Scrivere (per) un gioco storico. Wer ist Wer - Chi è Chi

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Breakfast with Muesli
9 min readFeb 26, 2021

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(di Benedetta Pierfederici)

Ipotesi di personaggi (in bella copia)

«I procedimenti narrativi sono come campi magnetici: provocano domande, e attraggono documenti potenziali»
(Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce)

La parola storia esiste

In un romanzo bellissimo di Jonathan Safran Foer, Eccomi – l’ultimo suo pubblicato (in italiano, da Guanda nel 2016) –, seguiamo le vicende di una famiglia di ebrei statunitensi, con i rami collaterali anche d’oltreoceano. Uno dei tre figli gioca a Other Life, anzi “vive”. Ma non è di questo che volevo parlare, dei giochi dentro i romanzi. Durante un viaggio in macchina, riprendo il filo, Jacob, il padre, è al telefono in una difficile conversazione con sua moglie e quindi decide di alzare il volume della radio perché gli altri passeggeri si distraggano da quel nodoso confronto. Alla radio, un linguista racconta della passione per l’enantiosemia. Ecco di cosa volevo parlare. Di questa caratteristica di alcune parole di significare una cosa e anche il suo contrario. «Un film pauroso è un film che fa paura, mentre un uomo pauroso è un uomo che ha paura», nella traduzione italiana di Irene Abigail Piccinini. Poi c’è spolverare (di zucchero una torta, o i mobili: mettere o togliere una polvere). Proviamo a pensarne altre. Proviamo a pensare alla parola storia.

Secondo il Dizionario De Mauro, la storia è la narrazione sistematica, studio e interpretazione critica delle vicende dei popoli e delle nazioni. È una disciplina che sta molto vicina alla “verità”, alla “realtà”. È un fatto verificabile. Ma storia è anche una favola, una fiaba, addirittura una fandonia. Scorrendo i significati offerti dal Dizionario che sto consultando, si può vedere questa parola in tutta la sua meravigliosa enantiosemia. Fa la ruota come un pavone.
Quando si scrive (per) un gioco storico, si disegnano alcuni degli occhi di quella ruota.

Il gioco e la storia (ci avviciniamo all’argomento)

Nel gioco «non leggiamo né ascoltiamo le vicende di qualcuno raccontate da altri, come nella letteratura; non guardiamo le avventure di altre persone, come nei film o nelle serie tv non interattive: siamo protagonisti in prima persona della storia. E immersi nelle storie, giocando, riusciamo a conoscere di più».
Ma come si costruisce un gioco di contenuto storico? Da dove si comincia e come si procede per attraversare quella ruota di significati della parola storia?

Si parte dall’inizio. Si parte dalla ricerca. [Serve forse specificare che pensiamo ai giochi di argomento storico non come a occasioni per “riscrivere la storia”, per trovarci a un certo bivio e infilare un’altra strada, diversa da quella percorsa, ma come a occasioni per stare, appunto, immersi in una storia nella storia.]

Per Wer ist Wer, ora lo dico rapidamente ma poi ci torniamo su punto per punto, un’escape room ispirata al trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino (1989-2019), ho cominciato con la lettura di alcuni volumi, per individuare il contesto storico e culturale delle vicende della Germania Orientale, ma soprattutto gli elementi portanti di un sistema via via più sofisticato che per circa quarant’anni, nella seconda metà del Novecento, ha tenuto sotto controllo la vita quotidiana (individuale e sociale) di milioni di persone. Abbiamo poi consultato l’archivio l’online della Stasi e allestito una bacheca condivisa di Trello per organizzare ispirazioni e suggestioni: film, fotografie, allestimenti, oggetti, manifesti pubblicitari…

Questa escape room immerge chi gioca in un’atmosfera che non vuole mimare l’immaginario legato a un certo periodo storico, ma apre a una realtà in cui uno Stato verifica che i cittadini e le cittadine siano conformi alle regole. Nell’ideazione, gli elementi che abbiamo preso in considerazione, in un processo di selezione necessario (non si può usare tutto quello che si è letto e studiato, ma tutto quello che serve al gioco e alla narrazione), sono stati le procedure e le modalità messe a punto negli anni (affinate per successive approssimazioni), le suggestioni e le particolarità della vita quotidiana sotto lo sguardo della Stasi (uno sguardo di cui non si era sempre consapevoli), le vicende di alcune persone. Alcuni di questi elementi sono diventati la struttura dell’intera esperienza di gioco, non una sua premessa, dunque, non un puro e semplice pretesto o un fondale. Sono diventati meccaniche di gioco, enigmi, soluzioni.

Un team (pausa e spiegazione)

L’ho fatto nel paragrafo subito sopra e può darsi che continuerò a farlo anche nei prossimi, quindi SPOILER: non è un errore quando a volte il soggetto dei verbi sono io e a volte siamo noi.

