Essere uno sviluppatore in Italia fa schifo — Parte 1

Roberto Mossetto
Blue Partners
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14 min readJan 10, 2018

Nelle puntate precedenti…

In Essere uno sviluppatore in Italia fa schifo — Parte 0 abbiamo iniziato a raccontare il quadro generale della nostra ricerca. Il primo aspetto da cui siamo partiti, senza vergogna alcuna, è stato l’elencare tutti i possibili bias dell’iniziativa: ce ne sono molti, alcuni potevamo prevederli mentre altri sono emersi in maniera spontanea.

Abbiamo poi approfondito la provenienza dei nostri intervistati: chi ha risposto dall’Italia e chi dall’estero, andando poi a segmentare secondo le singole regioni italiane.

In maniera né troppo superficiale ma nemmeno troppo specifica, abbiamo infine provato a rispondere ad una delle grandi domande: ma uno sviluppatore italiano più o meno quanto guadagna? I numeri ci hanno detto che, in Italia, guadagna circa € 32k mentre all’estero può arrivare facilmente a più del doppio. Parlando esclusivamente del nostro Paese, la Lombardia si è confermata come la regione più importante: il resto del Nord, insieme al Lazio, risultano un po’ più indietro mentre il gap con il Sud è quasi abissale.

Adesso continueremo la nostra analisi di altre macro aree di riferimento (titolo di studio, formazione, community, eventi, …) magari azzardando qualche simpatica correlazione fra queste grandezze 🤓

La parte sulle tecnologie può ancora aspettare, ma tanto lo sappiamo già tutti senza bisogno di una ricerca dedicata: PHP, Java e Javascript sono le tre tecnologie che vengono maggiormente utilizzate dagli sviluppatori italiani e sono anche le più odiate 😂

PS: tutto ciò che riguarda i salari è da intendersi come cifra lorda.

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Nel questionario abbiamo fatto una serie di domande non strettamente collegate al mondo del lavoro bensì focalizzate sull’attitudine delle persone.

E’ stato un piccolo esperimento, per capire se esiste una qualche sorta di correlazione fra il mondo delle community e del self-learning rispetto alla soddisfazione lavorativa. In questo approfondimento (non subito, ma fra qualche riga) andremo a vedere che risultati ci ha portato.

Riprendiamo la sfilata di grafici con una torta tripla per valutare titolo di studio, propedeuticità dello stesso rispetto al ruolo di professionista IT e stato occupazionale attuale.

Il profilo più comune che emerge è un laureato in ambito informatico che lavora esclusivamente come dipendente. Questo tipo di profilo porta a casa un salario annuale di € 33.622,40. Il laureato in informatica che lavora come dipendente E freelance sale a € 35.125,00 mentre se lavora SOLO come freelance raggiunge € 42.362,02.

I disoccupati con una laurea in ambito propedeutico all’IT sono il 2%. Il dato interessante che si può osservare è che questo segmento è rappresentato da profili particolarmente junior (0–1 anni di seniority) oppure con una seniority molto elavata (dai 20 anni in su): non esistono casi intermedi.

Nella popolazione dei laureati, il 22% dichiara di aver conseguito un titolo di studio non relativo al mondo IT. Cercano però di recuperare in qualche modo, dedicando più tempo alla formazione (in media, quasi 1 ora in più a settimana rispetto a chi si è laureato in informatica: circa 6 contro 5), facendo più vita di “community” (39% vs 35%) e sviluppando anche nel tempo libero (71% vs 66%).

Gli effetti di questo approccio potrebbero essere intravisti nel salario: chi lavora come dipendente porta a casa € 36.090,18.

Chi fa anche il freelance guadagna € 35.750,00 e chi è solo freelance € 53.230,76. La disoccupazione è anche qui intorno al 2%, ma con una concentrazione superiore per profili mid-senior.

