Reinventarsi Insigne

Matteo Pilotto
6 min readNov 2, 2018

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A.A. e d.A. Tra vent’anni, colti da improvvisa nostalgia, andremo a ricordare la carriera di Insigne separandola in due diverse eree: “Avanti Ancelotti” e “Dopo Ancelotti”.

Era il 23 Maggio quando Ancelotti veniva annunciato come il nuovo allenatore del Napoli. Niente più Sarri, niente più calcio a memoria, era già tempo di nuovo sotto il Vesuvio. Al tecnico di Reggiolo il difficile compito di far dimenticare la stagione dei record, quella del secondo posto e dello scudetto perso in una notte nefasta in un Hotel a Firenze.

Quel Napoli è stato la cosa più vicina al titolo dall’era Maradona. Lo sapeva Sarri, non più sicuro di ricavare altra energia mentale da un gruppo spremuto al massimo per tre anni, lo sapeva Ancelotti, sceso a Napoli per ridare energia. Una campagna estiva priva di grandi nomi aveva messo in agitazione il popolo azzurro, preoccupato di rivedere un Napoli nuovamente lontano da una Juventus mai vista così da vicino.

Cambiamento in punta di piedi

L’ingresso di Ancelotti nella dinamica Napoli ha ricordato sin da subito quello di Allegri in una Juventus abbandonata da Antonio Conte. Fase di studio iniziale, niente rivoluzioni, prima di capire effettivamente dove andare a mettere mano, dove togliere certezze per ridare quell’energia che solo il nuovo, il diverso ti sa dare.
Dopo le prime tre partite di campionato si inziavano a notare differenze nella gestione del pallone, nell’ampiezza della squadra, nonostante la disposizione in campo fosse rimasta inalterata. Fino alla partita di Genova. È in quel 3–0 che Ancelotti ha capito di dover capovologere i principi di base del suo Napoli e liberare il potenziale di un talento che, fino ad allora, non era mai riuscito a concretizzare tutto quello che era stato capace di creare. 8 gol segnati in A nel 17/18 risultavano ancora distanti dai 14.7 expected goals (xG) prodotti. Un trend che si rinnovava di stagione in stagione e che aveva ormai bollato il numero 24 del Napoli come un ottimo creatore di gioco ma poco efficace sotto porta. Con Ancelotti Insigne è già salito a quota 7 gol segnati, 2.74 in più dei 4.26 xG, senza contare i 2 gol in 3 partite in Champions League. Insigne non solo sta concretizzando come mai prima le occasioni presentate ma sta andando oltre le attese. Dopo un inizio da ala mancina, in continuità con il passato, Ancelotti l’ha prima provato da trequartista — a Belgrado e Torino (2 gol nell’ 1–3 finale) — per poi trovargli collocazione finale come attaccante-spalla di Mertens o Milik, a rotazione, in un 442 moderno.

Perchè e come

Se Garcia è entrato nei cuori giallorossi riportando “la Chiesa al centro del villaggio”, Ancelotti ha spostato la “Chiesa” Insigne al centro dell’attacco partenopeo.

L’evoluzione della posizione di Insigne da l’ultima con Sarri all’ultimo Napoli-Roma

Le diverse heatmap — dall’ultima partita di Sarri all’ultimo Napoli-Roma — segnalano un cambiamento graduale ma radicale della sua posizione in campo. Dopo un inizio conservativo in cui Ancelotti lo vedeva ancora largo a rappresentare il regista offensivo del Napoli, Insigne è diventato un rifinitore meno protagonista nella costruzione della manovra partenopea e maggiormente indirizzato verso la conversione della mole di gioco creata dal Napoli. Una trasformazione supportata dalle statistiche relative al numero di passaggi completati a partita, dai 65.9 dello scorso campionato ai 43.9 di questa stagione, e dalla frequenza con cui va a segno, da 1 gol ogni 388 minuti a 1 ogni 109.
È un nuovo Napoli anche per la diversa ricerca delle soluzioni di gioco. Se Sarri si affidava unicamente a 13–14 giocatori, Ancelotti va a trovare nell’intera rosa caratteristiche complementari che permettono di andare oltre, di evolvere, ed allo stesso tempo motivare giocatori ai margini del progetto tecnico nella passata stagione. La stessa reinvenzione di Insigne è figlia della bontà della rosa del Napoli. In Zielinski e Fabian Ruiz Ancelotti ha trovato in gli uomini perfetti per sostituire Lorenzo come play avanzato.
Arrivato a Napoli come sostituto di Jorginho, la ricollocazione di Hamsik nel ruolo di play davanti alla difesa ha visto il centrocampista spagnolo protagonista di un’altra intuizione Ancelottiana .