La complessità che ogni periodo storico porta con sé, coinvolgendo vite, intenzioni, scelte individuali e collettive, ha tradizionalmente trovato nella forma di un saggio, quasi sempre di carta, il suo più naturale mezzo di descrizione. Nessuna pratica di public history può prescindere dalla ricerca e dalla ricerca formalizzata in un testo scritto. Nuovi formati, però, possono aiutare e favorire una comprensione più ampia di quella complessità, non solo per i diversi strumenti messi a disposizione, non solo per i diversi pubblici che possono raggiungere, o per il maggiore coinvolgimento che possono offrire, per la possibilità di vivere esperienze di conoscenza non individuali, ma perché, necessariamente, richiedono un lavoro interdisciplinare, la caduta dei muri tra competenze, la collaborazione.
Serve, dunque, un gruppo di persone con attitudini e competenze diverse che si trovano insieme a pensare, singolarmente a lavorare, insieme a ragionare, singolarmente a provare… [Vi è per caso venuta in mente la scena di Non ci resta che piangere? Bene, perché anche ridere serve, quando si progetta un gioco.] È quello che abbiamo fatto, nel team di We Are Müesli. Nell’elaborazione del game design si è proceduto per tappe successive di progettazione, verifica e revisione. In ogni momento le varie competenze sono state messe in discussione per riuscire a integrare in un’unica esperienza contenuti narrativi e artistici, contestualizzazione storica e divertimento ludico (sfortunatamente, la linearità della lingua scritta non consente di disporre contemporaneamente questi elementi…). La piattaforma Airtable si è rivelata molto utile per la gestione contemporanea di personaggi, enigmi, schemi di gioco.

La storia del/nel gioco

La notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, a Berlino, l’esercito della Germania Orientale dispone metri e metri di filo spinato e sistema sentinelle a intervalli regolari, lungo una linea tracciata con vernice bianca. Il mattino dopo, al risveglio, i tedeschi occidentali e orientali si trovano definitivamente separati e cominciano la loro esistenza in ognuna delle due mezze città che crescono come gemelli diversi (tutto è duplicato, ma nessuna delle due metà è totalmente autosufficiente). La vita da un lato e dall’altro del Muro – che nel frattempo si comincia a costruire e a munire via via di sistemi più sofisticati di protezione si concluderà ufficialmente il 9 novembre 1989.
Sono anni dominati dal Ministero per la Sicurezza dello Stato (MfS), dalla sua costituzione (l’8-9 febbraio 1950) il braccio operativo del SED, il Partito di unità socialista che guidava la Repubblica democratica tedesca, proclamata il 7 ottobre 1949: la Stasi (così il Ministero era ed è conosciuto) monitorava la situazione economica del Paese, la qualità della vita, le vicende dell’attualità; favoriva la messa in pratica delle direttive governative, allentando o stringendo i controlli in base al clima internazionale e alle necessità politiche; vigilava – seguendo scrupolosamente gli articoli di legge che negli anni sono stati modificati a questo scopo – sulla vita dei cittadini e delle cittadine.
Tutte le attività della Stasi erano rigidamente organizzate secondo regole e procedure che descrivevano minutamente le operazioni da compiere, in quale ordine eseguirle e chi doveva occuparsene. Oltre alla generica (e quindi ampia) definizione di “nemico dello Stato”, una serie di articoli del codice penale stabiliva con precisione i reati di cui si potevano accusare non solo gli oppositori espliciti del regime, ma anche cittadini normali che nelle loro normali attività preferivano non seguire le direttive del Partito.
Anche se, prese singolarmente, le informazioni raccolte erano innocue e addirittura insignificanti, la Stasi metteva insieme i frammenti per formare un quadro generale più dannoso. Ogni elemento, dunque, era considerato importante e degno di essere conservato e archiviato. I materiali raccolti nelle varie zone della Germania Orientale venivano crittati e inviati alla sede centrale della Stasi a Berlino, dove erano decrittati e classificati.
A distanza di trent’anni dalla caduta del Muro e dall’apertura degli archivi della Stasi, per i tedeschi orientali è ancora difficile raccontare le vicende in cui sono rimasti coinvolti. Le loro testimonianze e le loro storie (anche dei funzionari della Stasi, anche dei responsabili politici), vagliate e considerate nel contesto più generale, sono importanti per capire che aria si respirava in Germania Orientale. È a partire da alcune di queste vicende che si sono individuati i nove personaggi con cui chi gioca si confronta.

Il gioco (senza spoiler)

1. Il titolo. Wer ist Wer?, Chi è chi?: il capo della Stasi dal 1957 al 1989, Erich Mielke, riassumeva in questo slogan (che ricalca il titolo di un più neutro repertorio biografico, diffuso nel Novecento) la missione del Ministero per la Sicurezza dello Stato. Abbiamo voluto che in queste parole fossero contenute non solo le vicende della Germania Orientale, ma la paranoia di ogni forma di potere che, in ogni tempo, vuole stabilire chi è conforme e chi no, chi è dentro e chi è fuori, di ogni potere che segna confini, che costruisce muri per distinguere e separare, che instilla timore e insicurezza proprio quando afferma di volersi far garante di protezione e sicurezza.

