Capitolo 1: Un viaggio vero

Massimo Lazzari
Aspettando il libro perfetto
5 min readJun 14, 2017
Cover by Marta D'Asaro

A meno di una settimana dalla pubblicazione del mio nuovo romanzo Il libro perfetto, vi regalo in anteprima il Capitolo 1

Mi trovavo a Rishikesh da tre giorni e iniziavo a chiedermi seriamente che cosa ci facessi qui.

Seduto sull’erba di un parco cittadino, osservavo il Gange davanti ai miei occhi. Impetuoso e limpido. Difficile credere che fosse lo stesso fiume sporco e melmoso che attraversava Varanasi, qualche centinaio di chilometri più a valle. La città sacra in cui milioni di pellegrini si recavano per purificare la propria anima immergendosi nel fiume. O per affidare alle acque inquinate il proprio corpo mortale, nella speranza di rompere il ciclo del samsara.

Vita, morte e rinascita.

A Rishikesh, in questa piccola cittadina dell’Uttarakhand, il Gange conserva ancora la purezza delle vette himalaiane in cui sorge. Il ghiacciaio di Gangotri può essere raggiunto con una breve escursione di un paio di giorni. Ci stavo pensando seriamente. Sarebbe potuta essere la mia prossima meta.

Non c’era nulla, in effetti, che mi trattenesse ancora qui. Il posto era grazioso e immerso nel verde, ma un po’ troppo lontano da come mi ero immaginato il viaggio in India. Per le strade del centro, e nei parchi lungo il fiume, incontravo solo gente che praticava yoga e meditazione. O che provava a vendere ai turisti corsi di yoga e meditazione. C’era anche qualche anacronistico hippy, e molti che hippy non erano di certo, ma gli piaceva farlo credere. Tra questi ultimi vi erano molti italiani. Troppi per i miei gusti.

Ero venuto in India per tre ragioni principali.

Visitare un Paese che mi aveva sempre affascinato, ma nel quale, per un motivo o per l’altro, non ero mai riuscito a recarmi.

Provare le emozioni forti che solo un viaggio da queste parti poteva offrire.

Evitare le classiche mete da “primo viaggio in libertà dopo il divorzio”, e soprattutto evitare di incontrare troppi connazionali.

Molti amici, nelle mie stesse condizioni, mi avevano suggerito di andare in Tailandia, Brasile, Cuba. Ma non era il turismo sessuale che cercavo, né calde spiagge tropicali in cui avrei avuto troppo tempo per pensare e piangermi addosso.

Volevo “un viaggio vero”. Zaino in spalla e zero programmazione. Libero di scegliere la meta giorno dopo giorno. E di farmi sorprendere dalla vita, di provare emozioni reali. Per questo avevo scelto l’India.

E poi c’era il Nepal, lì a portata di mano. Il sogno di una vita, il viaggio che non avevo fatto da ragazzo. Pianificato, e annullato, l’anno in cui il terremoto sconvolse Kathmandu, facendo sgretolare il tetto del mondo.

Avevo ottenuto il visto sia per l’India sia per il Nepal. Tre mesi il primo, due il secondo. Quindi, potenzialmente, fino a cinque mesi per starmene lontano dall’Italia, dal lavoro, dalla mia ex-moglie.

Paolo aveva capito la mia situazione e, nonostante lo studio fosse sommerso di progetti da portare a termine prima della chiusura estiva, non aveva battuto ciglio quando gli avevo comunicato la mia decisione.

Lui aveva fatto la stessa cosa due anni prima. Dopo la chiusura turbolenta della sua causa di divorzio, aveva passato ben sei mesi in America Latina. In quel periodo mi ero caricato volentieri sulle spalle il peso dell’intero studio, anche dei suoi clienti.

Questo mio sacrificio aveva consentito allo studio di preservare il fatturato. A Paolo di recuperare la serenità di cui necessitava per riprendere a lavorare con lo stesso entusiasmo con cui, qualche anno prima, avevamo avviato l’attività. A me di passare sempre più tempo in ufficio, lontano dall’aria tesa che si iniziava già a respirare tra le mura di casa.