Prima di riprendere il discorso delle truppe paramilitari per le esecuzioni in piazza (se hai letto la Parte 0, sai a cosa mi riferisco), ci tengo a precisare ancora una volta la grossa influenza sul dato causata dal campione statistico. I laureati in ambito IT sono circa 3 volte i laureati non IT: il secondo campione è quindi molto più propenso ad avere casi limite che spingono i valori verso l’alto. Cambia anche la seniority media: un laureato IT ha un’esperienza di 7,39 anni mentre un non IT di 9,01. Purtroppo dai dati raccolti non riesco a definire delle ipotesi credibili, ma posso dire per la mia esperienza lavorativa che ci sono molti laureati in Ingegneria Delle Cose Davvero Complicate che decidono di spostarsi sull’ambito IT una volta entrati nel mercato del lavoro.

Anche fra i diplomati c’è la distinzione fra chi ha studiato materie inerenti allo sviluppo (immaginiamo i diplomati degli istituti tecnici) e chi no (buona parte di tutti gli altri istituti superiori).

Qui si vede subito un “gap” importante fra diplomati e laureati: a fronte di una seniority media superiore (9,11 anni) un lavoratore dipendente con solo il diploma di istituto tecnico si ferma a € 28.673,16. La distanza viene colmata da chi affianca anche l’attività da freelance (€ 35.740,84) e da chi lavora solo come freelance (€40.377,94). Indovinate la disoccupazione? Anche qui al 2%! In questo caso però torniamo alla polarizzazione dei laureati IT: coinvolge principalmente ultra junior o ultra senior.

Passando ai diplomati di istituti non tecnici, chi oggi è dipendente percepisce € 34.257,33. Qui però faccio subito delle precisazioni: è un sotto-segmento abbastanza piccolo (quindi solito discorso sull’attendibilità statistica) al cui interno però si trovano alcuni dei super senior che oggi sono CTO o IT Manager ad infiniti mila euro. Ora io non conosco le lore storie, ma se vedo seniority di 25–30 anni non penso di commettere un omicidio accademico se affermo che il mondo dell’istruzione e del lavoro di fine Anni ’80 era ben diverso da dove ci troviamo noi.

Chi fa anche il freelance si sposta in zona € 36.988,11 e chi fa solo il freelance € 37.603.38. Tassi di disoccupazione un po’ più alti in questo caso (2.5%) e sempre polarizzati agli estremi.

Le licenze medie non le copro in dettaglio perché il campione è troppo piccolo (è quello spicchio verde minuscolo) mentre ho qualche perplessità su Dottorati/Master.

Temo infatti che l’utilizzo del termine Master — secondo definizione italiana di corso specialistico post-laurea — abbia causato qualche confusione a chi lo ha interpretato secondo definizione internazionale, cioè una semplice laurea specialistica ( == Master of Science). Anche questo campione non è enorme, quindi non farò eccessiva sotto-segmentazione: chi è dipendente percepisce € 48.359,41 (seniority 8,67 anni), chi è anche freelance € 39.642,85 (12,57 anni), chi è solo freelance € 63.456,52 (14,26 anni); disoccupazione al 2.8%. I numeri di per sé potrebbero anche stare in piedi, ma non sono convintissimo.

Il key-learning che ci portiamo a casa con questa analisi è abbastanza evidente: agli occhi delle aziende che devono assumere un dipendente full-time, la laurea continua ad essere un titolo preferenziale (IT o non IT che sia). Il mondo freelance invece è decisamente più democratico e non penalizza nessuno in base al titolo di studio.

Numeri veri? Storie credibili? Empiricamente mi sento di dire di sì. Le società di consulenza più grandi (cioè, alla fine dei conti, le realtà con il maggior numero di dipendenti IT in Italia) hanno adottato la laurea in informatica come titolo obbligatorio per i neo-assunti. Chi è stato tagliato fuori da questa illuminatissima decisione (/s) ma ha voluto comunque rimanere nel mondo IT è andato a lavorare in altri tipi di società oppure ha iniziato un percorso da freelance. Chiaramente dire che “laureato in informatica” == “IT Consultant” è decisamente errato e forzato, ma se non avete impegni per marzo/aprile vi suggerisco un giro ai Career Fair delle facoltà di informatica più importanti in Italia: posso garantirvi che l’omino verde di Reply sarà sempre lì ad attendervi 🏃‍

Per i più curiosi, lascio comunque una tabella riassuntiva che racconta salario e seniority delle 3 categorie professionali in esame (dipendente, freelance, dipendente E freelance) senza distinzioni di titoli di studio e propedeuticità degli stessi.