2. La narrativa. A differenza delle comuni esperienze di gioco secondo il format degli escape game, i giocatori non devono trovare il modo di fuggire da un luogo. Sono, invece, informati di essere cittadini di uno Stato che periodicamente sottopone la popolazione a un Test di Conformità. Gli enigmi da risolvere riguardano altri cittadini e altre cittadine dello Stato, di cui si deve valutare la conformità per mostrare così la propria. La Stasi, nel gioco, è lo Schloss, il Servizio di Chiarificazione della Lealtà e dell’Orientamento per la Sicurezza dello Stato, l’ente che produce e analizza il Test di Conformità. I giocatori devono districarsi tra regole e procedure in mutamento, che riguardano tutti gli aspetti della vita quotidiana.

3. Il game design. La dinamica è pensata perché il gioco sia collaborativo e i partecipanti siano dunque naturalmente coinvolti, ciascuno secondo le proprie competenze e i propri interessi. Nel flusso di gioco, inoltre, si superano livelli di complessità crescente. Gli enigmi da risolvere riguardano le vite di nove personaggi, impersonati da attori e attrici teatrali. Di una guardia di confine, di una donna che gestisce un locale, di un manager di una band musicale, di un’agente di commercio, di un religioso, di una fotoreporter, di una spia, di un’infermiera, di un attore, si deve capire non solo il codice identificativo della pratica (chi gioca si muove all’interno dell’archivio dello Schloss), ma anche la conformità o non conformità alle regole. Non sempre la valutazione sarà palese. Si vive così, giocando, un’esperienza di sospetto, dubbio e incertezza. Nessuno è mai veramente libero, in uno Stato che controlla i propri cittadini.

Dopo la ricerca, la sceneggiatura (e una trama)

Prima i personaggi, però. Li ho evocati già tre volte (se ho contato bene). Nove personaggi, nove cittadini e cittadine di questo Stato che vive solo nelle regole. Deciderli, prima ancora: immaginarli, è stato un momento importante del mio lavoro, un momento in cui le pagine lette si sono dovute trasformare senza perdere di profondità. Mi sono state affidate delle cartoline tutte uguali: su ognuna, la sagoma di un volto, in basso una riga. A partire da quel contorno e da quella riga, ho cominciato a scrivere un nome, qualche parola di biografia, un’ipotesi di conformità o non conformità. Non so disegnare, quindi non ho aggiunto occhi, capelli, altri lineamenti, ma nella mia mente il loro aspetto era chiaro. Hanno cominciato a diventare persone, con una storia, con delle vicende che le avevano portate a vivere nella capitale dello Stato. Di qua, dicono. Vivono Di qua, ma non posso ignorare cosa avviene Di là. Ecco una trama che si va creando.
Nelle loro vicende sono confluite quelle di persone realmente esistite o di personaggi di finzione e altri elementi che combinati insieme hanno preso forma.

Le regole, anche (faccio sempre molte premesse, lo so). Me ne sono venute in mente alcune, una notte; si sono srotolate a partire da quella che dice: «Un buon cittadino, una buona cittadina contribuisce al benessere dello Stato». Ne abbiamo parlato, abbiamo scelto quelle più adatte a contenere e definire il mondo che stavamo delineando, quelle più interessanti per gli enigmi, ne abbiamo pensate altre.

La sceneggiatura, dice il titolo qualche riga qui sopra. Sì, perché le nove persone sono state interpretate da nove attrici e attori e per ciascuna e ciascuno di loro abbiamo preparato un copione, il mondo in cui muoversi, una vicenda che sarebbe stata riassunta in un minuto e mezzo di video, con cui chi gioca l’esperienza dal vivo interagisce.

Anche una trama. Ce ne siamo accorti a pieno quando abbiamo sfogliato le prime copie di Chi è Chi, la versione cartacea e digitale di Wer ist Wer. Con questo gioco raccontiamo una storia, in un esperimento narrativo che può essere considerato una buona pratica di public history.

Torniamo ai libri (è che mi disegnano così…)

Questi sono i volumi che ho, che abbiamo, letto nella fase iniziale di progettazione: di Timothy Garton Ash, Il dossier (Garzanti, Milano 2017); di Gianluca Falanga, Il Ministero della Paranoia. Storia della Stasi (Carocci, Roma 2015) e Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlino (Carocci, Roma 2017); di Anna Funder, C’era una volta la DDR (Feltrinelli, Milano 2005). Abbiamo anche riletto Il castello di Franz Kafka: le sue opere ancora oggi restituiscono il migliore ritratto di una società disumanizzata dalle regole.
Ho poi usato L’età dei muri. Breve storia del nostro tempo di Carlo Greppi (Feltrinelli, Milano 2019); La macchia umana di Philip Roth (Einaudi, Torino 2001); e ho riletto Italo Calvino, soprattutto articoli e saggi.

P.S. Safran Foer, pubblica presto un altro romanzo!

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