Lo smart working fatto bene

Cosa rende smart il lavoro da casa

Luca Grassi
Catobi
6 min readOct 18, 2020

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catobistrategy.com

In questi giorni impazzano le polemiche sul nuovo Dpcm, la chiusura anticipata dei locali e la crescita dei contagi. Sembra già molto lontana l’illusione estiva della vita senza la preoccupazione del virus e ci si rende improvvisamente conto che il virus in vacanza non ci va. Mai.
Lo spettro di un nuovo lockdown aleggia sull’autunno e, visti i recenti numeri, si corre seriamente il rischio di un “ce la faremo 2 — il ritorno”. Di nuovo scuole chiuse, file fuori dai supermercati e lavoro da casa.

Non ho scritto volutamente smart working perché durante le settimane del passato lockdown, per la maggior parte delle persone coinvolte, si è trattato più che altro di svolgere le proprie attività lavorative quotidiane da casa anziché in ufficio. Ma questo, in realtà, non è smart working. Ed è importante evidenziare le differenze tra le due situazioni per poter capire cosa sia veramente e quali siano le sue potenzialità e i benefici.

Ma allora cos’è lo smart working?

In genere quando non so qualcosa, lo chiedo a Wikipedia. Alla pagina Smart Working (o Lavoro Agile) si trovano diverse definizioni, ma quella utilizzata dal legislatore (LEGGE 22 maggio 2017, n.81, art.18) è molto efficace perché ne esplicita le caratteristiche fondamentali:

“una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”

Saltano subito all’occhio gli aspetti chiave: “accordo tra le parti”, “obiettivi”, “senza vincoli di orario o di luogo”, “strumenti tecnologici”. In sostanza datore di lavoro e lavoratore concordano alcuni obiettivi lavorativi, che il lavoratore si impegna a raggiungere attraverso gli strumenti, tecnologici e non, messi a disposizione dal datore di lavoro, il tutto senza un orario lavorativo prestabilito e una postazione fissa in ufficio.

È chiaro quindi come la definizione sia differente dalla situazione vissuta nei mesi passati, che è stata semmai una naturale risposta alle esigenze di necessità di distanziamento sociale e continuità di business. Inoltre, molte aziende, soprattutto tra le PMI, erano del tutto impreparate all’uso di questa metodologia di lavoro.
Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, ad ottobre 2019 il 58% delle grandi imprese aveva già introdotto iniziative concrete, contro il 12% delle PMI e il 16% della Pubblica Amministrazione. Mentre esistevano iniziative informali nel 7% delle grandi aziende, nel 18% delle PMI e 7% di PA. Nonostante fossero trend in aumento rispetto al 2018, risulta evidente come buona parte del mondo del lavoro si sia trovato impreparato di fronte al repentino cambio di metodologia lavorativa.
La notizia positiva è che, sempre dai dati raccolti dall’Osservatorio alla riapertura, il 68% dei lavoratori è riuscito a svolgere tutte le attività lavorative da remoto, il 29% è riuscito a svolgerne solo una parte, e solo il 3% non è riuscito ad eseguirne la maggior parte. E, inoltre, la maggioranza dei lavoratori intervistati ha dichiarato di aver apprezzato i vantaggi dello smart working e di voler continuare con questa modalità anche in futuro. C’è quindi la prospettiva di sfruttare i cambiamenti portati dall’emergenza COVID-19 per introdurre stabilmente nel mondo lavorativo uno strumento moderno come lo smart working. Ora però bisogna attrezzarsi per farlo bene.

Lo smart working fatto bene

Perché può sembrare scontato, ma l’applicazione del lavoro agile in azienda non è banale. Il punto fondamentale, come per molti altri aspetti dell’innovazione digitale (l’ha spiegato anche Marcello Grecchi nel suo articolo su CatobiStrategy), è il mindset.
Bisogna entrare nell’ottica che l’adozione dello smart working non passa solo dal dotare il dipendente di cellulare, portatile e software opportuni, strumenti indispensabili ma non sufficienti. La trasformazione deve essere più radicale e deve riguardare inevitabilmente le metodologie di leadership e dei processi aziendali.