La differenza fra dipendente “puro” e dipendente che lavora anche come freelance è nell’ordine degli spiccioli (meno di 3k lordi): d’altronde se 40 ore settimanali sono impegnate dal proprio datore di lavoro è abbastanza complicato pensare a chissà quali progettoni alla sera o nel weekend.

Rispetto ai frelance “puri” troviamo invece dei delta più evidenti, sia come salario che come seniority. Qui però ci scontriamo anche con il sottobosco fiscale e burocratico del lavoro autonomo: in valore assoluto si percepiscono più soldi, poi quanti e quali ne rimangono è un altro discorso 😒

Terminata questa prima analisi su occupazione e titolo di studio (per la quale ho voluto usare un approccio possibilista in modo da evitare crisi isteriche di massa), passiamo ad un altro tema caldo: la formazione.

Come vedremo più in là, l’assenza di formazione in azienda è uno dei motivi di insoddisfazione più frequenti fra i partecipanti alla survey. Il grafico qui sopra però sposta il focus sulla libera iniziativa dello sviluppatore; la domanda infatti è:

Quante ore alla settimana dedichi alla formazione e al tenerti aggiornato/a?

Il risultato che emerge descrive una situazione in cui uno sviluppatore dedica 1–2 ore al giorno al tenersi aggiornato in maniera autonoma. Considerando che il 98% degli sviluppatori ha un’occupazione (come dipendente e/o freelance) e immaginando il classico orario di lavoro 9.00 — 18.00, è credibile immaginare un professionista che dedica un’oretta ogni sera a questa attività e magari nel weekend procede con ulteriori approfondimenti.

Un grosso bias di questo dato è tuttavia collegabile alla natura stessa della domanda. Abbiamo chiesto di stimare un monte ore settimanale dedicato alla formazione autonoma: a meno di non trovarsi di fronte a professionisti che ogni giorno, in maniera estremamente metodica, dedicano esattamente X ore a questa attività parliamo di semplici stime che possono essere influenzate da una serie di fattori esterni (a partire dalla percezione del proprio ego). Ad esempio, in alcuni casi, ho trovato risposte in cui si dichiaravano 50–60 ore di formazione alla settimana pur lavorando come dipendenti: classica situazione dello sviluppatore visionario convinto che la pratica sia intrinsecamente formazione. Va bene, ne prendiamo atto, ma c’entra davvero poco con il senso di questa domanda.

Qualche approfondimento su formazione e stato occupazionale?

I disoccupati dedicano in media 8,61 ore alla settimana alla formazione. Alcuni dichiarano fino a 40 ore: dato credibile e, soprattutto, apprezzabile in un’ottica di rientro sul mercato del lavoro. Un po’ più preoccupante, invece, chi dichiara da 0 a 5 ore di formazione alla settimana: è un segmento piccolo, ma non troppo.

Chi lavora come dipendente dedica in media 5,31 ore alla settimana. Dato credibile anche in questo caso, immaginando un’ora di approfondimenti ogni sera al ritorno dall’ufficio.

Qui proviamo a fare una prima correlazione fra ore di formazione, salario e seniority: nel range 0–10 ore/settimana (cioè quello che mi sento di definire il più realistico e che copre il 92% dei casi studiati), è interessante osservare la correlazione positiva fra ore di studio e salario a parità di seniority.

Guardate il salto molto evidente fra chi decide di non studiare neanche sotto tortura e chi si sforza di investire giusto 1–2 ore alla settimana in formazione: da 27k a quasi 32k. Il salto è ancora più evidente per chi decide di garantire 1–2 ore al giorno: fino a 36k.

Nel range 11-30 (e oltre) ore/settimana troviamo l’8% dei casi. Qui la correlazione è meno forte, addirittura negativa in alcuni casi. Senza voler scendere troppo nei dettagli, credo che lo scenario sia definibile in maniera molto semplice: in questo range rientrano molti di quelli che hanno sparato cifre a caso unitamente a quei profili junior in stage e/o part-time che possono (e vogliono) dedicare più tempo alla formazione. La prova empirica di questa mia supposizione è data dal range “21–30 h”: le medie di salario e seniority sono le più basse del campione.

