Chayn Italia
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4 min readAug 20, 2016

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#cambiamoilfinale #testimonianze

Chayn Italia apre uno spazio dove raccontarsi, uno spazio in cui le nostre esperienze legate a storie di violenza possano essere strumento per la presa di coscienza individuale e collettiva.

Perché vogliamo raccogliere testimonianze e diffonderle attraverso una piattaforma come Chayn Italia? Leggete il post di lancio di questo nuovo spazio e mandateci le vostre narrazioni a info@chaynitalia.org

Per le nostre guide, per avere informazioni, strumenti e potere ti invitiamo a visitare la nostra piattaforma http://chaynitalia.org/

Non sono una vittima nè Wonder Woman, ma una donna in difficoltà.

“Ed ancora adesso non mi è ancora chiaro lo sbaglio che ho fatto, se il vero sbaglio è stato il mio”: la canzone di Gazzè, Cara Valentina, la metto in loop, cercando conforto, poi la decima o quindicesima sigaretta accesa, ormai ho perso il conto, e sento da un po’ di tempo l’ansia di raccontare ciò che mi sta dilaniando dentro da mesi, che mi sta spegnendo pian piano, poi mi frena la vergogna di quello che i miei racconti potrebbero provocare.

Le sigarette, l’ansia e la vergogna sono le mie compagne di vita di questi ultimi mesi e, inevitabilmente, di questa calda notte d’agosto. Tornare indietro con la mente significa rivivere i traumi di quei momenti terribili e, così, per difendermi comincio a pensare che lui non è solo un violento, ma una persona che soffre, che a sua volta ha vissuto violenza da parte del padre, e ogni volta aspetto un suo segnale di reale accoglienza, di un possibile cambiamento. Speranze irrealizzabili.

Tutto si sovrappone, tutto si fa caos nella mia mente: lo schiaffo con la carezza, il bacio con il livido, il sangue con l’abbraccio, il dirmi “puttana” con l’ “amore mio”, le urla con i sussurri, il passaggio fino a casa con lo scaraventarmi fuori dall’abitacolo della macchina, gli sputi in faccia con i regali.

Sono consapevole che la tremenda confusione di questa relazione mi rende ancora più debole, più spaventata e più sottomessa, così cerco un appiglio nei miei pensieri, dicendomi che la persona gentile e premurosa esiste ancora in quel groviglio di egoismo e prepotenza contro di me.

Altre volte ho provato a salvarmi parlando poco a poco con qualcuno, ritrovandomi spesso da sola: troppo pesante il fardello della violenza, troppo difficile ascoltare senza giudicare.

“Lascialo e starai meglio” oppure “Ti stai umiliando, non te ne rendi conto?” e ancora “E’ colpa tua, perché ti rendi disponibile”, o “Adesso, se lo incontro, gliene dico quattro” e infine, peggio ancora, ci si può sentir dire “Non mi raccontare, questa cosa mi fa soffrire.” In una relazione violenta non c’è solo il male, non ci sono esclusivamente le violenze fisiche e psicologiche, è un’altalena di alti e bassi atroci, che confondono e immobilizzano, per questo è così difficile uscirne.

Una delle cose peggiori che possano capitare a una donna che vive in una relazione violenta — fatta di maltrattamenti fisici e/o psicologici — è quella di ritrovarsi senza uno spazio di ascolto tra amici o parenti. Colpevolizzare chi è vittima di soprusi da parte del proprio partner è un’azione — sociale — altrettanto violenta, che non fa altro che spostare il baricentro della responsabilità da chi compie violenza a chi la subisce. E’ come dire a chi ha vissuto il trauma di un terremoto che se l’è cercato perché viveva in una zona a rischio sismico.

So di potercela fare, so che posso tornare a essere una persona serena, che non ha più paure, ansie continue e disturbi di panico che disperdono energie e vitalità. So, però, che avrei bisogno di un aiuto, di essere ascoltata perché altrimenti rischio di restare nel buio di questa relazione, che chissà dove potrà condurmi.

A volte ho pensato “stavolta mi ammazza”, ma questo non l’ho mai detto a nessuno, come spesso ho nascosto i miei lividi, perché quando sperimenti la difficoltà di ascolto nella tua cerchia di amicizie o parenti diventa difficile far vedere che avresti tanto bisogno di un aiuto, di piangere con qualcuno senza dover pensare che ti stia giudicando, senza doversi vergognare.

Non è colpa mia se mi ha colpita con un bastone in una caldissima giornata estiva, non è colpa mia se ho un livido viola sulla coscia sinistra, non è colpa mia se la pelle livida fa un male cane solo a sfiorarla. Vorrei poterne parlare senza preoccuparmi di che reazione potrebbero avere gli altri, forse un giorno — spero non troppo lontano — ci riuscirò e lo farò a testa alta, perché non sono una vittima, ma una donna in difficoltà.

Non esistono i principi e nemmeno le principesse delle favole, così come non esistono supereroi pronti a salvare le ragazze in pericolo, invece le super eroine dei film e dei cartoni sono pochissime e spesso apprezzate per le loro forme seducenti più che per le loro super capacità.

Non sono una vittima e nemmeno Wonder Woman, sono una donna che vive un momento di seria difficoltà, e spero che alla fine qualche buon amico riesca camminare vicino a me sulla strada della liberazione.

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Progetto collaborativo che utilizza strumenti digitali per il contrasto alla violenza di genere. http://chaynitalia.org e https://strumenticontrolaviolenza.org/