Quel che serve per l’AI

Alfonso Fuggetta
Commenti & Riflessioni

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Sto leggendo diversi articoli su AI Act, strategie del governo, cose che ci sono, cose che mancherebbero. E ho un profondo senso di smarrimento. Sia in Europa che in Italia creiamo strutture, emaniamo provvedimenti, formuliamo auspici, definiamo “obiettivi strategici”, allochiamo “miliardi di euro”. Ma esattamente, per fare cosa? E per farla come? Io non l’ho ancora capito.

Cosa dovrebbero fare le strutture che devono controllare, regolare, supervisionare gli aspetti tecnici, “etici” e di applicazione dell’AI? Devono controllare? Cosa e come? Perché per l’AI ci preoccupiamo degli aspetti etici mentre nulla si è mai detto delle altre tipologie di sistemi software? Un sistema software “tradizionale” per la guida (semi)autonoma di un’auto o in generale di controllo di un sistema complesso (una centrale elettrica per dirne una) non deve forse fare scelte che possono incidere sulla vita o sulla salute delle persone? O si pensa che siccome il sistema è “intelligente” sia più creativo o autonomo rispetto ad un sistema software “normale”? L’etica è nei codici e nei dati che scriviamo o inseriamo noi programmatori oppure risiede per ispirazione divina nella “mente” di questo essere mitologico che chiamiamo (ahimè, è questo il peccato originale!) “intelligenza artificiale” e che pensiamo possa avere sentimenti, emozioni e reazioni umane come Frankenstein o C-3PO?

A me pare che chi sta decidendo su questi temi non sappia cosa sia una applicazione informatica, un prodotto software, e pensa che l’AI sia quella di Star Wars e Star Trek. È un disastro. Ci stiamo comportando in modo fanciullesco, immaturo, superficiale. Stiamo trasformando una tecnologia certamente potente e utile in una sorta di feticcio o pietra filosofale o, peggio, in una barzelletta.

Ad un recente dibattito su AI, ho assistito quasi incredulo ad un fitto argomentare tra giuristi, sociologi, economisti, filosofi, tuttologi che spiegavano e pontificano su caratteristiche, proprietà, rischi, dinamiche dei sistemi di AI. Son dovuto intervenire per dire una cosa molto semplice: “Non capisco di che state parlando”.

E intanto i veri problemi passano in secondo piano.

  • Mentre noi abbiamo fatto scappare colossi come Intel (vedi mancato investimento nella fabbrica di chip), Microsoft e Google investono per strutture che si occupano di AI e Digitale in Francia e Germania. Quindi abbiamo un ritardo enorme nell’attrazione degli investimenti esteri in generale e in confronto ai nostri paesi vicini. Questa dovrebbe essere una prima preoccupazione.
  • Pensare di certificare, controllare e regolare chi usa AI è impraticabile, visto che chiunque oggi usa o può usare un sistema di AI. Il vero tema è la trasparenza e su questo in accordo con l’UE si potrebbe e dovrebbe fare qualcosa (si veda la ricerca su Explainable AI), specialmente su tematiche critiche e nel mondo della comunicazione.
  • L’idea di risolvere ogni problema “creando” un centro o “una tecnologia nazionale” è a metà tra l’ingenuo e il ridicolo. Il CERN, per fare un esempio da molti evocato, esiste perché è dotato di una infrastruttura fisica che si estende per chilometri quadrati ed è unica al mondo (LHC). Le infrastrutture fisiche che servono all’AI sono centri di supercalcolo, che in parte già esistono, possono essere potenziati, ma hanno molte possibili applicazioni e non solo AI. Centri di ricerca che si occupano di AI ce ne sono tanti nel nostro paese: chi dovrebbe andare a popolare le nuove fantomatiche strutture? Serve invece un piano di finanziamento alla ricerca e all’innovazione, nel digitale in generale e nell’AI nello specifico, che sia stabile, focalizzato, finalizzato e competitivo (non come il PNRR che da questi punti di vista è semplicemente disastroso).
  • Attrazione degli investimenti privati esteri e investimenti in ricerca e sviluppo sono il miglior modo per trattenere e attrarre talenti e diffondere cultura e competenze nel territorio. Ne scrivevo qui su Medium non molto tempo fa.
  • Esistono ancora problemi enormi di apertura del mercato, concorrenza, interoperabilità che limitano o condizionano la competizione e, di conseguenza, lo sviluppo economico e sociale.

Non se ne può più di questo assalto alla diligenza di chi semplicemente vuol mettere cappello sulla buzzword del momento, inventandosi iniziative strampalate mentre i veri problemi restano non solo irrisolti, ma nemmeno affrontati.

Basta per favore, basta.

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