Chi lavora come freelance dichiara 7,48 ore di studio in autonomia alla settimana: sono 2 ore in più di chi fa il dipendente e, considerando la diversa libertà organizzativa delle due figure, direi che è abbastanza coerente.

La correlazione fra ore di studio e salario, in questo caso, presenta subito un caso limite. Nel segmento di chi non studia (0 h) abbiamo infatti la casistica di alcuni profili super senior e super specializzati in tecnologie di nicchia che dichiarano salari oltre i 90–100k. Non voglio farmi i cazzi loro, ma posso pensare che queste persone abbiano già abbondantemente studiato in passato rispetto al loro ambito di competenza e che oggi non abbiano necessità di imparare altre cose.

Gli altri segmenti sono comunque spostati verso valori maggiori rispetto ai dipendenti: se per questi ultimi il 60% del campione rientrava nel range 1–5 ore/settimana, per i freelance il 69% rientra nel range 3–10 ore/settimana.

Qui il salto più evidente è fra chi dedica giusto qualche minuto ogni giorno alla formazione e chi invece la rende un’attività quotidiana regolare: dai 35k di chi dedica 1–2/ore a settimana si passa ai 40k dei 3–5 ore/settimana e si arriva ai 47 dei 6–10 ore/settimana.

Oltre le 11 ore/settimana, anche in questo caso, i risultati iniziano ad essere meno correlabili. Il segmento 16–20 ore/settimana è spinto verso l’infinito e oltre dalle risposte di alcuni expat che dichiarano più di 250k mentre dalle 21 ore/settimana in poi ritorna la correlazione negativa. Con i freelance direi che però questa informazione ha un minimo di attendibilità: nel trade-off fra ore dedicate al lavoro (e che aumentano il fatturato) e ore dedicata allo studio, non ho difficoltà ad immaginarmi dei professionisti che decidono di ridurre i progetti in carico per dedicarsi all’aggiornamento e allo studio di nuovi argomenti.

Lo scenario di chi lavora come dipendente e anche come freelance segue più o meno lo stesso trend, con una media globale di 7,51 ore/settimana dedicate alla formazione.

Il segmento da 0 ore/settimana è molto piccolo (meno di 10 persone), quindi con una forte variabilità intrinseca: un C-level e due expat spingono subito i valori verso l’alto. I segmenti “realistici” (da 1 fino a 10 ore/settimana) invece riportano la solita correlazione positiva fra ore e salario.

Riporto infine il dato sui disoccupati che — sottolineo ancora una volta — coprono un segmentino davvero minuscolo: il 2% delle risposte. Fare un’analisi troppo dettagliata sarebbe dunque una mezza perdita di tempo però non nascondo che mi sarei aspettato dei valori un po’ più elevati.

Paternale time: se in questo momento sei disoccupato/a, cerca di investire del tempo nella formazione, nell’aggiornamento e nella specializzazione. Il mercato del lavoro IT è estremamente dinamico e se accetti qualche compromesso puoi trovare un impiego abbastanza rapidamente. Tuttavia, se vuoi garantirti una certa “sicurezza” sul lungo periodo, cerca di capire quali sono i trend tecnologici emergenti e specializzati in maniera approfondita su uno di essi.

Concludiamo la Parte I andando ad analizzare la vita di “community” e lo sviluppo nel tempo libero. Anche in questo caso, il focus principale è sulla volontà autonoma degli intervistati che decidono — o meno — di fare questo tipo di attività indipendentemente dalle decisioni dei propri datori di lavoro.

Non nascondo la mia grande curiosità verso questi argomenti: credo infatti che esista una sorta di “contaminazione positiva” quando i professionisti di un determinato ambito decidono di confrontarsi in contesti informali ed extra lavorativi. Al momento è una peculiarità del mondo IT: per ogni meetup mensile vagamente “business”, ce ne sono almeno 10 relativi all’IT.

Sotto la definizione di “community” abbiamo fatto rientrare conferenze, meetup e workshop: è un perimetro decisamente largo (dal meetup di 5 persone sperduto nel nulla fino al Web Summit) ma abbiamo ipotizzato una distinzione abbastanza netta fra chi partecipa a queste iniziative con regolarità e chi no.