Il core della filosofia di smart working è la valorizzazione della persona come risorsa; il manager deve imparare a delegare e ad avere fiducia nel suo dipendente, favorendone l’empowerment senza la necessità di un controllo costante del suo operato; mentre il dipendente deve essere in grado di gestire autonomamente le priorità, responsabilizzandosi nei confronti dei risultati. Lo strumento di verifica di questo rapporto è la valutazione del raggiungimento degli obiettivi lavorativi precedentemente concordati e, di conseguenza, vengono esaltati meritocrazia e talento. I vantaggi sono evidenti per entrambe le parti: il dipendente ha la possibilità di gestire il suo tempo e di avere un miglior work-life balance, mentre il datore di lavoro trova un dipendente maggiormente responsabilizzato, soddisfatto e coinvolto in quelli che sono gli obiettivi di risultato aziendale. Secondo le più recenti rilevazioni del già citato Osservatorio, in un modello “maturo” di Smart Working si può ottenere un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore.
Qui si trovano e diversi business case in cui le aziende spiegano come hanno implementato il lavoro agile e quali benefici ha portato.

Un altro aspetto fondamentale è la revisione dei processi aziendali, che vanno adattati alla nuova metodologia di lavoro. Nasce la necessità di gestire in maniera differente persone e progetti e di favorire la collaborazione tra le figure aziendali, con l’implementazione di tecnologie e strumenti adeguati, rendendo più facili e veloci i processi decisionali. E anche i processi di recruiting e talent management devono essere ricalibrati sulle nuove esigenze del sistema azienda.

Non bisogna poi trascurare l’educazione dei lavoratori, che vanno formati adeguatamente sulle nuove tecnologie in uso, imparando ad usare in maniera diversa strumenti già noti come telefono, email e riunioni, oltre ad essere maggiormente coinvolti in quelle che sono le strategie e la mission aziendali.

Infine, anche gli spazi lavorativi sono coinvolti in questa trasformazione, liberandosi di concetti come postazione fissa, ufficio o open space per andare verso ambienti più vivibili e orientati alla collaborazione. Ad esempio, nelle grandi aziende in cui la pratica è consolidata, ci si reca in ufficio quando è necessario interagire personalmente con colleghi, clienti o fornitori, riservando l’ambiente (scrivania, sala riunioni) adeguato per l’attività in programma. E in genere in queste aziende non ci sono abbastanza scrivanie per avere tutti i dipendenti in sede contemporaneamente.

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Le trappole dello smart working

Lo smart working ha anche alcuni aspetti negativi. Il primo è l’impressione di essere sempre connessi, motivo per cui devono esistere regole ben precise che sanciscano il “diritto alla disconnessione”, definendo orari tempi o modalità in cui il lavoratore è disponibile. Un altro è il senso di isolamento dall’organizzazione, che deriva dalla mancata interazione quotidiana con i colleghi. Questo aspetto è sicuramente negativo perché non permette di creare quell’affiatamento tra colleghi che va nella direzione dello spirito di collaborazione citato in precedenza, ma è anche fortemente influenzato dal nostro retaggio culturale e, probabilmente, per delle future generazioni native smart worker non sarà nemmeno più un aspetto negativo.

È la strada del futuro

Personalmente ho avuto modo di lavorare in aziende che ignoravano totalmente l’esistenza dello smart working (anzi!), in una in cui lo smart working era una realtà consolidata (e mi sembrava di vivere nel 3000), e come manager in aziende in cui stava diventando una realtà (ne ero forte sostenitore). Ritengo che, se compreso e ben praticato, sia uno strumento di grandi potenzialità, sia per le aziende che per i dipendenti, e che possa dare una marcia in più a quelle aziende che hanno la volontà stare al passo con i tempi e di sfruttare appieno gli aspetti positivi dell’innovazione digitale.

Ah dimenticavo, visto che è un tema attuale e importante, lo smart working è anche green! Basti pensare a quanta Co2 in meno viene prodotta non dovendo spostarsi tutti i giorni per andare al lavoro.

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Luca Grassi
Catobi
Writer for

Engineering consultant | Project Manager | Business Developer | Catobi Writer