio con i colleghi aiuta l’efficienza: abbiamo più piacere, quindi agiamo con più solerzia, nel soddisfare richieste o offrire aiuto ad un collega amico, che ad un collega semi sconosciuto.

Ancora, nel caso utilitaristico più estremo, se uno di questi colleghi-amici si troverà in futuro nella possibilità di avvantaggiarci in qualche modo, lo farà.

La crescita professionale è un altro vantaggio. Le chiacchierate che facciamo nelle varie pause non necessariamente vertono sulle faccende del momento; magari parliamo col collega dell’esistenza di strumento, o di una tecnica o di un avvenimento interessante, che sebbene siano perfettamente inutili sul momento, potrebbero giovare in modi imprevedibili in futuro. Ad esempio, su come è stata gestita una situazione burrascosa, o su come è stato gestito il rapporto con un fornitore, o con un cliente. Notare che sebbene tali argomenti possano esser sicuramente affrontati in teleconferenza o in chat, difficilmente parliamo con i colleghi di argomenti dalla dubbia utilità, specialmente quando non conosciamo bene i colleghi che leggeranno, o quando sappiamo che il nostro manager è li che legge/ascolta. Ma davanti ad un caffè il nostro atteggiamento è molto più informale, e siamo disposti a concederci, tollerare ed interagire maggiormente.

Stesso ragionamento vale per le intuizioni sull’azienda e sulle dinamiche interne ad essa: chi frequenta l’ufficio, passeggia tra i corridoi, si ferma alle macchinette del caffè, finisce per interagire con colleghi e superiori ( compresi quelli con cui abitualmente non ha relazioni lavorative) nei modi più diversi, e riesce a percepire umori, preoccupazioni, ma anche voci di corridoio su processi decisionali in corso e futuri, e lo fa in quantità e qualità ben superiori rispetto a quanto si legge sulle chat aziendali, o nelle riunioni più o meno formali.

Ancora, vi è la visibilità, in particolare verso i quadri dirigenziali. Possiamo dividere i dirigenti in due macro categorie: quelli ‘neutrali’, che tendono all’indifferenza sul luogo ove i lavoratori svolgono i loro compiti, e quelli che quelli che preferiscono vedere i lavoratori in ufficio; a mia conoscenza, dirigenti che preferiscono che i propri sottoposti stiano a casa non esistono.

Mentre i dirigenti neutrali saranno, appunto, neutri nei confronti di entrambe le categorie di lavoratori, i secondi avranno una chiara preferenza: amplificata per chi lavora in ufficio, smorzata per chi lavora da casa. Quindi, se immaginiamo che in un’azienda esistano elementi di entrambe le specie, si capisce che mediamente chi sta in ufficio acquisirà più visibilità.

Questi sono solo alcuni dei di privilegi che scaturiscono dallo stare in ufficio, e credo siano sufficienti a rendere l’idea. Sebbene per ciascuno di essi si possano studiare politiche di mitigazione che ne facciano sentire meno l’impatto, essi rimarranno sempre presenti in situazioni di lavoro ibrido.

Pause come promozione della diversità [CC 2.0]

La difficoltà dello scegliere

Sebbene a primo impatto si potrebbe pensare ad una campagna di sensibilizzazione sui lavoratori per portarli a scegliere con più coscienza, non si può ignorare che abbiamo a che fare con esseri umani, in sostanza, lavoratori scapoli, giovani e senza prole tenderebbero comunque ad andare in ufficio più spesso rispetto a lavoratrici più anziane, con famiglia e figli a carico.

I primi, dunque, godrebbero dei benefici sopra elencati in modo maggiore rispetto alle seconde; di conseguenza, il loro lavoro quotidiano e la loro carriera ne sarebbero avvantaggiati.

Volendo espandere le due categorie di sopra, possiamo considerare che tenderebbero a stare maggiormente a casa le persone:

  • disabili, o con figli disabili
  • introverse, o più in generale con sensibili disagi psicologici
  • in sovrappeso, in sottopeso, ed in generale coloro che non corrispondono ad i canoni abituali di bellezza
  • che appartengono a minoranze etniche
  • che abitano lontano dall’ufficio
  • che svolgono attività secondarie (volontariato, associazionismo, ma anche progetti paralleli)

Lasciare libera scelta porta con se dunque innanzitutto un enorme problema di diversità: si formerebbero categorie di lavoratori avvantaggiati, dunque preferibili, sia in prospettiva di carriera sia in ingresso in azienda.

Il deterioramento dei rapporti aziendali

Inoltre, a livello atomico, se alcuni lavoratori si troveranno professionalmente avvantaggiati e socialmente più coesi rispetto ad altri, l’ambiente aziendale andrà necessariamente peggiorando. Non sono uno psicologo, ma ritengo alta la probabilità che si possano verificare alcune tra le seguenti situazioni:

  • i rapporti tra lavoratori si tenderanno; ci saranno incomprensioni, aumenteranno le divergenze di opinioni, collaborazione e solidarietà verrebbero minate;
  • i lavoratori che si troveranno avvantaggiati in quanto maggiormente frequentano l’ufficio potrebbero sentire di non meritare il vantaggio ottenuto (sindrome dell’impostore), tendendo ad amplificare stress, ansia, ruminazione mentale.
  • i dirigenti che, inevitabilmente e comprensibilmente, favoriranno questi lavoratori svilupperanno un sentimento di colpa verso gli altri lavoratori, e quindi non sarebbero sereni nelle loro scelte, sia quotidiane che strategiche; inoltre, si troveranno ad essere adulati in maniera abnorme dagli uni, a discapito quindi della diversità di pensiero, e contestati in maniera abnorme dagli altri, a discapito (nuovamente) della propria serenità e della percezione della qualità del proprio lavoro (ancora, sindrome dell’impostore).
  • i lavoratori che si troveranno svantaggiati per la scelta di restare maggiormente a casa sentiranno che i propri sforzi e la propria professionalità non sono sufficientemente valorizzati, che è l’esatto opposto della sindrome dell’impostore (qualcuno la chiama sindrome dell’autorità); sentiranno rabbia, frustrazione, voglia di rivalsa.

Estrapolando, problemi simili si presenteranno lasciando libertà di decisione a squadre e dipartimenti, in quanto i dipartimenti che scelgono di frequentare maggiormente la sede saranno avvantaggiati rispetto agli altri.

[cc 2.0]

Soluzioni?

La libera scelta è bellissima, ma è un’illusione. Ogni scelta viene influenzata da mille piccole lacci che ne limitano, appunto, la libertà. Ed i fattori che influenzano quotidianamente un lavoratore nelle sue scelte su quanto e dove lavorare, come abbiamo visto, potrebbero portarlo al danneggiamento del suo rapporto con i colleghi, della sua carriera, e potenzialmente anche della sua salute mentale. Anche, e di conseguenza, l’azienda ne verrebbe danneggiata.

Se escludiamo a priori la possibilità di lavoro remoto totale (o presenza in ufficio totale), la soluzione più semplice rimane regolamentare in modo stretto il telelavoro parziale. Più chiaramente, le aziende dovrebbero decidere quanti e quali giorni si deve presenziare in ufficio, e quando invece si deve stare a casa, o comunque altrove che in ufficio.

Tale politica sarà inevitabilmente detestata da molti, in particolare da coloro che sono convinti di essere pienamente capaci di scegliere il meglio per se stessi, sia tatticamente che strategicamente.

Ma dare ad ogni lavoratore pari opportunità è utile a salvaguardare un buon ambiente aziendale, pertanto tale soluzione rimane, a mio parere, la migliore sulla piazza.

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