Discorso simile per lo sviluppo nel tempo libero: la domanda è abbastanza generica ma non accetta sfumature fra “sì” e “no”. Si poteva pensare a qualche approfondimento in più, magari per capire il rapporto dei dev italiani con il mondo dei FOSS, ma se ripenso all’infelice sorte toccata a tutte le altre domande semi-aperte (decine di paragrafi di riflessioni in pieno flusso di coscienza, spesso OT) forse ci è andata bene così 😌

Il dato che emerge è abbastanza chiaro in entrambi i casi: se da un lato abbiamo una netta maggioranza che sviluppa anche nel tempo libero (70% contro 30%), dall’altro lato l’ago della bilancia è in favore di chi non partecipa alla vita di comunità (60% contro 40%). Il 29,66% degli intervistati invece dichiara di sviluppare nel tempo libero nonché di partecipare alla vita di comunità; il 20,85% non fa né l’uno né l’altro.

Quest’ultimo punto sulle community non ha una maggioranza così netta: effettivamente se pensiamo a tutti gli eventi piccoli e grandi organizzati in Italia (Codemotion, GrUSP, CloudConf, Italia JS, PUG, …) le opportunità a disposizione sono decisamente in crescita. Si può però fare meglio: i nostri connazionali che vivono all’estero partecipano a questo tipo di iniziative nel 65,97% dei casi mentre chi vive in Italia si ferma al 34,55%. Possiamo vederci un fattore attitudinale oppure la convinzione che gli eventi in Italia siano qualitativamente inferiori mentre all’estero è tutto fighissimo a priori (cosa assolutamente non vera) ma rimane un gap decisamente elevato.

And now it’s correlation time!

Andiamo ad analizzare la relazione fra quanto visto poco fa (la partecipazione alla vita di community e lo sviluppo come hobby) con il denaro. Le prime due tabelle sono specifiche sulla singola domanda, mentre la terza le incrocia: in questo modo abbiamo chi fa entrambe le attività, chi ne fa una e l’altra no e chi non fa nessuna delle due.

Senza troppi giri di parole — e come auspicabile — emerge una situazione in cui è sempre preferibile fare qualcosa di extra rispetto al non fare nulla: sulle community il gap è elevato (immagino perché influenzato dai dati degli expat) mentre sugli hobby è meno evidente ma comunque in favore di chi è “attivo” (salario sensibilmente più alto a fronte di una seniority sensibilmente più bassa). Fra hobby e community, è sempre preferibile dare la priorità a quest’ultima.

La lettura che posso dare di questo dato è soprattutto empirica. Partecipare ad un evento di community, dal meetup alla conference, rappresenta un’enorme opportunità di networking: anche al più sfigato degli eventi non è difficile trovare qualche azienda che sponsorizza birra e pizza con l’obiettivo di fare employer branding e/o recruiting.

A questo va aggiunto il networking che si fa con gli altri partecipanti e la classica frase “Sai che la mia azienda sta cercando qualcuno da assumere e secondo me potresti andare bene?”. Sempre meglio avere un contatto in più che uno in meno, insomma 😉 Poi naturalmente c’è tutto il discorso legato alla formazione e all’approfondimento, ma di quello ne abbiamo già parlato.

Lo sviluppo anche nel tempo libero invece ripaga di meno. Qui siamo forse in una sorta di zona del dubbio: cosa si intende per hobby? Se una persona nel tempo libero sviluppa l’E-Commerce Magento per l’amico facendosi pagare, è hobby oppure attività da freelance? Come viene valorizzato economicamente da un datore di lavoro lo sviluppo nel tempo libero? C’è qualcuno oltre a noi nell’universo? Diciamo che un side project, per quanto bello ed interessante, è meno spendibile rispetto al semplice contatto che si può avere all’interno di un’azienda.

Bene, anche questa volta ci fermiamo qui. Abbiamo visto un po’ più nel dettaglio la situazione lavorativa dei partecipanti, analizzando i loro salari, i loro background e le loro attività per tenersi aggiornati: come già detto altre volte, non vogliamo proporre questi dati come “verità assolute” bensì come spunti di riflessione con qualche dato/analisi a supporto.

Ci rivediamo fra qualche giorno con i prossimi approfondimenti 👾

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