La conseguenza era inevitabile. Dopo poco più di due anni le parti si erano invertite. Paolo, dimostrando l’incapacità di imparare dagli errori, si era risposato. Con una stagista di dieci anni più giovane. Che nel giro di pochi mesi avrebbe sfornato il secondo figlio del mio socio. Un bel casino, gli avevo detto quando me lo aveva rivelato. Un bel casino. La stessa frase che mi aveva detto lui quando gli avevo confessato la fine del mio matrimonio e il desiderio di andarmene via per qualche mese. Non eravamo molto comunicativi tra noi.

Poche settimane dopo ero già sul volo che mi avrebbe portato a Delhi via Dubai. Per tutta la durata non avevo chiuso occhio. Ero elettrizzato dall’avventura che stavo intraprendendo, ma anche spaventato.

Non ero più un ragazzino, e quella che a vent’anni sarebbe potuta essere una straordinaria esperienza di vita, a quasi quaranta poteva rapidamente trasformarsi in un incubo. Troppe erano le incognite che mi tormentavano.

Il cibo innanzitutto. La cucina indiana non era l’ideale per la gastrite cronica che mi affliggeva da troppi anni.

E poi gli spostamenti. Troppi racconti di viaggi su bus sgangherati o su treni stracolmi. Di autisti spericolati e indisciplinati. Di strade malmesse, intasate da veicoli di ogni genere, da mendicanti, da vacche e altri animali. Ero determinato a non farmi influenzare più di tanto dagli stereotipi, ma non potevo evitare di pensare agli effetti di tutto ciò sul mio già provato sistema nervoso.

Condizioni igieniche, malattie varie e clima instabile completavano il quadretto. Ma l’avevo scelto io questo viaggio. Finalmente. E volevo viverlo intensamente, nonostante le difficoltà che avrei incontrato. Anzi, soprattutto attraverso queste. Speravo veramente di trovarmi in situazioni di disagio, di scomodità e forse anche di pericolo. Volevo dormire in bettole fatiscenti. Mangiare cibo disgustoso con le mani. Condividere la carrozza del treno con centinaia di indiani sudati.

Per la prima volta nella mia vita, volevo fare un viaggio e non una vacanza.

Nei giorni prima di partire avevo fantasticato a lungo sui luoghi che mi sarebbe piaciuto visitare. Anche se avevo deciso di non fare programmi e di lasciarmi guidare dagli eventi, c’erano alcune cose che volevo assolutamente vedere. Fin da quando ero ragazzo.

Il Taj Mahal ad Agra, i ghat di Varanasi, le spiagge di Goa, i templi del Kerala, gli slum di Mumbai. E poi il Nepal. Non vedevo l’ora di visitare Kathmandu e i suoi monasteri buddisti. E di fare trekking sull’Annapurna o su altri massicci himalaiani, al cospetto delle vette più alte del mondo.

Rishikesh non rientrava nella mia lista iniziale. Avevo letto sulle guide di questo luogo, ma yoga e meditazione non mi tentavano per niente. Ero più attratto da emozioni forti, contrasti sociali, natura selvaggia. Eppure, mi trovavo qui da tre giorni e ancora non capivo cosa mi trattenesse dall’andarmene. O meglio un’idea ce l’avevo.

«Hola Lorenso. Que pasa?»

Quell’idea si materializzò alle mie spalle con un irresistibile accento castigliano. Mi voltai con un sorriso da ebete, contemplandone in silenzio le forme e i colori. Quell’idea aveva un nome. Vanessa.

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Massimo Lazzari
Aspettando il libro perfetto

Autore di La Storia dell’Acqua (2021), La Fine della Terra (2019), Il libro perfetto (2017), Quando guardo verso Ovest (2015) ed Esprimi un desiderio (2012)