L’ heatmap del match contro la Roma mostra come le zone toccate da Fabian siano perfettamente sovrapponibili a quelle una volta calpestate da Insigne. Gli stessi numeri certificano la perfetta staffetta tra Lorenzo ed il talento ex-Betis nel ruolo di regista esterno del Napoli. Dai 65.9 passaggi completati a partita con l’85.2% di precisione dell’Insigne dello scorso campionato, ai 58.9 con il 90.4% di precisione dello spagnolo in questo inizio di stagione. Disporre di un centrocampista atleticamente disposto a coprire quel ruolo ma con una tecnica non inferiore a quella di Insigne — 2.8 passaggi chiave a partita per Insigne nello scorso campionato, 3 per Fabian Ruiz — ha permesso ad Ancelotti di liberare il talento di Frattamaggiore verso le zone centrali del campo senza andare ad inficiare negativamente sulla qualità della manovra del Napoli.

Maggiore lucidità=maggiore pericolosità

Il rendimento di Insigne non è tuttavia solo figlio della diversa posizione assunta in campo ma è il risultato di una migliore efficenza nella gestione delle sue energie. Insigne non calcia con più frequenza verso la porta — invariate le conclusioni a partita, 3.8 — sono addirittura diminuite le conclusioni da dentro l’area di rigore: da 2.7 a partita a 2.4. È invece cambiata, radicalmente, la sua percentuale di realizzazione. Se nella passata stagione, in tutte le competizioni, ha convertito soltanto il 6% di tiri in gol, in queste prime 13 partite — tra campionato e Champions — ha trasformato in gol il 15% delle conclusioni. Sgravato dai maggiori impegni di copertura del ruolo di esterno, Insigne può concentrare energie mentali e fisiche in fase realizzativa. Non è un caso che nelle due stagioni con Benitez in panchina — da esterno sinistro in un 4231 — Insigne sia andato a segno soltanto 8 volte in totale, 6 nel 13/14 e 2 nel 14/15, record negativo in carriera.

“Sì, sono più sereno — ha detto nel post di Napoli-Sassuolo— e poi Ancelotti mi ha avvicinato alla porta. In questo modo faccio meno fatica in difesa e ripago i compagni e l’allenatore a suon di gol”

Lorenzo sembra arrivato al punto di svolta della sua carriera. Dopo anni di consolidamento come uno dei migliori rifinitori del calcio italiano, Ancelotti ha saputo dargli nuova linfa, massimizzare la sua qualità spostandolo più vicino la porta e reinventandone il ruolo. Quello che sorprende di Insigne è la velocità con cui ha saputo calarsi in una nuova realtà massimizzando, sin da subito, le occasioni da gol presentatesi. È un nuovo inizio che ricorda il percorso di Di Natale. Una talentuosa seconda punta capace di trasformarsi in un goleador seriale grazie all’intuizione di un maestro del calcio italiano. In quel caso Di Natale aveva superato i 30 anni, l’allenatore era Guidolin ma il ricorso storico, unito alle similitudini fisiche e tecniche, non può che evocarne l’associazione.
Un Insigne così apre porte inesplorate anche per la Nazionale di Mancini. La larga disponibilità di esterni — Chiesa, Bernardeschi, Politano, Berardi — unito al momento di difficoltà dei centravanti italiani offre l’opportunità di riproporre un Insigne centravanti anche in maglia azzurra. Dopo un triste mondiale brasiliano da non protagonista, ed una gestione Ventura da amici-nemici, Ancelotti sta dando ad Insigne la possibilità di affermarsi anche in maglia azzurra. Il talento c’è, l’intuizione anche, sarà la perseveranza, nel lavoro e nei risultati, a farci ricordare, un giorno, Insigne come un grandissimo talento del calcio italiano o come l’attaccante-simbolo della nostra Nazionale.

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